PAROLE CHE PARLANO/144

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Ipocrita

Questa parola ci porta dritti nell’antica Grecia, la patria del teatro, dove l’attore (si ritiene che il primo sia stato un certo Tespi, probabilmente nel 534 a.C.) si esibiva interpretando non se stesso, ma personaggi soprattutto mitologici. Immediatamente gli venne assegnato un nome per definirlo: hupokritḗs, ipocrita (dal lat. tardo hypocrĭta), cioè attore, colui che recita, che assume un ruolo, presentandosi come qualcun altro. Un attore, non me ne vogliano i lavoratori dello spettacolo, è senza dubbio un simulatore, uno che indossa una maschera, reale o figurata, che lo mostra come non è in realtà. I più bravi sono coloro che riescono a farci dimenticare che stiamo assistendo a una finzione.

La simulazione può, ahimè, passare dal teatro alla nostra vita: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. Così anche voi apparite giusti all’esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d’ipocrisia e d’iniquità» tuona Gesù, descrivendo alla perfezione l’azione “teatrale”, la rappresentazione di un ruolo apparentemente lodevole, che nasconde in realtà falsità e marciume. E così, anche se con un certo dispiacere, nel tempo l’attore è diventato la figura di riferimento di tutti coloro, gli ipocriti, che indossano una maschera ed esprimono sentimenti, valori, opinioni o credenze morali che in realtà non condividono e non approvano. Mentono, cioè, sapendo di mentire.

«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti» scrive Pirandello, con una buona dose di pessimismo, nel suo Uno, nessuno e centomila.

Rubrica a cura di Dino Ticli
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