Vita da Capanat/8: dietro alle patole del Bogani c’è una storia lunga 30 anni
Trent’anni. Trent’anni tra i boschi all’ombra della Grigna. Trent’anni in cucina a sfornare deliziose patole. Trent’anni di fatiche ma anche di soddisfazioni. “Io e mio marito Enrico siamo arrivati al Bogani nel 1994. Per lui era un luogo importante, suo nonno teneva le pecore qui. All’epoca la struttura era abbandonata. Ci sono voluti sette/otto anni di lavoro prima di riuscire a creare un buon giro di clientela”.
Oggi, trent’anni dopo, Mariangela Buzzoni ed Enrico Benedetti, gestori del rifugio Bogani, rappresentano un’autentica istituzione nel mondo della montagna lecchese e non solo. “Quest’anno il Club Alpino Italiano mi ha consegnato l’attestato di custode delle Terre Alte. Solo cinque rifugi in tutta Italia hanno ottenuto un simile riconoscimento. Nel 2018, inoltre, il CAI di Monza mi ha venduto il rifugio per cui ora sono anche la proprietaria” ha spiegato la signora Buzzoni.
Per la rifugista, originaria di Primaluna, il bilancio di questi tre decenni è positivo. “La clientela c’è ma è cambiata, soprattutto dopo la pandemia. Arrivano persone che non hanno la benché minima idea di dove si trovano. Vengono su alle 14.30 o alle 15 e chiedono da mangiare. Non pensano alle fatiche che facciamo e al fatto che abbiamo diritto ad una pausa tra il pranzo e la cena” ha raccontato. “Si lamentano perché nel menu ci sono pochi piatti o perché l’acqua costa 3,50 euro. Non pensano che qui i prodotti arrivano o in elicottero, che costa, o a spalla. Per la cassoeula del 1° aprile io e mio marito abbiamo portato su 20 chili di merce a testa perché l’elicottero non poteva volare causa nebbia”. Ma c’è un altro fenomeno, se possibile ancora più odioso delle richieste prive di logica. “Trovo pattumiera ovunque, rifiuti che poi noi portiamo giù a spalla” ha sottolineato la rifugista.
Inaugurato nel 1906, il rifugio Bogani oggi dispone di 70 coperti all’esterno e altrettanti all’interno. I posti letto, invece, sono una cinquantina, divisi nel seguente modo: due camere da 6; tre camere da 4; una camera da 19 e una camera da 14.
“Dedico gran parte del mio tempo alla cucina. Cuciniamo quasi tutto sulla stufa e utilizziamo i formaggi e i latticini dell’alpeggio situato poco più in basso. Prima era nostro mentre ora è gestito da mia figlia e da suo genero. Hanno una ventina di mucche. Ogni giorno uso dai due ai sei chili di patate per l’impasto delle patole. Sono il piatto più richiesto, anche più dei pizzoccheri e della polenta con la carne. La ricetta mi è stata tramandata da una signora di Esino che veniva sempre in Bogani. Era la moglie di un grande amico di mio marito”.
Accanto ai cultori del mangiar bene, ci sono gli escursionisti che mirano alla vetta della Grigna. “C’è chi preferisce fermarsi qui a dormire e poi fare gli ultimi 600 metri di dislivello il giorno dopo con tranquillità. Negli ultimi anni, inoltre, si vedono sempre più stranieri” ha evidenziato la rifugista.
C’è però anche un’altra categoria di clienti: gli speleologi. “Per loro questa montagna è una palestra. Nei quindici giorni centrali di agosto ne arrivano da tutta Italia e anche dall’estero. Negli ultimi anni, però, le presenze sono un po’ calate a causa dello scarso ricambio generazionale” ha ricordato il signor Benedetti, intervenuto nella chiacchierata una volta finito di riordinare la cucina.
