Lecco: nigeriano ferito con due coltellate, chiesti 7 anni per 'tentato omicidio'


Il processo (aperto ormai da tempo) è a un passo dal volgere al termine. Manca solo la sentenza ora calendarizzata per la prossima settimana, con udienza fissata per mercoledì 12. Quest'oggi sono state rassegnate le conclusioni. Il pubblico ministero Pasquale Gaspare Esposito - ultimo erede di un fascicolo più volte passato di mano tra sostituti procuratore - non ha dubbi: Happy Omoregie, cittadino nigeriano da anni ormai in Italia, dapprima come richiedente asilo, oggi - come sottolineato dal difensore - regolarizzato, con una sua famiglia e il casellario giudiziario lindo, è da ritenersi responsabile del ferimento, domenica 23 luglio 2017, di un connazionale, raggiunto da due coltellate in zona Caleotto. Tentato omicidio l'ipotesi di reato ascritta all'imputato, chiamato a rispondere anche di una presunta rapina in danno alla stessa persona offesa, costituita parte civile e rappresentata a processo dell'avvocato Daniela Sacchi, accodatasi al PM nel chiedere la condanna del giovanotto, allargando la sua responsabilità anche in ordine alla seconda accusa, fatto non sussistente, invece, nella ricostruzione del dottor Esposito.
Il rappresentante della Procura - pur facendo esplicito riferimento al concetto di "credibilità frazionata" - anche alla vittima, non ritenuta dunque totalmente sincera - ha chiesto una condanna pari a 7 anni, evidenziando la gravità della condotta ascritta al nigeriano sulla base dei referti medici (la seconda delle due coltellate inferte alla persona offesa non ha intaccato il polmone per poco, probabilmente perché l'aggressore non ha spinto abbastanza o per la lunghezza della lama non sufficiente) evidenziando altresì come il ferito abbia fatto subito il nome del suo assalitore, utilizzando un nomignolo, per poi riconoscere Happy Omoregie nell'album fotografico mostratogli dai poliziotti che si sono occupati del caso. Falso, poi, per il dottor Esposito, l'alibi dell'imputato che ha sostenuto di trovarsi a Milano, in chiesa, il pomeriggio del 23 luglio 2017. A smentire l'africano, come rimarcato anche dall'avvocato Sacchi, le verifiche fatte analizzando celle telefoniche e telecamere cittadine. E gli occhi elettronici comunali, di contro, sono stati utilizzati anche dal difensore - l'avvocato Monica Grosso del Foro di Torino - per sostenere il contrario, ovvero che manca la prova che Happy Omoregie si trovasse nei pressi del centro commerciale La Meridiana al momento dell'accoltellamento. Sempre se di accoltellamento si sia trattato, non essendo mai stata trovata l'arma, nemmeno nella perquisizione operata a carico del suo assistito, ospite allora di un centro di accoglienza. Non rinvenuti nemmeno abiti insanguinati come il presunto provento dell'ipotizzata rapina. Senza dimenticare - ha esordito il legale - che la stessa parte civile ha parlato di 6 aggressori, senza essere in grado di riferire chi avesse in mano l'asserita lama.
L'ultima parola spetta ora al collegio (presidente Martina Beggio, a latere Giulia Barazzetta e Gianluca Piantadosi).
A.M.
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