SCAFFALE LECCHESE/157: la Guida itinerario-Alpina-Descrittiva firmata da... un musicista

In quella che è stata definita una dotta introduzione (“Lecco e dintorni nella letteratura itineraria”), Mario Cermenati, scienziato e politico ma anche presidente della sezione lecchese del Cai per più di trent’anni, passa in rassegna le varie guide e descrizioni del territorio lecchese pubblicate fino al 1903. Anno nel quale per la Tipografia dei Fratelli Grassi esce la “Guida itinerario-Alpina-Descrittiva di Lecco” compilata dal professor Edmondo Brusoni, presentato in copertina come membro del Cai di Como.

Secondo Cermenati, fino a quel momento era mancata «una guida “integrale”» del territorio lecchese. E dirà il pubblico – aggiungeva - se l’opera di Brusoni «ha adeguatamente ricolmo il vuoto che si lamentava, e se potrà bastare alle esigenze di quest’epoca di moto generale e di spiccata predilezione per ogni sorta di gita, a piedi ed in carrozza in treno ed in piroscafo, in bicicletta ed in automobile».
A proposito dell’autore, va detto che Brusoni era prima di tutto un musicista e come tale infatti lo celebra la via che il Comune di Lecco gli ha intitolato in quel rione di Maggianico dove molte vie hanno richiami musicali a ricordare i fasti dell’epoca scapigliata.

Brusoni nacque e trascorse la giovinezza a Melegnano, si trasferì a Domodossola e poi a Locarno, prima di arrivare a Lecco dove tra l’altro, nel 1904, diresse anche la banda Manzoni. Fu organista, maestro di musica e di canto, ma anche compositore. Nella Svizzera italiana è ricordato per avere musicato l’inno dei ticinesi. E fu alpinista, nell’accezione dell’epoca quando alpinisti erano tutti coloro che andavano per diletto su per i monti. Ed è in tale veste che sarebbe stato soprattutto ricordato.

Non tanto per le imprese sportive, quanto per una serie di guide turistiche ed escursionistiche pubblicate nel giro di pochi anni: il Lago Maggiore, le Alpi valsesiane con il Monte Rosa, il Lago d’Orta e la Valle Strona, le Alpi centrali, il Lago di Como e appunto la “Guida itinerario-alpina-descrittiva di Lecco». Per la quale, l’editore pare abbia scelto copertine diverse secondo i luoghi di vendita, dimostrando un particolare fiuto commerciale.  Chi scrive si è imbattuto in una “Guida completa della Valsassina” ma anche nella “Guida delle Prealpi di Lecco”.

La prima parte del libro è una guida turistica vera e propria. Una ventina di itinerari proposti. Sbilanciati comunque verso il lago e la montagna. C’è, per intenderci, poca Brianza.

C’è Lecco naturalmente (già allora «il borgo ormai diventato città») con i suoi monumenti, il ponte, le chiese, il municipio (allora nella via che sia chiamava Stoppani e oggi è via Roma ed è il Palazzo Ghislanzoni venduto dal Comune nel 2019), il teatro, altri palazzi e le “passeggiate”: «Da pochi anni in qua, Lecco s’è bellamente ornata di pubblici passeggi. Infatti se prendiamo le mosse dal Palazzo delle scuole (l’attuale via Ghislanzoni, ndr) ove cominciano le piante, fiancheggiando sempre il torrente Caldone fino alla sua foce, e di là piegando a destra fino all’estremità attuale della piantagione formante il Giardino Pubblico (quello del Monumento ai Caduti sul lungolago, ndr), abbiamo un ombroso e ben regolato passeggio che prosegue lunghesso la sponda del lago fino all’Imbarcadero, e di là alla punta formata dal torrente Gerenzone ove si ammira un tratto di lago veramente incantevole».

Ci sono i villaggi della conca che diventeranno i rioni della città, ci sono i paesi dell’immediato circondario, ci sono i monti che li sovrastano. C’è l’ex convento di San Francesco sul monte Barro «trasformato in un grandioso hotel e stabilimento di cura climatica, donde poi in mezz’ora si ascende alla sommità del monte». Mentre invece il convento del monte San Martino «è e non deve essere mai stato che una stalla». C’è San Giovanni alla Castagna che «havvi il maggior numero di fucine e di magli pel ferro, di cui ci giunge all’orecchio il rumore dei misurati battiti e che ci annuncia la fervente vita ed operosità di quegli antri». C’è, ancora, la grotta di Laorca che «diaramasi in altre cavità cieche (…) La mano dell’uomo la ornò (secondo altri la deturpò) con una chiesetta, un ossario e una cappelletta»; ciò nonostante, la grotta comunque «passa per essere la più bella di Lombardia». E poi Neguccio, Sant’Egidio, la Rovinata, Campo de’ Boi, la Capanna Stoppani. E Malgrate, Valmadrera, Preguda.

