La formica e il poveraccio avranno sempre un angolo di mondo per contemplare le stelle
Non si uccidono le formiche in estate perché corrono velocemente tra un angolo della tua casa alla ricerca di una briciola di pane. Le cicale e i grilli possono cantare la loro storia tra il prato e gli alberi senza rischiare di cadere sotto la suola della scarpa o di una ciabatta. Le formiche cittadine sono condannate a subire la nevrosi rupofobica (fobia dello sporco) di chi non va al mare o in montagna ed è costretto a starsene in casa al riparo del caldo fastidioso.
La caccia alla formica si intensifica nel pomeriggio quando le imposte sono socchiuse e subentra una certa sottile costrizione a non uscire per evitare il sole pomeridiano che batte fortemente sulla calotta cranica e incoraggia la goccia sudorifera a scivolare tra le singole invisibili insenature della pelle.
La caccia alla formica è l’occasione per distrarsi dal lockdown del caldo estivo, è una scusa per scaricare la rabbia su qualcosa che si muove e non si ribella. La formica indifesa richiama i piccoli vermi del film “Sette anni in Tibet” con Brad Pitt che, per non essere uccisi, essendo l’incarnazione di un antenato, sono spostati per la costruzione di una piccola sala cinematografica in un altro terreno.
La formica cittadina, che vive tra le mura di casa, non evoca questa immagine, è solo fastidiosa, sporca e forma una lunga fila indiana per trasportare il cibo con le altre sue compagne. Deve sperare di incrociare un umano distratto, un po’ miope, disattento, solo così può muoversi indisturbata tra tappeti e inciampi.
La formica è come quei poveri cristi che cercano di sbarcare il lunario per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. I poveretti devono stare attenti ai mostruosi onnipotenti, essendo considerati non attivi e poco volenterosi nel cercare un lavoro, per non essere schiacciati: è colpa tua, non meriti niente, arrangiati.
La piccola formica non chiede niente a nessuno, si arrangia, recupera e accatasta quello che trova, ma se per caso incontra l’umano rupofobico è condannata alla fuga e rischia di lasciare sul terreno le sei zampe.
Il rupofobico dovrebbe essere grato alla formica e salutarla con calore, non con la ciabatta in mano, perché con la sua presenza annuncia l’inizio della bella stagione: l’umidità e il freddo se ne sono andati fuori dalla porta insieme ai dolori artrosici.
La formica con il povero cristo sta bene, si fanno compagnia, massimo ci scappa qualche scappellotto, qualche pizzicotto, ma tutto finisce lì: sono ben altri i problemi.
Le formiche sono sociali e collaborano tra di loro a differenza dei rupofobici che tendono a starsene soli per evitare gli altri e passano la giornata con lo straccio e la scopa in mano.
Rupofobici non tollerano la briciola, la macchia sul pavimento, la formica e il ragnetto con la sua bella tela nell’angolo della sala sopra la comoda poltrona.
Le formiche, il ragnetto e la briciola stanno con il povero cristo, che è costretto a recarsi a elemosinare il bonus per superare l’autunno e l’inverno: quando i caldi deretani estivi avranno liberato le panchine, potranno sedersi, correre, rilassarsi e distendersi.
Sotto questo cielo, in qualche angolo di mondo, anche per le formiche e i poveracci c’è sempre un posto libero per contemplare le stelle.
La caccia alla formica si intensifica nel pomeriggio quando le imposte sono socchiuse e subentra una certa sottile costrizione a non uscire per evitare il sole pomeridiano che batte fortemente sulla calotta cranica e incoraggia la goccia sudorifera a scivolare tra le singole invisibili insenature della pelle.
La caccia alla formica è l’occasione per distrarsi dal lockdown del caldo estivo, è una scusa per scaricare la rabbia su qualcosa che si muove e non si ribella. La formica indifesa richiama i piccoli vermi del film “Sette anni in Tibet” con Brad Pitt che, per non essere uccisi, essendo l’incarnazione di un antenato, sono spostati per la costruzione di una piccola sala cinematografica in un altro terreno.
La formica cittadina, che vive tra le mura di casa, non evoca questa immagine, è solo fastidiosa, sporca e forma una lunga fila indiana per trasportare il cibo con le altre sue compagne. Deve sperare di incrociare un umano distratto, un po’ miope, disattento, solo così può muoversi indisturbata tra tappeti e inciampi.
La formica è come quei poveri cristi che cercano di sbarcare il lunario per trovare qualcosa da mettere sotto i denti. I poveretti devono stare attenti ai mostruosi onnipotenti, essendo considerati non attivi e poco volenterosi nel cercare un lavoro, per non essere schiacciati: è colpa tua, non meriti niente, arrangiati.
La piccola formica non chiede niente a nessuno, si arrangia, recupera e accatasta quello che trova, ma se per caso incontra l’umano rupofobico è condannata alla fuga e rischia di lasciare sul terreno le sei zampe.
Il rupofobico dovrebbe essere grato alla formica e salutarla con calore, non con la ciabatta in mano, perché con la sua presenza annuncia l’inizio della bella stagione: l’umidità e il freddo se ne sono andati fuori dalla porta insieme ai dolori artrosici.
La formica con il povero cristo sta bene, si fanno compagnia, massimo ci scappa qualche scappellotto, qualche pizzicotto, ma tutto finisce lì: sono ben altri i problemi.
Le formiche sono sociali e collaborano tra di loro a differenza dei rupofobici che tendono a starsene soli per evitare gli altri e passano la giornata con lo straccio e la scopa in mano.
Rupofobici non tollerano la briciola, la macchia sul pavimento, la formica e il ragnetto con la sua bella tela nell’angolo della sala sopra la comoda poltrona.
Le formiche, il ragnetto e la briciola stanno con il povero cristo, che è costretto a recarsi a elemosinare il bonus per superare l’autunno e l’inverno: quando i caldi deretani estivi avranno liberato le panchine, potranno sedersi, correre, rilassarsi e distendersi.
Sotto questo cielo, in qualche angolo di mondo, anche per le formiche e i poveracci c’è sempre un posto libero per contemplare le stelle.
Dr. Enrico Magni, Psicologo, giornalista