PAROLE CHE PARLANO/138

Debolezza

Debolezza deriva dall'aggettivo debole (dal lat. debĭlis, da un probabile de- habilis, cioè inabile, incapace). Lo riferiamo letteralmente a chi ha poca forza, poco vigore. In medicina, ha come sinonimo astenia, cioè diminuzione delle capacità fisiche e mentali e facile affaticamento. È evidente come sia stato semplice riutilizzare il termine debolezza per indicare anche l'arrendevolezza, la mancanza di forza morale, l'influenzabilità; a essa abbiamo contrapposto parole come fortezza, coraggio, forza d'animo, fermezza, risolutezza. In un mondo che ammira soprattutto i forti, quelli che si fanno strada con le proprie mani, indipendentemente dai metodi, e che magari aderiscono alla male interpretata affermazione "il fine giustifica i mezzi", i deboli sono messi al margine e additati come modelli negativi. 
Basterebbe, tuttavia, ricordarsi con Aristotele che le persone perfette non combattono, non mentono, non commettono errori e non esistono per rimettere i piedi per terra, accettando i nostri difetti, i nostri sbagli e la nostra debolezza, quella soprattutto che ci spinge a volere dimostrare agli altri la nostra inesistente perfezione. Ci suggeriscono gli psicologi che facciamo fatica ad ammettere di essere imperfetti; così ci convinciamo di saper fare bene le cose, anche quando non è vero. Accettare la possibilità di migliorare è il primo passo per ammettere l'errore e, di conseguenza, per imparare a superarlo.
Se, poi, da credenti, confidiamo nella perfezione di chi ci ha creati, possiamo tranquillamente affermare con san Paolo che quando sono debole, è allora che sono forte.   


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Rubrica a cura di Dino Ticli
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