Super lavoro per il soccorso alpino che (ri)lancia l'allarme: troppi sprovveduti sui monti. Da inizio anno già 18 morti

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Saranno la reazione al covid e alle conseguenti restrizioni che porta a lanciarsi in imprese avventate, i “social” che fanno sembrare tutto facile, ma in montagna deve essere proprio un’emergenza. La parola non viene pronunciata, ma certo la dice lunga il fatto che il Soccorso alpino decida di convocare una conferenza stampa al più alto livello – con il presidente regionale e i responsabili delle varie stazioni – per fare il bilancio degli interventi ad anno non ancora concluso. Con un invito ad avviare una vera e propria campagna di sensibilizzazione perché – nonostante le reiterate raccomandazione – si continua ad andare in montagna in maniera sempre più sconsiderata.  Costringendo i volontari del Soccorso alpino a un’attività sempre più intensa.
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E allora è il caso – dice il capodelegazione lariana Marco Anemoli - «di dare voce ai capistazione, di parlare del duro lavoro del volontario impegnato pressoché quotidianamente specificatamente d’estate ma soprattutto ad agosto, anche con tre o quattro interventi al giorno, tutti i giorni, non soltanto nei fine settimana». Interventi che spesso riguardano il portare aiuto a persone “illese”, vale a dire a escursionisti che hanno affrontato un sentiero senza essere preparati, dal punto di vista fisico e tecnico, dell’abbigliamento e dell’attrezzatura, dei rifornimenti come certuni che affrontano una ferrata sotto il sole cocente senza il conforto di una borraccia sufficiente.
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Marco Anemoli e Luca Vitali
E’ proprio un’emergenza, dunque, quella sulla quale il Soccorso alpino attira l’attenzione. Con Anemoli, nella sede dl Bione ci sono il presidente regionale Luca Vitali, l’addetta stampa Daniela Rossi e i vari responsabili delle stazioni in cui è articolata la delegazione lariana che è la più estesa della Lombardia: Alessandro Spada (Valsassina e Valvarrone), Massimo Mazzoleni (Lecco), Luciano Giampà (Triangolo Lariano), Riccardo Botta (Lario Occidentale e Ceresio).
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Alessandro Spada e Massimo Mazzoleni
I numeri, dunque. Il bilancio della delegazione lariana vede dall’inizio dell’anno a ieri, 14 settembre, 316 interventi con 18 deceduti. Le principali cause sono le cadute (109), i malori (41), le scivolate (31), la perdita di orientamento (26), l’incapacità (20), lo sfinimento (11), il maltempo (9), la caduta sassi (6), le false chiamate e i tardivi rientri (3 ciascuno).
Naturalmente occorrerà avere il bilancio definitivo dell’anno perché i dati possano essere messi a confronto con quelli degli anni precedenti che fanno comunque registrare una crescita costante: nel 2018 gli interventi complessivi erano stati 335 (con 18 deceduti) diventati 487 l’anno scorso con 35 deceduti. In linea del resto con l’andamento regionale: nel 2018 gli interventi erano stati 1905 con 63 persone decedute e lo scorso anno sono stati 2263 con 78 deceduti. Quest’anno si è già a quota 1717 interventi con 66 deceduti. Per quanto riguarda il nostro territorio, gli interventi della stazione di Valsassina e Valvarrone sono stati 75, quelli del triangolo lariano 47, nel Lario occidentale 46.  Le altre stazioni che fanno parte della delegazione sono Dongo (19 interventi), Varese (30), Pavia e Oltrepò (5).
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Luciano Giampà e Riccardo Botta
«Quest’anno – è il parere del presidente regionale Vitali – saranno sfondati tutti i record. E questo ci spinge a realizzare progetti appositi, per esempio l’utilizzo degli elicotteri della Regione che non sono medicalizzati ma che in certe situazioni sono utili come nei casi di persone che si perdono o che si fermano perché sono sfinite. Ed è un fenomeno in crescita. Occorre quindi una campagna di informazione, sensibilizzare le persone affinché vadano in montagna più preparate».
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E in quanto a preparazione il ventaglio delle situazioni è ampio. Se, per esempio, quest’anno molti interventi sono dovuti a malori per il caldo eccessivo, la riflessione è che spesso sono state affrontate vie esposte al sole in orari sconsigliati e magari senza portarsi acqua e viveri. E poi l’abbigliamento inadeguato che significa anche non essere pronti ad affrontare bruschi cambiamenti climatici in quota sempre possibili, che significa non avere calzature adatte, non essere in grado di leggere il territorio e quindi di comprendere in quale direzione si stia andando, partire senza controllare il meteo. 
«In quattro occasioni – viene sottolineato – abbiamo soccorso intere famiglie con animali al seguito perché sfinite» lungo sentieri che prevedevano un’ora di cammino e che ne hanno richieste sei e passa. «Abbiamo visto persone che arrancano in salita a quattro mani e che poi non sono più in grado di scendere». Ed escursionisti che si affidano agli smartphone, alla “strada più breve” segnalata da google maps e che magari anziché su un sentiero adatto li porta a imboccare una ferrata: «Se una persona preparata si accorge e torna indietro, uno sprovveduto finisce con il non essere più in grado di muoversi». Oppure, c’è il caso di un paio di giovanissimi che scendendo dal Resegone hanno percorso un sentiero differente da quello che gli aveva suggerito papà e si sono fermati a cinque minuti dalla Capanna Stoppani decisi a non muoversi finché non sarebbero arrivati i soccorsi. 
E così, la nuova emergenza è legata agli illesi «che in realtà sono semplicemente dei fortunati perché la sfortuna è dietro ogni angolo».
Passata l’estate, con l’assalto degli escursionisti, adesso si apre la stagione dei cercatori di funghi che è un’altra stagione a rischio. E anche in questo caso per cercatori improvvisati.
Così, esce anche la proposta di un’opera di sensibilizzazione nei confronti delle famiglie: «Che le mogli impediscano ai mariti di andare a ficcarsi nei pericoli o che, comunque, lascino detto in che zona vanno».
D.C.
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