Lecco: anche 'Ernesto Redenti' torna in libreria (dopo oltre un secolo)
Un romanzo incompiuto o un finale sospeso? O, invece, un’altra presa in giro del “solito” Antonio Ghislanzoni? C’è del mistero attorno a “Ernesto Redenti”, il romanzo che costituisce il seguito degli “Artisti da teatro” e che l’editrice lecchese Polyhistor ha appena ripubblicato per la prima volta in volume (130 pagine, 20 euro).
Mandato in stampa alla fine dell’Ottocento, era uscito soltanto a puntate su giornali. E’ un’altra opera di Ghislanzoni che rivede dunque la luce dopo oltre un secolo. La stessa Polyhistor lo scorso anno aveva pubblicato proprio gli “Artisti da teatro”. E così, nel giro di due anni, la casa editrice lecchese ha tolto dall’oblio quattro romanzi del Ghislanzoni romanziere troppo a lungo trascurato.
Ernesto Redenti è il figlio dell’infelice protagonista degli “Artisti da teatro”. Vent’anni dopo la morte della madre, il giovane Redenti viene a Milano con una lettera di presentazione e si rivolge a un giornalista e letterato ormai disilluso: si chiama Alzoni ma in una versione precedente del romanzo il nome era Anzoni, facendo dunque pensare che in quel personaggio l’autore abbia rappresentato sé stesso, un personaggio che ha visto il giornalismo diventare ormai una sorta di prostituzione e la letteratura produrre solo romanzi di consumo. E se negli “Artisti” la sferza di Ghislanzoni si abbatteva sul mondo del teatro, sulle miserie dell’ambiente, sui giornali creati apposta per distruggere e lanciare una stella del palcoscenico, sulle claque organizzate e naturalmente sugli impresari spregiudicati e meschini che approfittano delle attrici e si sa cosa ciò voglia dire ed è storia anche dei giorni nostri come attestano le cronache e le polemiche dei mesi scorsi. In “Ernesto Redenti”, invece, Ghislanzoniu guarda proprio al mondo giornalistico e letterario i cui meccanismi egli stesso conosceva molto bene. E questi pure, temi ancora oggi scottanti.
«In anticipo su Verga e Zola – ha detto Minonzio – Ghislanzoni guardava a Balzac: in questo romanzo c’è molto delle “Illusioni perdute” con il giornalista canaglia Rubempré. Ghislanzoni aveva le antenne ben protese verso la Francia».
Quando Ghislanzoni si mette alla prova come romanziere, sembra essere incerto, sembra tentare stili differenti: «Cosa lega un libro come “Memorie di un gatto” agli “Artisti da teatro”? Tutt’e due tagliano il velo di ipocrisia della realtà, c’è un’istanza di verità ed atteggiamento non nuovo nella Scapigliatura». In “Memorie di un gatto” c’è un umorismo dal forte impegno critico, negli “Artisti da teatro” di umorismo ce n’è poco e in “Ernesto Redenti” non ce n’è per nulla».
Romanzo breve ma ricco di spunti, racconta appunto del giovane Ernesto senza mezzi costretto ad arruolarsi in un giornale di infimo grado e accettando di scrivere un articolo indegno contro una giovane attrice, la cui madre si scoprirà essere stata accanto alla mamma morente di Redenti, a Parigi. E’ Alzoni a intervenire per riparare il torto. Il giornalista disilluso tiene molto a Redenti: in lui rivede sé stesso giovane, innamorato della letteratura ma costretto a sbarcare il lunario facendo “marchette” come nel gergo giornalistico vengono definiti gli articoli prezzolati o servili.
Poi, la svolta “misteriosa”. Il giornale che pubblica a puntate il romanzo comunica che il narratore, se ne è andato a Nizza per cercare qualcuno dei personaggi che avevano sgretolato la vita di Emila Redenti, la madre di Ernesto.
«Siamo di fronte a un gioco degli specchi – parole di Mononzio - inedito per Ghislanzoni, ma poco frequentato anche nella letteratura dell’epoca: Ghislanzoni scrive senza concluderlo un romanzo in cui si parla di un romanzo non concluso. Un gioco di specchi che sembra volere abbandonare la letteratura di finzione per un racconto più aderente alla sofferenza delle persone».
E in effetti, a Nizza avviene l’incontro con due persone, una ben definita e sarebbe proprio il padre di Ernesto, l’altra più incerta. Dopo di che il narratore conclude: «Ora so tutto, comprendo tutto e non posso fare a meno di compiacermi nel vedere che il mio romanzo si intreccia pur bene». Anche se quel tutto non viene detto e tocca al lettore trovare una propria personale soluzione. Che è formula di tanti romanzi del Novecento. Oppure, invece, era previsto un seguito poi non arrivato?
Ed è proprio a questo punto che nasce il mistero. Perché – ricorda Minonzio – esistono tre versioni del romanzo, tutt’è tre pubblicate a puntate su altrettanti giornali: prima la “Gazzetta musicale” (1867), poi la “Lombardia” (tra 1868 e 1869) e infine il “Giornale Capriccio” (1877) ideato dallo stesso Ghislanzoni e uscito per un paio d’anni. Solo che il finale è differente: la versione della “Gazzetta” è completa (ed è quella che ora viene pubblicata ora), in quella della “Lombardia” l’ultimo capitolo è completamente assente, nel “Capriccio” è presente solo in parte. E sul significato di queste varianti rimane l’interrogativo sulle intenzioni dell’autore.
