Civate: il centenario degli Alpini inizia con il ricordo di Antonio Batta Valsecchi
“Gli Alpini di Civate sono un gruppo meraviglioso con delle radici ben piantate nella storia”. Queste parole, pronunciate dal salesiano don Cesare Chiarini, riassumono perfettamente il senso della prima serata della tre giorni di festa per il centenario delle penne nere locali. Dopo il saluto di Paolo Mauri, attuale capogruppo degli Alpini di Civate, il professor Carlo Castagna ha raccontato la storia di Antonio (Batta) Valsecchi ai cittadini radunatisi presso il salone dell’oratorio. “Oltre ad aver fondato il nostro gruppo nel 1923 assieme a Calocero Brusadelli, Antonio Valsecchi è diventato il simbolo degli Alpini di tutta Italia grazie al suo nobile gesto” ha ricordato Castagna, nipote del civatese classe 1888.
Membro della 51esima compagnia del battaglione Edolo, l’alpino Antonio Valsecchi attraversò il Mediterraneo assieme ad altri 561 uomini, 18 ufficiali, 7 cavalli, 76 muli e 2 mitragliatrici nel dicembre 1911. Il 27 dicembre ci fu il primo scontro contro con i beduini dell’esercito turco. “Gli alpini costruirono una linea difensiva vicino a Derna nel mese di gennaio. Un chilometro più avanti, essi costruirono la piccola ridotta Lombardia con sassi e muri a secco. Ancora più avanti, venne edificata la torretta Milano. Erano tutti alpini che provenivano dalle nostre zone” ha spiegato ancora Castagna, mentre sullo schermo scorrevano alcune foto di Valsecchi.
“Nella notte tra l’11 e il 12 febbraio, i 18 alpini di guardia alla torretta furono attaccati dai beduini. Cercarono di resistere come potevano ma alla fine furono costretti a indietreggiare. I moschetti scottavano per i troppi colpi che avevano sparato. Ad un certo punto, Antonio Valsecchi si alzò con un grosso masso sopra le spalle e lo lanciò contro i nemici, uccidendone quattro. Tutti gli altri hanno iniziato a imitarlo”. In questo modo, una battaglia ormai persa si trasformò in una vittoria, seppur ottenuta pagando un elevato prezzo in termini di vite umane.
Quel gesto eroico diede inizio all’epopea di Antonio Batta Valsecchi, l’Alpino di Sasso. “Lo stesso anno, il CAI posizionò una prima targa a Edolo proprio in onore della 51esima compagnia che aveva combattuto a Derna. L’anno dopo, la città di Milano volle dedicare un monumento agli Alpini e fu scelto proprio il gesto di Antonio Valsecchi come immagine del coraggio, della forza e della determinazione del corpo” ha aggiunto il professore. Quella statua fu posta di fronte al commando del V Alpini a Milano. Quando poi la struttura fu spostata a Merano, gli Alpini meneghini regalarono ai loro colleghi dell’Alto Adige una copia della stessa scultura, situata ancora oggi in piazza Mazzini. “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la scultura dell’Alpino di Sasso fu ricostruita insieme alla città di Milano. Quando fu inaugurata, nel 1948, di fianco ad Antonio Valsecchi c’era don Carlo Gnocchi. Egli iniziò a fare il prete proprio qui a Civate come assistente di Monsignor Gilardi. Luigi Castagna, mio padre, gli cucì la divisa quando partì come cappellano militare assieme agli universitari milanesi per la Grecia e l’Albania. Mia zia gli cucì la Croce Rossa sul petto” ha ricordato Castagna. “Antonio Valsecchi ha terminato il suo servizio militare nel 1919. Tra le tante medaglie che si è guadagnato, ricordiamo le due croci al valor militare. Nel 1923 gli è stato riconosciuto anche il nastro azzurro. Nel 1965, pochi giorni prima che morisse, ad Antonio Valsecchi fu infine consegnata la medaglia d’oro”.
