Vita da Capanat/6: Antonella è pronta a lasciare il Casera Vecchia dopo 22 anni

"Anche le cose belle devono finire prima o poi". Traspariva una tranquilla consapevolezza dallo sguardo di Antonella Gianola, la sessantatreenne premanese che dal 2001 gestisce il rifugio Casera Vecchia di Varrone. La consapevolezza di aver messo in quella piccola struttura dispersa tra gli immensi prati verdi della Valvarrone tutta la propria passione.



"È stato mio marito Angelo a spingere per prendere in gestione il Casera Vecchia. Lavorava in una fabbrica di forbici giù a Premana ma era un po' stufo di quella vita. Spinto dall'amore della montagna ha deciso di intraprendere quest'avventura e io ho deciso di seguirlo" ha raccontato la signora Gianola. "Purtroppo, mio marito è mancato nel 2011. Da allora sono andata avanti, grazie anche all'aiuto di mia figlia. A fine anno, però, lascio la gestione del rifugio. Quello che prima era una passeggiata ora è diventato molto impegnativo".




 
Il Casera Vecchia di Varrone è stato aperto nel 1981 ed è di proprietà del Comune di Premana, il quale lo ha affidato in concessione alla locale sezione del CAI. Si trova al centro di una valle silenziosa, verde, serena che si apre in tutta la sua bellezza a chi ha l'ardore di percorrere i 9 chilometri che la separano dalla zona industriale di Premana, punto di partenza del sentiero per la Valvarrone. "All'inizio è stata dura perché questa zona non era conosciuta quanto la val Biandino. Piano piano, grazie a Internet e al passaparola, abbiamo costruito la nostra clientela, che da dopo il Covid è cambiata tantissimo" ha evidenziato la rifugista. "Prima erano per lo più conoscenti che venivano a trovarci. Dopo la pandemia ha iniziato ad arrivare di tutto. Gente che chiede un succo alla sambuca oppure qualcosa per aggiustare delle scarpe rotte durante la passeggiata".




Dal 2007 al 2010, mentre la signora Antonella si occupava del Casera Vecchia, il marito Angelo gestiva il rifugio Santa Rita, sul confine tra la Valvarrone e la val Biandino. "Era il 2010, aveva nevicato tantissimo. Un gruppo è venuto su in valle per trascorrere il Capodanno al Santa Rita. Indossavano scarpe assolutamente inadatte a una simile passeggiata e io mi sono permessa di farglielo notare. Mi è stato risposto che tanto erano di Prada" ha proseguito Gianola. È di fronte a racconti come questi che ci si rende conto di quanto sia diffusa l'ignoranza. "Fare il rifugista non significa solo preparare e portare in tavola un piatto di pizzoccheri. L'incidente è sempre dietro l'angolo. L'altro giorno il vento mi stava portando via dei teli. D'inverno bisogna tracciare la pista se nevica tanto o spaccare il ghiaccio per riuscire ad arrivare qui con la jeep. Può essere che gela l'acqua e bisogna risolvere il problema" ha aggiunto la rifugista premanese. "È un lavoro duro, difficile. Lo si fa per passione più che per soldi, anche se nell'ultimo periodo di gente ne è arrivata. Ci sono i premanesi, che anche d'estate stanno sempre dentro a mangiare, e i brianzoli, che invece pranzano all'esterno. Di stranieri se ne vedono pochi. Loro, però, si adattano di più e poi lasciano sempre la mancia".




Il rifugio Casera Vecchia di Varrone dispone di tre camere: una da dieci, una da quattro e una da due. Queste ultime hanno ognuna il loro bagno. "Il nostro menù è quasi fisso. Uno dei piatti che proponiamo di più sono i pizzoccheri accompagnati dal taroz. È una pietanza tipica valtellinese. Si fa con patate, fagiolini, formaggio e pancetta. Poi prepariamo spesso anche la polenta con i formaggi di malga o con lo spezzatino" ha sottolineato Antonella Gianola.


 
Fuori, intanto, il giovane cane Speck correva sui prati cercando di fare amicizia con un gruppo di cavalli. "È molto amato dagli escursionisti, soprattutto dai bambini ma non solo. Quando passano da qui, tutti gli fanno una foto" ha raccontato sorridendo la rifugista. Dopo avergli dato da bere, Antonella Gianola ci ha accompagnato fino all'imbocco del sentiero. In lontananza, il pizzo Varrone e il pizzo Trona si stagliavano maestosi a dominare la valle. "Mi dispiace lasciare il Casera Vecchia, ma è ora di andare in pensione. Purtroppo, anche le cose belle devono finire" ha concluso la rifugista prima di salutarci.
A.Bes.
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