Bellano: il vicario don Simone 'in festa' con i confratelli della classe 2020 a tre anni dall'ordinazione

Grande partecipazione ieri a Bellano alla celebrazione eucaristica nel terzo anniversario di ordinazione presbiteriale del vicario don Simone Zappa e dei suoi confratelli. Il 5 settembre 2020 – data dettata dalla pandemia, perchè solitamente avviene nel mese di giugno - in Duomo a Milano i 22 diaconi sono stati infatti ordinati sacerdoti dall’arcivescovo Mario Delpini e hanno ricevuto la comunicazione della loro destinazione parrocchiale a servizio delle relative comunità.



La Chiesa dei Santi Nazzaro e Celso “non ha mai visto radunarsi così tanti sacerdoti giovanissimi” ha detto il parroco don Emilio Sorte in apertura, affiancato da Monsignor Ivano Valagussa, vicario del Clero, don Andrea Regolani, responsabile dell’ISMI, don Marco Crippa, padre spirituale in seminario, e don Angelo Viganò, parroco di Perledo, con i famigliari degli stessi preti che festeggiavano l’anniversario.



Durante l’omelia il neo parroco di Civate don Lorenzo Valsecchi ha preso spunto dal Vangelo appena letto dicendo che “contiene una di quelle frecciatine che magari anche a noi è capitato di sentire da parte di qualche amico impertinente o da qualche malalingua: "Zappare non sa zappare, mendicare si vergogna... Poteva giusto fare il prete! Almeno così si è sistemato"".



Poi ha proseguito con la spiegazione, ponendo degli interrogativi sui compiti dei sacerdoti. “Battute a parte, perché uno si dovrebbe fare prete? Cosa rende un prete un buon prete? Un buon amministratore, per usare l'immagine del Vangelo? Altezza, forza, capelli, carattere amabile, fantasia pastorale, pazienza, bellezza, saper cantare o ballare, amare lo studio? Magari l'attenzione ai poveri, alla cura dei dettagli, essere bravi liturghi o avere sempre le parole giuste?”.


Domande alle quali ha dato anche delle risposte, negando ciò che si era chiesto. “In realtà no. E per fortuna, perché altrimenti noi preti del 2020 saremmo fregati, guardateci, guardiamoci” ha affermato, riprendendo come esempio le letture appena ascoltate che hanno dato come suggerimento cose diverse dai suoi interrogativi. “Forse per essere un buon prete, ma in realtà per essere un buon cristiano visto c'è un sacerdozio comune a tutti i battezzati, dovremmo semplicemente stare nella verità, vivere alla luce, da figli della luce. Certo è che se Giovanni deve raccomandare queste cose alla sua comunità significa che queste cose scontate non erano, nemmeno nella Chiesa delle origini, nemmeno nel vivo dell'entusiasmo ardente dei primi secoli. Per tutti, in fondo, è più comodo non stare alla luce. Questo non significa nemmeno che siamo uomini e donne che vivono nelle tenebre. Semplicemente possiamo dire che ogni tanto la penombra non ci dispiace”.


Don Lorenzo Valsecchi durante l'omelia

Poi ha portato come esempio la vita da adolescente. “La ragazza che vedevi in lontananza o nella penombra ti sembrava bellissima. Salvo poi accendere la luce o avvicinarti. Un po' come quando incontri il tuo prete una volta all'anno e ti sembra il migliore del mondo... Salvo poi iniziare a lavorarci insieme”. Perché la penombra - ha proseguito - "rende le cose più facili da nascondere, ammorbidisce le bruttezze e stempera gli eccessi. È facile vivere così. Forse troppo”.


Poi ancora don Lorenzo ha incalzato con l’esempio di Giovanni che dice che “stare alla luce della verità chiede di fare i conti anzitutto con la verità di noi e degli altri. E la verità è che viviamo un'esistenza ricevuta, come ci ricorda il nostro Arcivescovo. La verità è che siamo al più amministratori, non proprietari, che la nostra vita si gioca fra un dono e il rendere conto di questo dono. Perché ogni vita inizia dalla gratuità di Dio, ma ci chiama anche a una responsabilità. In questo tempo forse abbiamo smesso di prendere scelte importanti, perché non vogliamo avere responsabilità, non vogliamo rischiare, non vogliamo farci male".


"E allora non scegliamo - ha proseguito, sostenendo che ognuno deve essere responsabile della propria vita e della vita di chi ama. Non è questione di "se" o "ma"... Noi siamo già chiamati a una responsabilità, la nostra vita deve rispondere all'amore di Dio. Altrimenti appassisce, rimane sciatta, scialba, insipida, senza gusto. Se non rispondiamo all'amore, se non ci prendiamo questa responsabilità, la nostra vita rimarrà mediocre. E noi rimarremo insoddisfatti, infelici”.


Il celebrante ha quindi portato l’esempio di Madre Teresa per ricordare che la nostra vita deve rispondere all'amore “con coraggio, a volte osando strade diverse e nuove. E sempre con quella consapevolezza di essere semplicemente strumenti nelle mani di Dio [...]. Per essere un buon prete non bisogna mentire a noi stessi e riconoscere che è il sangue di Gesù che ci rende degni, è lo Spirito che ci dona i carismi per il bene comune, è il Padre che ci accoglie ogni volta che cadiamo guarendo la nostra infermità”. Don Lorenzo ha quindi concluso dicendo che “forse da preti un solo peccato ci è concesso: l'eccesso di misericordia. Sia questa la nostra disonestà”.


I sacerdoti lecchesi, da sinistra: don Marco Ruffinoni (Introbio), don Riccardo Fumagalli (Merate), don Simone Zappa 
(Cantù-Bellano), don Riccardo Cagliani (Verderio), don Marco Sala (Casatenovo), don Lorenzo Valsecchi (Civate)

Un momento di grande fede, dunque, quello vissuto durante la funzione, nel cammino spirituale “di questo gruppo così numeroso, uno dei più consistenti degli ultimi anni – come ha detto don Emilio in conclusione –. Questi sacerdoti hanno tre anni di messa e ne avranno davanti ancora tanti, almeno sessanta”, la chiosa, con l'invito a tutti a pregare per le comunità che questi giovani accompagnano giovani per “compiere la volontà del Padre”.


I sacerdoti davanti alla gigantografia di don Simone

Il gruppo dei sacerdoti ha quindi invitato i parrocchiani di Bellano a vegliare sulla “preziosa vocazione di don Simone, il "cucciolo" del gruppo", in quanto più giovane di tutti, ora 28enne. Il vicario stesso ha voluto concludere ringraziando i suoi confratelli per essere venuti sul Lario per questa ricorrenza a rendere testimonianza dell'offrire la vita per gli altri. All’uscita, sul sagrato della Parrocchiale, la foto di rito con la “classe del 2020” e i celebranti, nonchè davanti alla gigantografia di don Simone appesa alla vetrina di un bar, facente parte dell'ormai noto "Ritratto di Bellano".
M.A.
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