Prima e dopo la presentazione di Carlo Castagna, il coro degli Alpini di Canzo, diretto dal maestro Matteo Castelli, ha allietato l’atmosfera eseguendo dei brani appartenenti alla tradizione alpina. Sull’ultimo, il 33, tutta la sala si è alzata in piedi per poi lasciarsi andare in un grande applauso al termine della performance.
“Antonio Valsecchi e Calocero Brusadelli parlavano poco della guerra e di quello che avevano fatto. Dicevano solo che la guerra è la peggior cosa che un uomo possa incontrare nella propria esistenza. Essi fondarono la sezione di Civate degli Alpini perché per loro erano importanti tre cose: l’amicizia, la solidarietà e la pace. In questi cento anni gli Alpini di Civate hanno messo in pratica queste virtù. Sono sempre stati solidali nei confronti della comunità e spero che questo continui per i prossimi cento anni” ha concluso Castagna.
Dopodiché, hanno preso la parola tutte le autorità presenti all’incontro. “Civate è un gruppo da imitare per tutto. Con gli Alpini abbiamo un buonissimo rapporto. Viva gli Alpini” ha evidenziato il Cavalier Mario Nasatti, capogruppo di Valmadrera. Dal canto suo, Giuseppe Tintori, consigliere della sezione provinciale di Lecco, ha rimarcato ulteriormente l’importanza storica del gruppo degli Alpini di Civate. Lo stesso Antonio Batta Valsecchi fu per tanti anni alfiere della sezione lecchese dell’ANA.
“Abbiamo bisogno di essere maggiormente testimoni di valori come la solidarietà, la pace, l’amicizia. Oggi manca la testimonianza morale ed etica che possa spingere i nostri giovani a guardare al futuro e a costruire una società migliore di quella che noi gli abbiamo dato” ha aggiunto don Cesare Chiarini.
Il sindaco Angelo Isella ha invece ricordato come gli Alpini siano un esempio anche per gli amministratori, poiché si “mettono al servizio della comunità”. “Sono orgoglioso di essere il sindaco di un paese come Civate e di poter contare su un simile gruppo Alpini” ha concluso.
Da ultimo il padrone di casa, il parroco don Luca Civardi. “Alla prima riunione per il centenario il capogruppo mi ha messo davanti un bicchiere d’acqua pieno di grappa pensando che io sarei arrivato a un quarto. Invece, io l’ho bevuto tutto e sono qui ancora. Vi auguro di continuare ad avere questo spirito che forgia il carattere ed educa il cuore!”.
Membro della 51esima compagnia del battaglione Edolo, l’alpino Antonio Valsecchi attraversò il Mediterraneo assieme ad altri 561 uomini, 18 ufficiali, 7 cavalli, 76 muli e 2 mitragliatrici nel dicembre 1911. Il 27 dicembre ci fu il primo scontro contro con i beduini dell’esercito turco. “Gli alpini costruirono una linea difensiva vicino a Derna nel mese di gennaio. Un chilometro più avanti, essi costruirono la piccola ridotta Lombardia con sassi e muri a secco. Ancora più avanti, venne edificata la torretta Milano. Erano tutti alpini che provenivano dalle nostre zone” ha spiegato ancora Castagna, mentre sullo schermo scorrevano alcune foto di Valsecchi.
“Nella notte tra l’11 e il 12 febbraio, i 18 alpini di guardia alla torretta furono attaccati dai beduini. Cercarono di resistere come potevano ma alla fine furono costretti a indietreggiare. I moschetti scottavano per i troppi colpi che avevano sparato. Ad un certo punto, Antonio Valsecchi si alzò con un grosso masso sopra le spalle e lo lanciò contro i nemici, uccidendone quattro. Tutti gli altri hanno iniziato a imitarlo”. In questo modo, una battaglia ormai persa si trasformò in una vittoria, seppur ottenuta pagando un elevato prezzo in termini di vite umane.