E comunque «per più versi – dice Minonzio nell’introduzione– scrivendo l’ “Ernesto Redenti”, Ghislanzoni ha scritto la propria autobiografia: Alzoni è un uomo distaccato ma non ravveduto, la cui amarezza ha uno sfondo di saldissimo giudizio morale».
Mandato in stampa alla fine dell’Ottocento, era uscito soltanto a puntate su giornali. E’ un’altra opera di Ghislanzoni che rivede dunque la luce dopo oltre un secolo. La stessa Polyhistor lo scorso anno aveva pubblicato proprio gli “Artisti da teatro”. E così, nel giro di due anni, la casa editrice lecchese ha tolto dall’oblio quattro romanzi del Ghislanzoni romanziere troppo a lungo trascurato.
La nuova pubblicazione è stata presentata dal curatore Franco Minonzio alla libreria “Parole nel tempo” di San Giovanni.
Ernesto Redenti è il figlio dell’infelice protagonista degli “Artisti da teatro”. Vent’anni dopo la morte della madre, il giovane Redenti viene a Milano con una lettera di presentazione e si rivolge a un giornalista e letterato ormai disilluso: si chiama Alzoni ma in una versione precedente del romanzo il nome era Anzoni, facendo dunque pensare che in quel personaggio l’autore abbia rappresentato sé stesso, un personaggio che ha visto il giornalismo diventare ormai una sorta di prostituzione e la letteratura produrre solo romanzi di consumo. E se negli “Artisti” la sferza di Ghislanzoni si abbatteva sul mondo del teatro, sulle miserie dell’ambiente, sui giornali creati apposta per distruggere e lanciare una stella del palcoscenico, sulle claque organizzate e naturalmente sugli impresari spregiudicati e meschini che approfittano delle attrici e si sa cosa ciò voglia dire ed è storia anche dei giorni nostri come attestano le cronache e le polemiche dei mesi scorsi. In “Ernesto Redenti”, invece, Ghislanzoniu guarda proprio al mondo giornalistico e letterario i cui meccanismi egli stesso conosceva molto bene. E questi pure, temi ancora oggi scottanti.
«In anticipo su Verga e Zola – ha detto Minonzio – Ghislanzoni guardava a Balzac: in questo romanzo c’è molto delle “Illusioni perdute” con il giornalista canaglia Rubempré. Ghislanzoni aveva le antenne ben protese verso la Francia».
Quando Ghislanzoni si mette alla prova come romanziere, sembra essere incerto, sembra tentare stili differenti: «Cosa lega un libro come “Memorie di un gatto” agli “Artisti da teatro”? Tutt’e due tagliano il velo di ipocrisia della realtà, c’è un’istanza di verità ed atteggiamento non nuovo nella Scapigliatura». In “Memorie di un gatto” c’è un umorismo dal forte impegno critico, negli “Artisti da teatro” di umorismo ce n’è poco e in “Ernesto Redenti” non ce n’è per nulla».
Romanzo breve ma ricco di spunti, racconta appunto del giovane Ernesto senza mezzi costretto ad arruolarsi in un giornale di infimo grado e accettando di scrivere un articolo indegno contro una giovane attrice, la cui madre si scoprirà essere stata accanto alla mamma morente di Redenti, a Parigi. E’ Alzoni a intervenire per riparare il torto. Il giornalista disilluso tiene molto a Redenti: in lui rivede sé stesso giovane, innamorato della letteratura ma costretto a sbarcare il lunario facendo “marchette” come nel gergo giornalistico vengono definiti gli articoli prezzolati o servili.
Poi, la svolta “misteriosa”. Il giornale che pubblica a puntate il romanzo comunica che il narratore, se ne è andato a Nizza per cercare qualcuno dei personaggi che avevano sgretolato la vita di Emila Redenti, la madre di Ernesto.
«Siamo di fronte a un gioco degli specchi – parole di Mononzio - inedito per Ghislanzoni, ma poco frequentato anche nella letteratura dell’epoca: Ghislanzoni scrive senza concluderlo un romanzo in cui si parla di un romanzo non concluso. Un gioco di specchi che sembra volere abbandonare la letteratura di finzione per un racconto più aderente alla sofferenza delle persone».
E in effetti, a Nizza avviene l’incontro con due persone, una ben definita e sarebbe proprio il padre di Ernesto, l’altra più incerta. Dopo di che il narratore conclude: «Ora so tutto, comprendo tutto e non posso fare a meno di compiacermi nel vedere che il mio romanzo si intreccia pur bene». Anche se quel tutto non viene detto e tocca al lettore trovare una propria personale soluzione. Che è formula di tanti romanzi del Novecento. Oppure, invece, era previsto un seguito poi non arrivato?
Ed è proprio a questo punto che nasce il mistero. Perché – ricorda Minonzio – esistono tre versioni del romanzo, tutt’è tre pubblicate a puntate su altrettanti giornali: prima la “Gazzetta musicale” (1867), poi la “Lombardia” (tra 1868 e 1869) e infine il “Giornale Capriccio” (1877) ideato dallo stesso Ghislanzoni e uscito per un paio d’anni. Solo che il finale è differente: la versione della “Gazzetta” è completa (ed è quella che ora viene pubblicata ora), in quella della “Lombardia” l’ultimo capitolo è completamente assente, nel “Capriccio” è presente solo in parte. E sul significato di queste varianti rimane l’interrogativo sulle intenzioni dell’autore.
E comunque «per più versi – dice Minonzio nell’introduzione– scrivendo l’ “Ernesto Redenti”, Ghislanzoni ha scritto la propria autobiografia: Alzoni è un uomo distaccato ma non ravveduto, la cui amarezza ha uno sfondo di saldissimo giudizio morale».
D.C.