Vita da Capanat/3: il Sora Casari e il suo orso polare, una storia affascinante

Un orso polare ai piani di Bobbio. Quello annunciato da alcuni cartelli fuori dal rifugio Sora Casari sembrava uno scherzo e invece non lo era. Non solo c’era davvero un esemplare di quel tipo, ovviamente imbalsamato, esposto nella zona ristorante, ma esso nascondeva anche una storia affascinante: quella della famiglia Casari.



“Siamo intorno alla metà degli anni '30 quando mio nonno, Angelo Casari, nativo di Concenedo a Barzio, costruisce il “Casari Vecchia” nel vallone del vecchio sentiero che portava in quota ai Piani di Artavaggio. Fu così che iniziò a fare il rifugista con la sua famiglia” ha esordito Rossana Casari. “Nel 1950 l’attenzione di mio nonno, esperto sciatore, si rivolge ai piani di Bobbio. Qui costruisce il Sora, chiamato così in onore del capitano degli alpini Gennaro Sora, morto proprio quell’anno, che nel 1928 volle il mio congiunto come sottoposto nella spedizione alla ricerca di Umberto Nobile al Polo Nord”.



Il riferimento è alla tragedia passata alla storia come “Tenda Rossa”. Il 15 aprile 1928 il dirigibile Italia partì da Milano per una "missione" scientifica nel Polo Nord. Il comando delle operazioni fu affidato a Umberto Nobile, generale dell’aereonautica e ingegnere, il quale si era già recato nel profondo nord due anni prima. Durante il viaggio di ritorno, l’Italia si schiantò sui ghiacci per cause mai completamente accertate. Otto persone dell’equipaggio morirono mentre le altre rimasero bloccate al freddo per sette settimane in attesa dell’arrivo dei soccorsi.



“Quando Angelo Casari fece rientro in Italia decise di costruire il suo terzo rifugio, ora gestito dai miei cugini e a lui intitolato. Si trova ai piani di Artavaggio, in una posizione più centrale. Mio nonno lo affidò ad alcuni parenti e tornò al Sora” ha proseguito Rossana, oggi titolare della struttura assieme ai suoi tre fratelli Angelo, Natalia e Ambrogio. “Dopo la morte di Angelo Casari, questa realtà fu portata avanti da mio padre Fulvio assieme a sua moglie Giuseppina Ruffinoni. Mio papà non solo divenne maestro di sci come mio nonno, ma organizzò con lui altre due spedizioni al Polo Nord. Durante la seconda, nel 1978, fu recuperato quest’esemplare di orso bianco”.



Oggi, dunque, siamo arrivati alla terza generazione di Casari. “L'impegno è sempre più grande perché sono aumentate le difficoltà di gestione legate alla stagionalità del lavoro e all'aumento dei costi. Tuttavia noi teniamo duro e, nel ricordo del papà e del nonno, cerchiamo di darci da fare tutti insieme per andare avanti in quella che è sempre stata la nostra vita e la nostra passione” ha concluso la terzogenita di Fulvio Casari prima di salutarci.



Pertanto, è stato suo fratello Ambrogio a raccontarci qual è la situazione oggi. “L’ultimo anno prima del Covid è stato toccato il record di affluenza ai Piani di Bobbio: diecimila persone in un solo giorno. Dopo la pandemia, il numero di turisti è un po’ calato e quest’estate è stato basso. Noi siamo fortunati perché il rifugio è nostro e non dobbiamo pagare l'affitto” ha sottolineato il signor Casari. “Qui, comunque, arrivano molte più persone d’inverno. Tanti sono clienti storici, che hanno imparato a sciare grazie a mio padre o a mio nonno e ora tornano con figli e nipoti. Si vedono poi tanti cinesi che salgono ai piani di Bobbio. Molti di loro arrivano privi delle attrezzature necessarie”.



Nel complesso, il Sora Casari offre 120 coperti, quasi sempre del tutto occupati nei mesi freddi. “Lavoriamo a pieno ritmo. Il nostro staff è composto da sette dipendenti. Trovare personale per noi non è difficile come si può pensare. Chi viene a lavorare qui sa che si finisce in tempo per scendere con la funivia, ovvero entro le 17.00” ha proseguito l’ultimogenito di Fulvio Casari.
Benché i turisti continuino ad arrivare a frotte, la neve non è più quella che c’era negli anni Trenta. “Una volta si sciava fino a Barzio. Adesso non si riesce più perché raramente la neve tiene a quote così basse. L’ultimo anno in cui ne è arrivata tanta è stato il 2020, quando le strutture erano chiuse per il Covid. Ormai quel livello di precipitazioni è un’anomalia” ha concluso il signor Ambrogio.

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A.Bes.
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