In viaggio a tempo indeterminato/288: fischiando...si parla

"Fififi fiuuu"
È la prima volta nella mia vita che qualcuno fischia il mio nome, o meglio che dice il mio nome fischiando, o sarebbe meglio dire che fischia i suoni del mio nome.
Bene, detta così non si capisce un bel fischio di nulla. Ma questa è la fine della storia e forse sarebbe meglio partire dall'inizio per raccontare una delle esperienze più assurde, e a tratti allucinanti, che abbiamo mai vissuto.
Tutto è iniziato con un "Vi offro un gelato!" urlato da un ragazzo mentre ancora stavamo capendo dove parcheggiare il van.
Le dimensioni del mezzo in cui viviamo sono molto ridotte, ma per qualche incomprensibile motivo, ogni volta che dobbiamo parcheggiare per la notte, ci sentiamo come se fossimo alla guida di un transatlantico. Mettiti lì. Ma siamo in discesa. Lì c'è poca ombra. Là c'è la strada vicino.
Insomma, eravamo presi dall'impresa titanica di parcheggiare un minivan lungo quanto una Panda, quando si è avvicinato a noi questo ragazzo incuriosito probabilmente dallo strano aspetto della nostra macchina con targa italiana.
"Mi chiamo Hakan e lui è mio figlio" ci dice indicando il bambino che tiene per mano.
Hakan abita a Görele, una città non troppo bella sulla costa del Mar Nero. Siamo arrivati qui dopo aver percorso la strada trafficata a due corsie da Trebisonda in una uggiosa giornata di giugno.

Hakan ci porta al chiosco che vende gelati e ci fa vedere un elenco dei gusti disponibili. Sono solo 5 o 6: cacao, anguria, melone, pesca e altri che il traduttore si rifiuta di tradurre. Non riusciamo a vedere l'aspetto del gelato perché è nascosto da coperchi scintillanti in acciaio.
Io scelgo anguria, Paolo un mix di più gusti.
Il gelataio, nel frattempo, ha raggiunto la sua postazione dietro il bancone.
Ci guarda un po' storto o forse è solo il suo modo di fare.
Si mette a parlare con Hakan e, non capisco il turco, ma sembra proprio si stia lamentando di qualcosa.
"Apre solo per l'estate" ci dice Hakan senza entrare troppo nel dettaglio della conversazione con l'accorato gelataio che, nel frattempo, ha preparato i nostri coni gelato.
"A gelato donato non si guarda il cono" era così il proverbio più o meno?
Sinceramente dopo aver visto il conetto con sopra una pallina rosa, le mie aspettative erano piuttosto basse. E invece, con mia grande sorpresa, il gelato era davvero delizioso. Fresco e dal sapore genuino.
Hakan fa il contabile e ha un suo studio. Da poco ha avuto due gemelli, oltre al bambino che sta con lui ora.
"Non dormo da 4 mesi, cioè da quando sono nati. Mia moglie è medico e ora è a casa con loro." ci racconta.
"Voi che programmi avete?"
"Domani vorremmo andare a Kuskoy" dice Paolo un po' titubante sulla pronuncia.
"Ah, Kuskoy! Davvero? Ci abitano i miei genitori. Potete andare da loro domani... Anzi, andiamo insieme se volete, così vi aiuto a tradurre con le persone del villaggio."
"Ma è vero che parlano la lingua degli uccelli?"
"Certo! Anche i miei genitori la parlano!"
Io e Paolo ci guardiamo.
Domani sarà una grande giornata.
Salutiamo e ringraziamo Hakan e ci diamo appuntamento per la mattina dopo.
Sono le 5 ormai e il cielo sta diventando sempre più grigio. Potrebbe piovere a momenti, quindi ci rintaniamo nel van e ci prepariamo per la giornata successiva.

VIDEO


Dopo una colazione rapida, accendiamo il van e iniziamo a prendere la strada che lascia la costa ed si infila nell'entroterra. Seguiamo il letto del fiume che si fa strada tra pareti rocciose ricoperte da una fitta vegetazione. Hakan apre la strada davanti a noi con la sua macchina, Paolo è attento alla guida del van e io non posso far a meno di fermare lo sguardo sulle donne impegnate a lavorare nei campi. I fazzoletti colorati che indossano in testa risaltano in mezzo al verde accesso dell'erba.
In una mezz'ora arriviamo a destinazione e parcheggiamo a lato della strada.
"Benvenuti a Kuskoy" ci dice il papà di Hakan, che nel frattempo ci ha raggiunti.
Ci stringe la mano e poi si mette a fischiare e i suoni che emette ricordano moltissimo le parole "hos geldeniz" che in turco significano appunto "benvenuti".
Ci incamminiamo per l'unica strada che attraversa il piccolo villaggio.
Qui abitano circa 200 persone e la maggior parte sono contadini impegnati nella raccolta delle nocciole.
Incrociamo un signore "as-salaam 'alaykum" ci saluta. "Wa Alykom As-slam" rispondiamo noi.
E poi si mette due dita in bocca e inizia a fischiare. "Benvenuti a Kuskoy" ci traduce Hakan.
"Ma può dire tutto fischiando?" chiede Paolo.
"Sì, sì. Qualunque frase in qualunque lingua"
"Può fischiare 'mi piace la pizza'?"
Hakan traduce, il gentile signore si infila nuovamente due dita in bocca e fischia una frase.
"Ha detto 'A me piace moltissimo la pizza'".
Sorridiamo, stupiti e storditi, e ringraziamo.
Continuiamo la nostra esplorazione del villaggio e la stessa scena appena vissuta si ripete.
Ogni persona che incontriamo ci saluta e ci fischia un benvenuto.

Ok, detta così può sembrare una cosa alquanto bizzarra.
Ma la realtà è che in questo paesino tra i monti si sono inventati un modo di comunicare tutto loro, una vera e propria lingua, la lingua degli uccelli.
Le case, in questo piccolo angolo di mondo, sono disposte a picco sui lati della montagna, con il fiume che passa in mezzo.
In passato, quando non esistevano i telefoni, per comunicare da una casa all'altra utilizzavano questo linguaggio fatto di fischi che riproducono fedelmente il suono delle singole parole.
Una specie di linguaggio in codice che è tornato molto utile durante la seconda guerra mondiale perché permise alle persone del villaggio di avvertire dell'arrivo delle truppe russe.

Oggi, per colpa o grazie ai telefoni cellulari, comunicare fischiando non è più una necessità.
Sono soprattutto le persone anziane che sono ancora in grado di usare questa lingua, ma la dentiera, come ci hanno spiegato, non aiuta affatto quando c'è da fischiare.
Qualche anno fa l'Unesco ha dichiarato questa lingua "Patrimonio dell'umanità" nella speranza che non vada scomparendo completamente.
E mi piace pensare che, nel nostro piccolo, anche noi stiamo contribuendo a non far cadere nell'oblio una tradizione così originale e unica.
La nostra storia a Kuskoy è iniziata con un gelato all'anguria e finisce con la mamma di Hakan che fischia "Angela ciao", il "Fififi fiuuu" dell'inizio di questo articolo.
Ma la realtà è che storie come questa vanno oltre le parole usate per scriverne e le immagini filmate per raccontarle.
Le storie così vanno ad occupare un posto speciale nel nostro cassetto dei ricordi e restano lì, in attesa di essere ritirate fuori un giorno.
"Ma ti ricordi quella volta che in un villaggio sperduto si son messi a fischiare "Forza inter?"

Angela (e Paolo)
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