Vita da Capanat/1: il futuro del Lecco ai Piani di Bobbio è nelle mani di Davide

Spesso, presi da un piatto fumante di stinco e polenta o impazienti di ripartire verso la prossima avventura, non ci si pensa. Non si pensa al fatto che dietro quella struttura in cui si è appena pranzato o dietro quel sorriso che ti ha appena fornito un prezioso consiglio, c’è una storia. E non una storia qualunque bensì quella di un rifugista. Alcuni di loro portano avanti tradizioni familiari vecchie di generazioni, altri hanno scelto di abbandonare le comodità del quotidiano per rifugiarsi in alta montagna. La nuova rubrica “Vita da Capanat” nasce da qui, dal desiderio di far emergere storie troppo spesso trascurate nel mare di numeri e analisi sul turismo nostrano. In provincia di Lecco ci sono circa una trentina di rifugi. Non potevamo intervistarli tutti per ragioni di tempo. Ma a tutti vogliamo dire grazie per il loro impegno nel custodire un valore fondamentale: l’amore e il rispetto per la montagna.


Il sorriso. Colpisce questo elemento quando si entra al rifugio Lecco. Il sorriso di un team di lavoro che viaggia a pieno regime di fronte ad una sala piena di avventori nonostante sia lunedì. Fuori, il vento spazza con dolcezza i prati su cui mucche, capre e asini sono intenti a pascolare. 
“A inizio Novecento il mio bisnonno, Giovanni Folat, gestiva un ristoro vicino all’attuale rifugio della Madonna della Neve in val Biandino”. Sono bastate queste poche parole ad Eugenia Bonacina, attuale titolare del rifugio Lecco, per scoprire il segreto di quel luogo situato nel cuore dei Piani di Bobbio: la famiglia.

Da sinistra Eugenia Bonacina, Michela Rupani, Davide Rupani

“Giovanni Folat era una guida alpina e un accademico del CAI. Era diventato famoso per aver portato ad arrampicare il futuro Papa Pio XI. Mia nonna materna ha poi gestito il rifugio Bocca di Biandino fino al 1994. Dopo la sua morte, i miei hanno continuato fino ai primi anni Duemila mentre io sono venuta qui quando mi sono sposata”. 
Dal 1967, infatti, il rifugio Lecco, di proprietà della sezione CAI del capoluogo, è gestito dalla famiglia Rupani, originaria di Introbio. In principio furono Piero Rupani e sua moglie Rosi, i quali poi passarono il testimone al loro figlio Andrea, marito di Eugenia. “Quando mio marito è venuto a mancare nel 2016 non è stato facile. Io, Davide e Michela siamo riusciti ad unirci e a portare avanti ciò che stavamo creando con Andrea”. 
Man mano che procedeva il racconto, lo sguardo di Eugenia si riempiva di un’intensa emozione. “Certo, a volte litighiamo. Inoltre, non riusciremmo a gestire un rifugio così impegnativo senza la nostra squadra che ringrazio. Il cuore pulsante del rifugio Lecco, però, è la nostra famiglia. Insieme abbiamo trovato la forza per andare avanti”.

Ad un certo punto, dalla cucina è emerso un giovane con i capelli rossi ed il grembiule. Ecco, la terza generazione di “Capanat”. “Nel 2016 mi sono diplomato all’istituto alberghiero di Casargo. Sono cresciuto qui e ho sempre avuto l’intenzione di venire a lavorare qui. Questa è casa mia”. C’era tanta sicurezza nelle parole di Davide Rupani, classe 1998. La sicurezza di chi ha sempre saputo quale strada intraprendere. “La mattina si lavora tutti per la cucina. Durante il servizio, invece, ai fornelli siamo in due, uno per l’interno e uno per l’esterno mentre in sala lavorano due o tre persone. Dopo il Covid abbiamo visto una netta ripresa, ogni anno sembra che il flusso di turisti aumenti anche grazie alla funivia” ha proseguito il giovane rifugista – cuoco. “Da qui passano persone di tutti i tipi. Ci sono gli alpinisti, soprattutto quelli che d’inverno fanno le vie invernali. Ci sono gli sciatori e le famiglie. Ci sono anche tanti stranieri. D’estate sono soprattutto tedeschi e belgi impegnati nel percorrere il sentiero 101. D’inverno, invece, vengono tanti cinesi a sciare”. 
Il rifugio Lecco, lo ricordiamo, è dotato di una sala da pranzo con 95 coperti e 20 posti letto suddivisi in 4 camere con bagno in comune. “Però a dormire siamo soliti ospitare solo la gente abituata a queste esperienze” ha aggiunto Davide Rupani. 
Mentre chiacchieravamo, Michela, la sorella di Davide, rispondeva al quesito di un piccolo turista alla ricerca di una bacchetta dispersa. “Quando mia madre si fermerà, io porterò avanti il rifugio. Mia sorella farà la maestra di sci ma ora è in dolce attesa per cui vedremo” ha sottolineato il venticinquenne con un sorriso.

La vista sui Piani di Bobbio dal rifugio

L’accenno allo scii era un assist perfetto per una domanda sul cambiamento climatico. “Tranne l’anno del Covid, quando ha nevicato veramente tanto, ultimamente le precipitazioni stanno diminuendo. Il clima è più secco” ha evidenziato Davide. 
La cucina chiamava, era ora di salutarci. Tuttavia, dopo la foto di rito c’era spazio per un’ultima domanda. “Qual è il piatto che ami di più cucinare?”. “La combinazione più richiesta dai turisti è tagliatelle, polenta, stinco. Il mio piatto preferito, invece, è il capriolo con la panna” ha replicato entusiasta Davide poco prima di scomparire dietro le porte della cucina. 
Il futuro del rifugio Lecco è senza dubbio luminoso.

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Andrea Besati
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