Olginatese: maltrattamenti in famiglia (cani compresi), è condannato a 7 anni e mezzo. E rischia un secondo processo


Lei avrebbe voluto che il processo non venisse celebrato, “rimangiandosi” in Aula il contenuto delle denunce sporte a suo tempo, in più momenti, ai Carabinieri e minimizzando anche le condotte in qualche modo documentate, da foto come da certificati medici. Venendo contestato però un reato procedibile d'ufficio, il tentativo della donna-vittima, tornata ad essere a tutti gli effetti compagna, di ritirare le querele e “salvare” l'imputato non è andato a buon fine. Anzi. Il procedimento è arrivato oggi a conclusione, con la pesante pronuncia del collegio giudicante (presidente Bianca Maria Bianchi): 7 anni, 6 mesi e 15 giorni, questa la condanna irrogata in capo a un soggetto, già incappato, anche recentemente, in problemi con la Giustizia, chiamato a rispondere dei reati di maltrattamenti in famiglia e maltrattamenti su animali, in considerazione delle botte che avrebbe riservato non solo alla convivente ma anche ai loro due cani, uno dei quali, come raccontato in Aula da uno dei figli della donna, sarebbe addirittura stato preso, in più occasioni, a sprangate tanto da non riuscire, dall'agitazione, a trattenere i “bisognini”.
Il lasso temporale preso in esame nel corso del processo è quello ricompreso tra il 2019 e il 2021, quando la coppia, con bimbi propri e figli nati da una precedente relazione della giovane mamma, viveva nel circondario olginatese. In casa si respirava un “clima di generale intimidazione”, aveva sostenuto, nella propria requisitoria il sostituto procuratore Simona Galluzzo, arrivando a chiedere la condanna dell'uomo a 5 anni di reclusione, ritenendo provati una serie di episodi di violenza fisica e psicologica nei confronti della denunciante, non costituita – chiaramente, vista la volontà di non far celebrare il processo – parte civile, nemmeno nell'interesse dei figli, indicati quali ulteriori vittime delle condotte di un compagno aggressivo che sarebbe arrivato addirittura a spegnerle delle sigarette sul corpo e a intimidirla così tanto da farla rimanere per tre giorni chiusa in una stanza temendo ulteriori ripercussioni. Un compagno che, pur non lavorando, avrebbe preteso a più riprese soldi dalla donna, anche per spese futili come l'acquisto di telefonini (spaccandone poi altri nei momenti d'ira). Da valutare, secondo il collegio giudicante, la possibilità di contestare all'uomo a tal proposito anche il reato di tentata estorsione, motivo per cui, in sentenza, è stata disposta la restituzione degli atti al PM. La questione potrebbe essere ben altro che chiusa, insomma, anche dopo la condanna, di rilievo, odierna.
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