Quel gesto eroico diede inizio all’epopea di Antonio Batta Valsecchi, l’Alpino di Sasso. “Lo stesso anno, il CAI posizionò una prima targa a Edolo proprio in onore della 51esima compagnia che aveva combattuto a Derna. L’anno dopo, la città di Milano volle dedicare un monumento agli Alpini e fu scelto proprio il gesto di Antonio Valsecchi come immagine del coraggio, della forza e della determinazione del corpo” ha aggiunto il professore. Quella statua fu posta di fronte al commando del V Alpini a Milano. Quando poi la struttura fu spostata a Merano, gli Alpini meneghini regalarono ai loro colleghi dell’Alto Adige una copia della stessa scultura, situata ancora oggi in piazza Mazzini. “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la scultura dell’Alpino di Sasso fu ricostruita insieme alla città di Milano. Quando fu inaugurata, nel 1948, di fianco ad Antonio Valsecchi c’era don Carlo Gnocchi. Egli iniziò a fare il prete proprio qui a Civate come assistente di Monsignor Gilardi. Luigi Castagna, mio padre, gli cucì la divisa quando partì come cappellano militare assieme agli universitari milanesi per la Grecia e l’Albania. Mia zia gli cucì la Croce Rossa sul petto” ha ricordato Castagna. “Antonio Valsecchi ha terminato il suo servizio militare nel 1919. Tra le tante medaglie che si è guadagnato, ricordiamo le due croci al valor militare. Nel 1923 gli è stato riconosciuto anche il nastro azzurro. Nel 1965, pochi giorni prima che morisse, ad Antonio Valsecchi fu infine consegnata la medaglia d’oro”.
Prima e dopo la presentazione di Carlo Castagna, il coro degli Alpini di Canzo, diretto dal maestro Matteo Castelli, ha allietato l’atmosfera eseguendo dei brani appartenenti alla tradizione alpina. Sull’ultimo, il 33, tutta la sala si è alzata in piedi per poi lasciarsi andare in un grande applauso al termine della performance.
“Antonio Valsecchi e Calocero Brusadelli parlavano poco della guerra e di quello che avevano fatto. Dicevano solo che la guerra è la peggior cosa che un uomo possa incontrare nella propria esistenza. Essi fondarono la sezione di Civate degli Alpini perché per loro erano importanti tre cose: l’amicizia, la solidarietà e la pace. In questi cento anni gli Alpini di Civate hanno messo in pratica queste virtù. Sono sempre stati solidali nei confronti della comunità e spero che questo continui per i prossimi cento anni” ha concluso Castagna.
Dopodiché, hanno preso la parola tutte le autorità presenti all’incontro. “Civate è un gruppo da imitare per tutto. Con gli Alpini abbiamo un buonissimo rapporto. Viva gli Alpini” ha evidenziato il Cavalier Mario Nasatti, capogruppo di Valmadrera. Dal canto suo, Giuseppe Tintori, consigliere della sezione provinciale di Lecco, ha rimarcato ulteriormente l’importanza storica del gruppo degli Alpini di Civate. Lo stesso Antonio Batta Valsecchi fu per tanti anni alfiere della sezione lecchese dell’ANA.
“Abbiamo bisogno di essere maggiormente testimoni di valori come la solidarietà, la pace, l’amicizia. Oggi manca la testimonianza morale ed etica che possa spingere i nostri giovani a guardare al futuro e a costruire una società migliore di quella che noi gli abbiamo dato” ha aggiunto don Cesare Chiarini.
Il sindaco Angelo Isella ha invece ricordato come gli Alpini siano un esempio anche per gli amministratori, poiché si “mettono al servizio della comunità”. “Sono orgoglioso di essere il sindaco di un paese come Civate e di poter contare su un simile gruppo Alpini” ha concluso.
Da ultimo il padrone di casa, il parroco don Luca Civardi. “Alla prima riunione per il centenario il capogruppo mi ha messo davanti un bicchiere d’acqua pieno di grappa pensando che io sarei arrivato a un quarto. Invece, io l’ho bevuto tutto e sono qui ancora. Vi auguro di continuare ad avere questo spirito che forgia il carattere ed educa il cuore!”.
A.Bes.