Lecco perduta/384: la città delle 'ferriere' che non vi sono più

Un rappresentante di importanti attività economiche, tornando a Lecco qualche anno fa, dopo un’assenza di decenni per mercati diversi di operazioni e di aggregazioni, dichiarava “La città è cambiata, non vedo più le vecchie ferriere, erano i motori di un miracolo economico senza precedenti, tra siderurgia e meccanica”.

Panoramica dell Acciaieria e Ferriera del Caleotto

Lecco si era scoperta capitale nazionale dell’occupazione, scudetto tricolore dei posti di lavoro nel 1960, a metà del quinquennio 1958/1963, dove tutto sembrava facile e possibile, quando il progresso ed il benessere galoppavano lungo la penisola tra l’ammirazione e la sorpresa di mezzo mondo. Sono stati gli anni del boom economico, una stagione irripetibile dell’economia nazionale, favorita dalla motorizzazione di massa degli italiani, delle Vespa, della Lambretta, di altre moto e delle auto utilitarie, in particolare della 500 prodotta in larga misura dalla Fiat. Una produzione che venne raddoppiata all’annuncio, da parte del Governo di centro-sinistra, di un ampliamento e potenziamento del piano autostradale nazionale. Nuove strade, nuove vetture, tutti in auto.

La FILE in via XI Febbraio

Erano gli anni in cui si accentuava sempre più il flusso migratorio dalle regioni del sud verso il nord, in quanto c’era la possibilità di nuovi posti di lavoro in un periodo particolarmente fiorente per l’economia nazionale.
Un’indagine relativa al territorio lecchese tra il 1959 ed il 1960 metteva in evidenza che in settori facilmente individuabili non era mai stato raggiunto un così alto livello occupazionale. Erano in particolare espansione il settore siderurgico, la meccanica pesante, il ramo metallurgico, la meccanica comune e media.

La DB Macchine  in corso Promessi Sposi nel 1985

Si registrava crescenti richieste di forniture alle industrie locali dagli Stati Uniti, l’artigianato era sempre più nella scia della piccola industria meccanica e dell’edilizia, beneficiando delle buone annate di questi settori. Il commercio segnalava un trend positivo dall’ingrosso al minuto, in particolare nei filati e nelle mercerie, nella frutta e verdura e nel pesce. Crescevano anche le vendite, già avviate con positivi risultati a metà anni ’50, di elettrodomestici e di televisori.

Ingresso raccordi ferroviari della Badoni in via Balicco

Insomma tutto marciava su binari di risultati largamente positivi, investendo anche il settore turistico. A tale riguardo si lamentava, però, la mancanza di idonee strutture alberghiere e ricreative.
Gli anni d’oro si sono spenti e Lecco ha conosciuto un processo di deindustrializzazione già avviato sul finire degli anni ’60 con la Faini di via Parini, nella zona della basilica di San Nicolò. E’ stato il segnale di avvio di una catena di “cancellazioni” iniziate nella seconda metà del Novecento e concluse quasi tutte entro lo stesso secolo. Hanno riguardato la Ferriera del Caleotto, la Forni ed Impianti, la SAE, l’Aldè ed ancora la Badoni di corso Matteotti, la Bettini tra Pescarenico e Maggianico e anche la Beretta di corso Promessi Sposi, l’altra Aldè e la Mambretti della Giazzera.
Insomma la città delle tute blu si andava sempre più spegnendo, quasi cancellando le radici di un filone d’oro dovuto alla laboriosità ed alla volontà robusta della sua gente.

L'ex Aldè lungo l'Adda, tra il ponte Nuovo ed il ponte Vecchio

Nell’autunno 1999, proprio in città, veniva presentato un volume Einaudi sulla storia dell’industria italiana con ampio riferimento a quella lecchese. Nel dibattito locale relativo alla presentazione spuntò anche l’interrogativo “Lecco, città industriale anche nel Duemila?”. Vi furono richiami alla Quinquennale, la rassegna che ogni cinque anni, dal 1922 al 1953, era una vera vetrina dell’immensa gamma della produzione lecchese. La Quinquennale del 1953, svoltasi sempre con la regia dell’ing. Riccardo Badoni, è stata lo specchio di una città che raggiunse in quegli anni il picco economico ed occupazionale. Sono stati gli anni del Caleotto Arlenico con quasi 2000 dipendenti, della SAE che arrivò a 1400, della Badoni, in corso Matteotti, che si affermò sempre più a livello internazionale.

Panoramica della SAE anni '60, in quartiere Acquate

Il suono delle sirene industriali che fissava gli orari di lavoro accompagnava la giornata lecchese con le tante tute blu che raggiungevano la fabbrica in bicicletta, prima della motorizzazione di massa, o arrivavano in città con la fiumana viaggiatori pendolari a breve raggi dei primi treni del mattino. C’era un’instancabile laboriosità quasi di api e di formiche, mentre in città sferragliavano motocarri ed autocarri, mentre lo scalo ferroviario della Piccola Velocità in via Amendola registrava un’articolazione di raccordi ferroviari che portava i vagoni in sette grandi complessi per la consegna od il carico a domicilio.
Insomma un quadro vivacissimo, che non si è prolungato nel Duemila per una serie complessa di produzioni, di mercati, di vendita ed anche di materie prime. Certo che la città delle ferriere è nei ricordi, in attesa forse di un boom turistico lungo il Duemila.

Forno di colata al Caleotto

Lecco è collocata nell’eccezionale posizione  di “piedi nel lago e testa sulla vetta del Resegone”, come ha dichiarato in una recente intervista il sindaco Mauro Gattinoni. Sarebbe quest’ultima la premessa per un nuovo secolo da inventare e da realizzare.
A.B.
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