Brusoni accompagna poi il visitatore lungo il lago fino a Colico. Passando per Mandello nel cui «territorio vi sono miniere di piombo e cave di marmo “persichino”  da cui furono tratte le otto grandiose colonne interne della Chiesa del Crocifisso a Como»; per Lierna con richiami a Sigismondo Boldoni che riteneva sorgesse in quel paese la famosa Commedia, villa di Plinio; per Varenna: «Non si potrebbe ideare situazione più deliziosa» dove «passare giorni d’incanto»; per la soprastante Vezio: «Raccomandabile la salita a questo colle (mezz’ora)» dal quale si gode una vista stupenda e dove  sorgono i resti del «Castello degli Sfondrati che si facevano nominare Conti della Riva», castello che la leggenda popolare sostiene sia stato costruito, come tante altre rocche, «dalla regine Teodolinda» la quale vi avrebbe addirittura trascorso «i suoi ultimi giorni»; per Bellano «che sarebbe la Manchester d’Italia se non vi fossero Como e Lecco», con il richiamo dell’Orrido: «Una gola assai degna da visitarsi. Di esso finora si sono date descrizioni erronee, essendosi fra l’altro detto che presenta una formidabile cascata alta 60 metri (altri dicono 90!), mentre invece questa è semplicemente una caduta artificiale alta pochi metri, sebbene assai rumoreggiante»; per Dervio: «Rimarchevole il vastissimo fabbricato della Ditta Redaelli di Malavedo sopra Lecco ove si fabbricano fusti per ombrelle, tele metalliche ed altri cavi; fino all’immancabile abbazia di Piona.

E poi la Valsassina con il suo capoluogo Introbio con la cascata della Troggia «tra le più belle delle Prealpi lombarde» e l’antichissima miniera di Camisolo «recentemente riattivata da una Società inglese». L’altopiano, invece, non era ancora rinomata meta di villeggiatura tant’è che Cremeno «in sé nulla offre di notevole», però stando a Barzio «di magnifico effetto è il comparire del sole, nelle mattine d’estate, sulle creste delle Grigne, che si colorano di rosso rame». Mentre a Cortenova c’era «la bella villa De Vecchi, circondata da un magnifico giardino e che porta una nota assai vivace ed allegra nel circostante paesaggio alquanto monotono». Proprio al contrario di oggi, dunque, quando la villa diventata ormai rudere è invece una nota di acuta tristezza nel paesaggio. Naturalmente, il villaggio di Taceno era «ben noto a quelli che frequentano i Bagni di Tartavalle». L’itinerario prosegue fino alla Valle Taleggio e si spinge a Morbegno raggiungibile in otto ore e mezzo a piedi passando per Biandino, lungo la Valvarrone e Gerola. Ancora, la Muggiasca e Vendrogno con l’istituto Giglio, Val d’Esino dove è stato ritrovato il fossile di Lariosaurus, «mostruoso rettile che nuotava nel più ristretto mare che copre questa regione».
La guida si spinge fino alla Val Masino e a Codera, alle valli bergamasche, al Pian d’Erba. Per ogni località riporta notizie storiche ed economiche oltre alle informazioni pratiche come trattorie e alberghi. Per esempio, «al ponte di Premana trovasi una buona e pulita osteria in una casa di recente costruzione, ove il ciclista può depositare la sua macchina, perché la strada carrozzabile e ciclabile è giunta al suo termine».
Perché ci si muove anche in bicicletta, oltre che con i mezzi pubblici come carrozze o i treni ancora gestiti dalla Rete Adriatica. Mentre «da Monza a Barzanò ci serviremo della tramvia a vapore, da Barzanò a Oggiono andremo a piedi, ed in ferrovia faremo il rimanente da Oggiono a Lecco».

La seconda metà del libro è invece quella “alpinistica”, dedicata appunto alle escursioni in montagna, all’epoca decisamente un po’ più complicate di oggi. Anche solo per il fatto che nelle ascensioni più impegnative era necessario affidarsi a una guida locale a conoscenza dei sentieri. E infatti la descrizione dei percorsi non è dettagliata come oggi e ben poco servirebbe all’escursionista che non conosce i luoghi. Però, ci sono cartine orografiche in grado di competere con quelle moderne. Brusoni indica quasi quattrocento itinerari ed è dunque quasi un censimento certosino di tutte le escursioni possibili su tutti i monti del territorio lecchese, delle zone più prossime di Valtellina e Val Chiavenna e delle vicine valli bergamasche. Passando dalle passeggiate più leggere alle salite più impegnative.

L’elenco sarebbe stucchevole. Basti dire che si va dalle basse colline briantee (il Montereggio, il Poggio Lissolo, il San Genesio) per impennarsi col monte Barro e più su ai Corni di Canzo e al Moregallo. E oltre. Al confine con la Bergamasca, ci sono l’Albenza, il Colle di Sogno e Pertusio, ma naturalmente c’è il Monte Serada o Resegone di Lecco del quale ci dà l’altitudine quasi al millimetro (metri 1874, 31) e che «il Manzoni ha [reso] celebre in tutta Italia, forse tanto come il Vesuvio, l’Etna, il Monte Rosa».

E poi le Grigne: di quella di Moncodeno o Settentrionale «da alcuni detta Grignone» Brusoni scrive che è «una delle più celebri montagne per non dire addirittura la più celebre fra le Prealpi italiane: Anche sotto il semplice aspetto descrittivo e itinerario, meriterebbe una speciale monografia». E, ancora, il Pizzo dei Tre Signori e il Legnone il quale «oltre al panorama estesissimo esso offre al botanico una flora assai ricca». E poi i monti della Valtellina e della Val Chiavenna, dell’Alto Lario. Di alcuni itinerari molto si scrive, di altri un po’ meno e di qualche ascesa sui picchi meno frequentati quasi nulla addirittura mancando allora qualcuno che l’avesse compiuta e ne avesse quindi lasciato un resoconto.


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Dario Cercek
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