'Rifiuti zero' ottiene i dati sanitari di chi vive vicino al forno di Valmadrera per uno studio alternativo sulle 'conseguenze'
L'impianto di Silea a Valmadrera
Le conclusioni a cui lo studio era giunto erano state che "per quanto riguarda il quesito principale di sanità pubblica, i risultati suggeriscono l'assenza di una relazione chiara e ben caratterizzabile tra residenza in aree a differente ricaduta di inquinanti emessi dall'impianto di incenerimento situato nel Comune di Valmadrera e l'insorgenza di patologie ad essa correlabili, con l'eccezione dei tumori del fegato e vie biliari, il cui eccesso di residenti nelle aree a più elevata ricaduta delle emissioni merita un approfondimento per quanto riguarda le possibili cause”.
Riflessioni riprese da uno degli autori della ricerca, Cristiano Piccinelli del Dipartimento di scienze cliniche e biologiche, Università degli Studi di Torino in un articolo scientifico pubblicato sulla rivista di settore Epidemiologia e Prevenzione (maggio-giugno 2022) e intitolato “Effetti sulla mortalità e morbilità nella popolazione residente nei pressi dell’inceneritore di Valmadrera (provincia di Lecco)”.
Il Coordinamento lecchese Rifiuti zero aveva avanzato a quel punto una richiesta di accesso alle informazioni ambientali, ai sensi del decreto legislativo 195/2005 nei confronti dell’università, richiedendo una serie di dati sulla formazione e strutturazione delle coorti oggetto di studio per verificare insieme ai propri consulenti la correttezza delle conclusioni a cui l’articolo - e lo studio epidemiologico - era giunto.
Di fronte al silenzio dell’ateneo, nel settembre dello scorso anno il Coordinamento, rappresentato dall’avvocato Marco Longoni, è ricorso al Tribunale amministrativo piemontese che ha dato ragione all’associazione, riconoscendo che “i dati relativi alle coorti di popolazione posti alla base di uno studio epidemiologico sugli effetti delle emissioni di una discarica (inceneritore) di rifiuti costituiscono a pieno titolo informazione ambientale strettamente connesse con i riferimenti appena richiamati” e che “i dati relativi alla popolazione oggetto di studio sono pertanto direttamente connessi sia con i fattori ambientali che con lo stato di salute e sicurezza umana di cui all’art. 2, comma 1 lett. a) del decreto legislativo 195/2005 e sono riconducibili alla nozione di informazione ambientale”. L’Università è stata quindi “condannata” a fornire i dati, tutelando la riservatezza delle persone fisiche cui si riferiscono attraverso la loro anonimizzazione e pseudonimizzazione.
L'avvocato Marco Longoni
“L’Università di Torino, tramite i suoi avvocati, ha tentato fino all’ultimo di opporsi alla richiesta di accesso ai dati formulata dall’associazione da me assistita. Ce lo aspettavamo - commenta Marco Longoni - tuttavia i giudici del Tar hanno stabilito che i cittadini hanno diritto ad avere trasparenza e accesso alle informazioni ambientali, anche quando esse sono rappresentate da dati sanitari ed epidemiologici riferiti ai cittadini di un territorio. Questo dà uno strumento in più anche ai sindaci dei Comuni interessati, che hanno il compito di tutelare la salute e l’ambiente. Certo questa sentenza (che non è neppure stata appellata e, dopo diverse insistenze, eseguita dall’Università) incoraggia, perché ha dato ragione, peso e spazio anche al ruolo dei cittadini e dei comitati. Per ora il mio ruolo è terminato ma immagino che il Coordinamento lecchese Rifiuti zero non si tirerà indietro nemmeno questo volta, anzi, mi risulta che sia già al lavoro con i suoi consulenti, anche se la strada è lunga e complicata”.
M.V.