PAROLA CHE PARLANO/140

Perdonare

Ecco una parola che ha compiuto un lungo tragitto sia in ambito semantico sia in quello dei sentimenti e che continua, ancora oggi, a mostrarci tutte le sue sfumature. È indubbio che nasca dal verbo donare, dal latino dōnum o dal più antico dànum, a sua volta dal sanscrito dâna, dono, quindi regalare, rimettere, senza alcun tornaconto.
Esiste un'altra parola simile, condonare, che ha la stessa origine (con e donare), cioè concedere in dono; tuttavia, questo termine, pur non abbandonando del tutto il suo primitivo significato, ha preso una via nuova, giuridico-burocratica, quindi, oggi, possiamo condonare un debito o un reato. È con il latino medievale che, cambiando il prefisso, nasce il termine perdonare. Bisogna però aspettare l'affermarsi del volgare italiano per assistere alla sua totale trasformazione che si attua nella sfera morale e in quella dei sentimenti.
A volte temiamo che perdonare voglia dire dimenticare, cancellare, assolvere, riportando però in questo modo la sua azione a quella del termine condonare, quindi un atto puramente sociale, dettato dall'intelligenza e non dal cuore. Il perdono in realtà non cancella l'atto compiuto da chi lo riceve, ma permette a chi lo concede di togliersi tutti gli strascichi angoscianti come il desiderio di vendetta, la rabbia e l'odio.
Per comprendere appieno la sua potenza, potremmo chiedere aiuto a Manzoni e al suo alter-ego padre Cristoforo che, ancora novizio, così si rivolge al suo superiore (ricordiamo che Lodovico-Cristoforo ha ucciso in gioventù un nobile):
"Permettetemi, padre, che, prima di partir da questa città, dove ho sparso il sangue d'un uomo, dove lascio una famiglia crudelmente offesa, io la ristori almeno dell'affronto, ch'io mostri almeno il mio rammarico di non poter risarcire il danno, col chiedere scusa al fratello dell'ucciso, e gli levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancore dall'animo".
E, ancora, così Cristoforo parla a Renzo, mostrandogli il suo persecutore, don Rodrigo, ormai in punto di morte:
"Tu vedi", disse il frate, con voce bassa e grave. "Può essere gastigo, può essere misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest'uomo che t'ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te quel giorno. Benedicilo e sei benedetto [...].
Forse la salvezza di quest'uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione... d'amore!"
Solo un mutamento interiore, spesso lento e faticoso, non un atto forzato (Renzo ebbe ammazzato in cuor suo don Rodrigo, e risuscitatolo, almeno venti volte, scrive sempre Manzoni) può portare all'atto sublime del perdono.

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Rubrica a cura di Dino Ticli
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