Premana: a 87 anni 'nonno Peppino' torna sull'Ortles-Cevedale (3.269 metri), come in quella marcia alpina del 1958

Ritorno al rifugio Casati sull’Ortles-Cevedale dopo 65 anni, «ancora con lo spirito di alpino» della volta precedente. Giuseppe Gianola, “nonno Pepino”, 87 anni, premanese, da quella struttura a 3269 metri d’altitudine ci era passato nell’estate del 1958 durante una marcia che aveva portato il suo battaglione, il “Morbegno” naturalmente, dalla valtellinese Santa Caterina Valfurva a Solda in provincia di Bolzano. Poi non ci era tornato più. 


Giuseppe Gianola

Fino a domenica scorsa, quando ha ceduto alle insistenze della figlia Orietta che nel mese di agosto era salita a lavorare proprio nella cucina del rifugio che quest’anno compie il secolo di vita: di proprietà del Cai Milano, se ne cominciò la costruzione nel 1922 e venne inaugurato nel dicembre 1923, e da cento anni è punto di riferimento per le ascensioni sul Monte Cevedale e sul mitico Gran Zebrù. E allora, l’anziano alpino premanese è tornato su. Certo, un po’ più leggero e con qualche aiutino, rispetto al 1958.



«Allora – ricorda – ero alpino a Bolzano ed eravamo venuti a Bormio per un campo di venti giorni al Forte Oga. Poi, il 10 luglio, il momento del campo mobile. Partiti da Santa Caterina, eravamo saliti fino al rifugio Pizzini con sette o otto ore di marcia e poi un’altra ora e mezzo per il Casati dove ci eravamo fermati a dormire e il giorno dopo già verso Solda: la notte era nevicato e quella mattina c’erano trenta centimetri di neve fresca. In spalla, lo zaino da 30 chili con le divise estiva e invernale, i viveri, la tenda, le armi…».



Questa volta, un pezzo di marcia se l’è risparmiato, arrivando in auto fino al ghiacciaio dei Forni sopra Santa Caterina e poi in jeep fino al rifugio Pizzini. A piedi, è rimasta l’ora e mezzo per il Casati, ma sono pur sempre quasi seicento metri di dislivello e soprattutto pesa l’altitudine. Il “Pizzini” è a 2700 metri, il “Casati” a 3269.
«Non mi preoccupava il camminare – racconta l’alpino Gianola – perché ho sempre camminato e ancora cammino. Ma temevo che l’altezza potesse darmi qualche problema. E invece ce l’ho fatta, anche senza molti affanni. Il sentiero poi, quando l’avevo fatto nel 1958 era bello ripido, adesso l’hanno sistemato ed è più dolce».



Rispetto a 65 anni fa, però, il grande cambiamento è quello climatico. Il rifugio Casati venne costruito, nel 1923, sul ghiacciaio, che ora è quasi sparito; lo stesso edificio rischia di "scivolare" e ne è già stato deciso l’abbattimento: sarà ricostruito più a velle.
«Mi ricordo – continua Gianola – che nel 1958 arrivavamo alla porta camminando sul ghiaccio. Adesso non più. Hanno costruito dei ponticelli di legno per raggiungere l'uscio, ma sotto ci sono circa tre metri di vuoto».
D.C.
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