Lecco: 60 anni fa la tragica sparatoria di via Appiani

Via Appiani
Gli inviati speciali dei maggiori quotidiani, e la stessa RAI TV, vennero catapultati a Lecco la sera di lunedì 9 settembre 1963, dopo l’assurdo delitto avvenuto in via Appiani, laterale di corso Martiri. La tranquilla città manzoniana, isola dorata della piena occupazione e del benessere, era stata scossa da un fatto di sangue come non avveniva da oltre dieci anni, dall’inverno 1952. Bastarono 27 ore a Polizia e Carabinieri per assicurare alla giustizia l’autore dell’assassinio, un ventenne residente sul lago d’Iseo, in provincia di Brescia.
Mancavano pochi minuti alle 21.00 di una serata serena e ancora calda, quando un giovane cercava di forzare la portiera di una Giulietta targata Novara, parcheggiata presso il civico 55 di corso Martiri, il palazzo con i portici. L'auto era di proprietà di Giuseppe Bellotti, 21 anni di Oleggio, che era salito nell’abitazione dell’amico Bruno Combi, pure novarese, residente a Lecco per motivi di lavoro.
I due giovani, scesi in strada, notavano i movimenti sospetti con evidenti intenzioni di scasso intrapresi da uno sconosciuto presso la vettura. Nasceva un tafferuglio che richiamava l’attenzione di un passante, Amadio Cariola, residente a Pescarenico, il quale, credendo di trovarsi di fronte a una zuffa fra giovani per futili motivi, assumeva il ruolo di paciere. Il ladro ne approfittava per fuggire di corsa verso la vicina via Appiani, inseguito da Bellotti e Combi. Giunti all’altezza del civico oggi 4, il ladro estraeva una pistola a tamburo sparando tre colpi verso Bellotti che cadde a terra colpito al cuore e al fegato. L'amico proseguì nell’inseguimento, mentre lo sparatore svoltava per via Pizzi, imboccando il viottolo sassoso che conduce verso il cortile popolarmente denominato “curt d’Africa”. Raggiunto da Combi, il ladro esplose altri due colpi di rivoltella che ferirono al fianco il giovane, che venne soccorso dai residenti mentre era dolorante a terra. L’assassino fuggì per via Pizzi dove venne raggiunto da un complice alla guida di una motocicletta rossa di piccola cilindrata. A tutto gas la coppia si spostò in via Amendola, davanti alla scuola De Amicis, imboccando poi la salita verso la zona Caleotto. Giungevano sul posto agenti di Polizia e Carabinieri dalle vicine caserme di corso Martiri. Un’auto di passaggio trasportava Bellotti al vicino ospedale di via Ghislanzoni, mentre un’ambulanza della Croce Rossa soccorreva Combi.
Intanto veniva dato l'allarme alle stazioni dei Carabinieri del circondario per istituire posti di blocco. Lo stesso provvedimento era adottato dalle guardie di Pubblica Sicurezza. Intanto, in via Amendola, il lecchese Carlo Locatelli notava per terra una pistola a tamburo modello 22 che consegnava subito al commissariato di corso Martiri: era l’arma usata per l’assassinio di Bellotti e il ferimento di Combi. Risulterà rubata la notte del 5 agosto precedente in un negozio di Bergamo. Sono intanto importanti le testimonianze di numerosi residenti della zona e, soprattutto, di un giovane rappresentante di commercio di Verona che transitava in via Appiani a bordo della sua vettura.
Verso mezzanotte di martedì 10 settembre gli agenti di Polizia, agli ordini del brigadiere Giuseppe Salvato della squadra di Polizia Giudiziaria del commissariato PS di Lecco, facevano irruzione in un'abitazione nella zona del Garda, bloccando l’autore del delitto che non opponeva la minima resistenza, dichiarando subito di aver esploso i colpi di pistola sotto la paura di ricevere nuove botte, come era avvenuto davanti all’edificio di corso Martiri 55. Diceva, altresì, di aver saputo dell’avvenimento mortale leggendo i quotidiani del pomeriggio, in modo particolare La Notte e il Corriere Lombardo. Tradotto nelle carceri lecchesi di Pescarenico, verrà processato e condannato dalla corte d’Assise di Como.
A.B.
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