La frana dal San Martino riaccende i ricordi del dramma della Casa del Sole


Questa volta nessuno si è fatto male. E le reti hanno fatto il loro lavoro. Spavento a parte – e costi per il ripristino da sostenere – tutto è andato per il meglio: l'ennesima frana dal San Martino, abbattutasi questa mattina attorno alle 11 dalla parete che guarda a lago, non può nemmeno lontanamente essere paragonata all'evento più drammatico legato al “monte marcio” che sovrasta Lecco nell'inverno di 54 anni fa. Nelle parole di Aloisio Bonfanti il ricordo – ancora da lacrime agli occhi per chi ha vissuto quei momenti in prima fila – di quella tragedia rimasta nella storia della città.
 
 
Era la una e trenta della notte fra il 22 ed il 23 febbraio 1969, la notte del sabato grasso ambrosiano, quando un pauroso boato scosse la città di Lecco ed il vicino territorio. Un’imponente frana si era staccata dal monte San Martino, nel tratto impervio di parete sovrastante la via Stelvio, la zona residenziale Santo Stefano-viale Turati.
L’enorme massa di detriti, di roccia, di terra, rotolò nel cuore della notte su un edificio di due piani, detto la “Casa del Sole”, provocando morti, feriti e rovine. Sette furono le vittime della frana del San Martino del 1969; gli organi di informazione scrissero di “monte maledetto” che “di quando in quando lascia cadere macigni grandi come case, su Lecco”.
La tragedia del 1969 resta la maggiore nella storia del San Martino, un monte che ha sempre dato preoccupazioni. La frana fu l’inizio di una lunga vicenda intorno al San Martino, con imponenti lavori di consolidamento e protezione dell’abitato.
I lavori del vallo hanno sconvolto la geografia del territorio, un lembo verde sotto il “monte matto”, meta delle passeggiate lecchesi fuori porta sino alla seconda metà del Novecento.
La luce era venuta a mancare nelle case e nelle vie. Nelle abitazioni si sentiva la gente gridare. I primi soccorritori giunti in via Stelvio sentivano le invocazioni dei feriti imprigionati fra le macerie della “Casa del Sole”. Sul posto giunse subito un’auto dei Carabinieri, poi agenti di Polizia, Vigili del Fuoco, Croce Rossa, Finanza, tecnici comunali,  vigili urbani, volontari CAI, Soccorso Alpino e del gruppo Aurora San Francesco. Si chiesero rinforzi a Como, con fotoelettriche, per illuminare la zona della tragedia. Venne organizzato un cordone di protezione intorno alla zona franata, con un plotone dei fanti della Legnano giunti dalla caserma Sirtori, con il maresciallo maggiore Carmelo Altadonna
E’ stata un’opera lunga e pietosa il soccorso ai feriti, il recupero dei morti. Il comando Vigili del Fuoco di Lecco inviò tutti gli uomini ed i mezzi disponibili; la caserma del Bione venne “rimpiazzata” dai volontari del distaccamento di Valmadrera, allertati per eventuali nuovi interventi. Da Como partì subito la prima squadra in uscita, con il brigadiere Enrico Secchi, che sarà, qualche anno dopo, comandante di Lecco. Nella notte arrivò anche il comandante provinciale ing. Angelo Lazzarotto. Alle prime luci dell’alba, mentre continuavano le ricerche tra le macerie della frana, giunse il prefetto di Como, Giovanni Zecchino. Sul posto c’erano autorità cittadine, con il sindaco Alessandro Rusconi, assessori e consiglieri comunali, parlamentari, tecnici del Comune, del settore lavori pubblici, con l’ing. Mario Magnani. Il municipio di piazza Diaz era stato subito aperto nella notte, dal custode residente Sandro Lodetti, e si stava allestendo un gruppo operativo per interventi nel settore Servizi sociali per le famiglie colpite dalla tragedia. Nella celebrazione delle Messe festive si pregò per i defunti, per la guarigione dei feriti e per tutti coloro che erano impegnati nella rischiosa opera di soccorso e di rimozione dei detriti.
Il sopralluogo di oggi
Le vittime furono sette: le piccole Palma e Filomena Carpino, di 11 e 3 anni; i giovani coniugi Antonio e Francesca Aceto, di 26 e 25 anni; Bernardo Statti, di 19; Rosario Gatto, di 69, con la consorte Maria Francesca Madia, di anni 68. Erano tutti di origini calabresi; erano stati residenti nei Comuni di Petilia Policastro e di Petronà, in provincia di Catanzaro.
Imponenti i funerali delle vittime che partirono dalla cripta del santuario della Vittoria, dove era stata allestita la camera ardente. Vennero presieduti dal vescovo ausiliare di Milano mons. Luigi Oldani, presenti numerosi sacerdoti con il prevosto mons. Enrico Assi. Il corteo funebre attraversò il centro cittadino accompagnato dalle note di marce funebri del Corpo musicale Alessandro Manzoni. I sette carri funebri erano scortati da militari della Legnano della caserma Sirtori di via Leonardo da Vinci, che assicuravano il trasporto delle bare all’interno di San Nicolò ed il relativo ritorno verso i carri funebri dopo la cerimonia di suffragio.
Lecco e tutto il territorio vicino si fermarono nel generale, profondo e sentito cordoglio per le vittime della frana, per i feriti e per tutte le loro famiglie.
Era subito scattato nella zona Caviate all’alba della notte della tragedia il provvedimento immediato di sgombero per 29 famiglie, per complessive 105 persone. Lo sgombero degli edifici interessava anche aziende ed attività varie come gli Alberghi Caviate, Corallo “Des Breles” e la trattoria Santo Stefano. Erano stati subito previsti i lavori necessari al risanamento della montagna ed alla protezione della zona. Si prevedeva la durata dell’intervento per un periodo di almeno due anni
Durarono, invece, cinque e gli sfollati poterono rientrare solo nel 1974. L’Unione Commercianti invitò tutti gli associati e quanto volevano manifestare la loro solidarietà a partecipare ad una sottoscrizione a favore delle aziende colpite dal provvedimento di sgombero. Alla sottoscrizione parteciparono anche gi associati dell’Unione Commercianti di Como.
 
A.B.
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