Il Lecco Film Fest si chiude con il 'botto': in tantissimi per Carlo Verdone

La giornata conclusiva del Lecco Film Fest – quella di oggi – è stata la domenica di Carlo Verdone, con il momento finale in una piazza Garibaldi gremita che al termine dell’incontro è esplosa in un’autentica ovazione per l’attore e regista romano. Verdone avrebbe dovuto essere ospite della scorsa edizione del festival, ma il Covid lo aveva bloccato anche se non aveva rinunciato a collegarsi in streaming. Promettendo che sarebbe venuto a Lecco quest’anno. Così è stato. E il contatto diretto è naturalmente tutto una magia, soprattutto con un incantatore come lui.



La formula della presenza di Verdone al Lecco Film Fest è stata la stessa dello scorso anno. La proposta di un lavoro al quale il regista si sente particolarmente legato e poi un incontro a briglie sciolte in piazza. Nel 2022, il film proposto era stato “Ordet” del danese Carl Theodor Dryer, pellicola del 1955 di non facile lettura che entusiasma i cinefili e disorienta il pubblico meno attrezzato, film peraltro citato anche dal regista Marco Bellocchio in occasione del confronto avuto con il prevosto lecchese e anima del festival don Davide Milani, sabato pomeriggio in piazza XX Settembre.


Carlo Verdone

Quest’anno, Verdone ha invece scelto “Umberto D.”, drammatico del 1952 di Vittorio De Sica, pellicola tra le più significative del neorealismo italiano sviluppatosi nell’immediato secondo dopoguerra e che ha segnato la storia del cinema. Non è stato certamente elemento secondario nella decisione la recente ripubblicazione di “Cinema neorealista”, il libro del 1977 di Mario Verdone, padre di Carlo ma soprattutto grande critico.


La coda all'esterno del "Nuovo Aquilone"



Sala Ticozzi

Per assistere alla proiezione di “Umberto D.” al “Nuovo Aquilone” già un’ora prima si è formata una lunga coda e la sala non è stata sufficiente a contenere tutti gli appassionati. Si è così ricorso a un collegamento in streaming con la sala Ticozzi. Dove comunque, prima che si spegnessero le luci, Verdone ha voluto portare di persona un saluto agli spettatori. 


Sulla destra don Davide Milani


Gianna Martini

Tra i quali – curiosità – c’era un’anziana signora, Gianna Martini, ex insegnante ora naturalmente a riposo avendo 93 anni, la quale “Umberto D” l’aveva visto quand’era uscito in prima visione in un cinema lecchese, probabilmente il “Lariano” di via Caprera: «Eravamo giovani, in verità ci aspettavamo un film d’amore, invece è una storia tristissima…».



Per iniziare, Verdone ha spiegato l’importanza e il significato che il neorealismo ha avuto in Italia non soltanto dal punto di vista cinematografico, ma anche sociale, con tanto di immancabili polemiche politiche. I film di quella corrente – ha detto l’attore e regista – costituiscono la memoria storica del nostro Paese, perché allora guardavano a quello che non si voleva vedere. Ed è sempre bene andare a cercare il passato perché si capisce meglio il presente. I temi dei film neorealisti sono ancora attuali: la questione degli ultimi, degli anziani, dei malati, dei bambini, perché ancora oggi un quarto della popolazione italiana vive in povertà. Solo che non ottiene visibilità: vanno avanti le influencer che magari ti consigliano l’acquisto di una borsa da 1.600 euro, quando invece c’è un pensionato costretto a vivere con la “minima”, 500 al mese». Lo stesso Verdone, nel libro “La carezza della memoria” scritto durante la segregazione da Covid, racconta di una vicina di casa dall’aspetto irreprensibile, curatissima, residente in una palazzina più che dignitosa che ha visto rovistare nei cassonetti...


Il secondo momento, come detto, in una piazza Garibaldi gremita, dove Verdone, accolto da un grande calore, da richieste di selfie e autografi, ha raccontato una serie di aneddoti della propria vita, «e ce ne sarebbero tanti per ogni film che sono fatiche e divertimento»: rocamboleschi esordi durante il periodo universitario e certe esibizioni in un teatrino underground, concedendo al pubblico lecchese un breve saggio con l’esilarante figura di un parroco di campagna che in qualche modo è davvero esistito, il clima degli anni Settanta, i rapporti tumultuosi con i produttori sempre un po’ scettici, l’incontro quasi surreale con Roberto Rossellini e la propria ammissione al Centro sperimentale, le pastasciutte “clandestine” cucinate sul set dalla sora Lella (Elena Fabrizi). Più recentemente papà Mario che gli appare in sogno rimproverandolo per aver aggiunto un proprio breve intervento e un altro del fratello Luca alla nuova edizione del libro sul neorealismo: «Lo vedo spesso in sogno, mi manca molto, è stato un grande uomo, un grande educatore».


Verdone ha anche spiegato come nascano i personaggi dei suoi film, raccolti nella vita di tutti i giorni, negli incontri casuali, per le strade di Roma. Erano gli amici e le persone frequentate un tempo, sono le coincidenze di oggi: «Alle persone ho cercato di rubare l’anima» riproducendone pose, movenze, incedere, voci e maniere. Ed è per quello che probabilmente certe frasi dei suoi film sono spesso diventate tormentoni, perché nascono dalla quotidianità e «funzionano».
D.C.
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