Ne abbiamo approfittato per chiedergli un commento sull’annosa questione del cambiamento climatico. “Da un paio d’anni a questa parte lamentiamo la scarsità di neve di inverno. Dall’altro lato, le piogge sono sempre più forti e sempre più spesso distruggono i sentieri. La segnaletica lungo la via per il Brioschi andrebbe rifatta. Manca la manutenzione” ha replicato il rifugista.
Continua/9
Oggi, trent’anni dopo, Mariangela Buzzoni ed Enrico Benedetti, gestori del rifugio Bogani, rappresentano un’autentica istituzione nel mondo della montagna lecchese e non solo. “Quest’anno il Club Alpino Italiano mi ha consegnato l’attestato di custode delle Terre Alte. Solo cinque rifugi in tutta Italia hanno ottenuto un simile riconoscimento. Nel 2018, inoltre, il CAI di Monza mi ha venduto il rifugio per cui ora sono anche la proprietaria” ha spiegato la signora Buzzoni.
Per la rifugista, originaria di Primaluna, il bilancio di questi tre decenni è positivo. “La clientela c’è ma è cambiata, soprattutto dopo la pandemia. Arrivano persone che non hanno la benché minima idea di dove si trovano. Vengono su alle 14.30 o alle 15 e chiedono da mangiare. Non pensano alle fatiche che facciamo e al fatto che abbiamo diritto ad una pausa tra il pranzo e la cena” ha raccontato. “Si lamentano perché nel menu ci sono pochi piatti o perché l’acqua costa 3,50 euro. Non pensano che qui i prodotti arrivano o in elicottero, che costa, o a spalla. Per la cassoeula del 1° aprile io e mio marito abbiamo portato su 20 chili di merce a testa perché l’elicottero non poteva volare causa nebbia”. Ma c’è un altro fenomeno, se possibile ancora più odioso delle richieste prive di logica. “Trovo pattumiera ovunque, rifiuti che poi noi portiamo giù a spalla” ha sottolineato la rifugista.
Inaugurato nel 1906, il rifugio Bogani oggi dispone di 70 coperti all’esterno e altrettanti all’interno. I posti letto, invece, sono una cinquantina, divisi nel seguente modo: due camere da 6; tre camere da 4; una camera da 19 e una camera da 14.
“Dedico gran parte del mio tempo alla cucina. Cuciniamo quasi tutto sulla stufa e utilizziamo i formaggi e i latticini dell’alpeggio situato poco più in basso. Prima era nostro mentre ora è gestito da mia figlia e da suo genero. Hanno una ventina di mucche. Ogni giorno uso dai due ai sei chili di patate per l’impasto delle patole. Sono il piatto più richiesto, anche più dei pizzoccheri e della polenta con la carne. La ricetta mi è stata tramandata da una signora di Esino che veniva sempre in Bogani. Era la moglie di un grande amico di mio marito”.
Accanto ai cultori del mangiar bene, ci sono gli escursionisti che mirano alla vetta della Grigna. “C’è chi preferisce fermarsi qui a dormire e poi fare gli ultimi 600 metri di dislivello il giorno dopo con tranquillità. Negli ultimi anni, inoltre, si vedono sempre più stranieri” ha evidenziato la rifugista.
C’è però anche un’altra categoria di clienti: gli speleologi. “Per loro questa montagna è una palestra. Nei quindici giorni centrali di agosto ne arrivano da tutta Italia e anche dall’estero. Negli ultimi anni, però, le presenze sono un po’ calate a causa dello scarso ricambio generazionale” ha ricordato il signor Benedetti, intervenuto nella chiacchierata una volta finito di riordinare la cucina.
Ne abbiamo approfittato per chiedergli un commento sull’annosa questione del cambiamento climatico. “Da un paio d’anni a questa parte lamentiamo la scarsità di neve di inverno. Dall’altro lato, le piogge sono sempre più forti e sempre più spesso distruggono i sentieri. La segnaletica lungo la via per il Brioschi andrebbe rifatta. Manca la manutenzione” ha replicato il rifugista.
Continua/9
A.Bes.