Lecco, aspettando Santa Marta: l'abito della confraternità che non c'è più

Silvano Sironi con l'abito
Aleggia lo spirito del vecchio borgo adagiato sul non lontano lago, il 29 luglio, nella piazzetta dell’antichissima chiesetta di Santa Marta, vestita a festa per la ricorrenza della patrona, entrata da secoli nella tradizione popolare per i suoi “michini”. Non sono più presenti, però, i confratelli del Santissimo Sacramento che secondo un documento conservato nella parrocchia di San Nicolò erano stati approvati nella loro possibile rifondazione dal cardinale Filippo Visconti, arcivescovo di Milano, con provvedimento canonico del 19 marzo 1795. Entrando nel minuscolo cortile laterale di Santa Marta, salendo lungo la scala con il porticato, si trovava il locale con la scritta “Cancelleria della veneranda confraternita del Santissimo Sacramento”.
La confraternita ha però cessato di esistere intorno al 1970, o poco dopo. Gli ultimi ingressi con la forma ufficiale di investitura risalgono molto probabilmente già agli anni 1959/1960 con tre ventenni. Il priore risulta, però, regolarmente eletto consultando il registro dei verbali dell’assemblea, sino al 1959. In quell’anno è stato Celestino Colombo, classe 1928, residente in via Leonardo da Vinci, cooperatore dell’oratorio San Luigi di Lecco basilica dal 1950.
La popolarità più recente dei confratelli era dovuta alle processioni, dove si notava la loro partecipazione con la mantellina rossa, la veste bianca, stretta ai fianchi da un cingolo di colore rosso o blu. Ma il grande giorno dei confratelli lecchesi era quello della festa di Santa Marta, impegnati a distribuire i popolari michini, piccole forme di pane con farina senza lievito. La tradizione popolare attribuiva ai michini quasi miracolosi “poteri”, in particolare a protezione del mal di stomaco, di altre malattie e delle calamità in generale.
I michini vi sono ancora e saranno distribuiti in Santa Marta al termine della Messa solenne. I confratelli sono usciti dalla storia, si sono allontanati nelle nebbie del tempo inesorabile che passa. Oggi più di una persona si chiede “Ma come si presentavano i confratelli?”. Sfilavano nelle processioni con i loro grandi stendardi, con le mazze dorate o in legno intarsiato, le croci, i ceroferrai. Dove sono finiti gli “abiti” che i confratelli, a norma di regolamento, dovevano realizzare a loro spese, e che rimangono un patrimonio prezioso a testimonianza dell’impegno del popolo di Dio lungo un arco di tempo plurisecolare?
E’ stato chiesto per questo a Silvano Sironi, artigiano di Lecco, ministro straordinario dell’Eucarestia e lettore presso la basilica di San Nicolò, nonché attore filodrammatico nel tempo libero, interprete cinematografico nel film “I promessi Sposi” di Francesca Archibugi, di indossare l’abito dei confratelli.
E’ stato quello di un priore che ha lasciato nel testamento di consegnare ad un cultore di storia locale la sua divisa di confratello indossata con devozione ed orgoglio per tanti anni. Nei suoi ricordi conservava una nota risalente al 1947 di un prete che scriveva “Cari signori confratelli! Vi ho sempre stimato per il vostro spirito di sacrificio, ho ammirato la vostra tetragona formazione, voi assomigliate all’uomo del Vangelo al quale nel fabbricarsi la casa lui scavava molto profondo ed ha gettato le fondamenta sulla roccia. Continuate dunque a dare la vostra opera generosa ed insostituibile alla parrocchia, alla confraternita, all’oratorio di vostri padri. E così sia!”.
A.B.
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