SCAFFALE LECCHESE/156: il buen retiro di Ghislanzoni con ''La posta di Caprino''

Non ancora sessantenne, Antonio Ghislanzoni si "ritirò" a Caprino Bergamasco, una sorta di eremo scelto per trascorrere gli ultimi anni (sarebbe morto nel 1893) e dove comunque la passione di una vita per il giornalismo non lo abbandonò. E proprio l'ultimo scorcio di vita lo impiegò nella pubblicazione di un nuovo giornale, "La Posta di Caprino", uscito dal 15 luglio 1890 al 3 dicembre 1892, con una interruzione intermedia di quindici mesi (tra il giugno 1891 e l'ottobre 1892) e una periodicità variabile.

 

Primo numero

 

Oltre un secolo dopo, nel 2004, la Fucina Ghislanzoni, associazione di studi che proprio a Caprino ha sede, ha promosso la raccolta dell'intera collezione dei numeri della "Posta" in un volume curato da Gian Luca Baio, Giorgio Rota e Carlo Tremolada.
Nei saggi introduttivi, Giuseppe Farinelli (docente di letteratura con profonde conoscenze dell'Ottocento italiano e della Scapigliatura) e Gian Luca Baio (archeologo e bibliotecario, tra i promotori della "Fucina") spiegano come "La Posta di Caprino" sia stata l'ultima autentica fatica giornalistica di Ghislanzoni, non ritenendo "classificabile" la direzione del settimanale "La Cronaca di Lecco e Circondario" fondato nel 1891 tra gli altri da Ulisse Cermenati in quanto tale collaborazione fu «sporadica, saltuaria e, a onor del vero, poco feconda a causa soprattutto del precario stato di salute dello scrittore» il quale a un certo puntò delegò a occuparsi del giornale lecchese il nipote Giambattista Barboro (1864-1938), figura per i lecchesi caduta in oblio ma che lasciò un segno non indifferente a Sanremo, dove sarebbe vissuto a lungo.
Si sa che Ghislanzoni fondò più di un giornale. Come egli stesso ricorda nel "preludio" del primo numero della "Posta di Caprino". Che altro non sarebbe se non "l'ultima trasformazione" («E auguriamoci che abbia proprio ad esser l'ultima e la più prospera») delle precedenti esperienze: lo "Straordinario", il "Figaro", la "Rivista minima", la "Petite Révue" e il "Giornale Capriccio".

Al lettore moderno, la "Posta" può apparire una pubblicazione un po' confusa, disordinata. Non tanto dal punto di vista grafico che testimonia invece una particolare accuratezza, quando da quello dei contenuti. Non era invece molto diversa da quanto si stampava all'epoca. Occorre inoltre considerare i mezzi a disposizione del suo editore e direttor oltre che unico redattore e unico giornalista con dodici specchi messi appositamente a fingere una popolosa redazione, come egli stesso raccontò a un corrispondente inglese: «Entrando nel salottino, il reporter prese nota di tutti i miei mobili e parve assai colpito dal vedere che tutte le pareti erano coperte di specchi. Più stupito ancora egli rimase quando gli dissi ch'io teneva tutti quegli specchi per vedere sempre quello ch'io mi faceva, e per illudermi di avere molti redattori. "I vostri redattori sono dunque...?" Dodici, come vedete, gli risposti additandogli la mia persona riflessa dagli specchi».

La seconda testata

 

Alla sua uscita, il 15 luglio 1890, "La Posta di Caprino" si presentava come "Giornale epistolario di un vecchio romito". All'anno secondo di pubblicazione, il 15 gennaio 1891, si dichiarava "Giornale di A. Ghislanzoni".
Non si rivolgeva soltanto a lettori locali, ma anche a un pubblico milanese, presso ilò quale veniva distribuito attraverso qualche edicola pur con non pochi problemi.
Allora, peraltro, Caprino non era poi così lontano dal circuito culturale, come oggi si potrebbe pensare: «Benché il modo di pensare collettivo della maggioranza dei cittadini - spiega Baio - sia sempre stato fortemente pervaso dalla cultura cattolica, la società caprinese ha sempre espresso e mantenuto al suo interno, per precise ragioni storico-sociali, una consistente e qualificata rappresentanza intellettuale e aperta alle istanze laiche e indipendente dalla cultura ideologica dominante. (...) In un'ideale mappatura della geografia dei luoghi letterari d'Italia, Caprino Bergamasco occupa una piccola ma non del tutto trascurabile porzione. (...) Una dignità culturale e segnatamente letteraria assume un rilievo particolare proprio nel quindicennio in cui Ghislanzoni visse a Caprino e tale periodo si connota da questo punto di vista forse come il più ricco di tutta la storia del borgo bergamasco; in questa tornata d'anni Caprino Bergamasco fu crocevia dei destini e delle esistenze di importanti esponenti della cultura lombarda e nazional dell'ultimo ventennio del secolo. Di tale fermento intellettuale Ghislanzoni fa indubbiamente parte importante e "La Posta di Caprino" ne rappresenta la cronaca fresca, la testimonianza veritiera e uno dei frutti più maturi indissolubilmente legato all'ambiente e ai luoghi in cui vide la luce».
Un respiro dunque più che locale, ma a Caprino e dintorni includendo in questi anche Lecco e naturalmente Maggianico (con il quale Ghislanzoni manteneva ancora fotti legami), il giornale aveva ben salde radici. Riportando anche episodi di cronaca locale. Nera e di costume. A volte in maniera seria, a volte nello stile del suo direttore-editore: «Dieci anni di vita contemplativa - si legge ancora nel "preludio" - non hanno di molto modificate le nostre idee, né il nostro temperamento. Forse siam diventati più scettici in politica, più ecclettici in arte, più indulgenti alle fralezze umane, più disposti a sorridere, che a deridere».
Il parroco di Caprino ne sconsigliava la lettura, facendo gongolare Ghislanzoni che in tal modo contava di ricavarne vantaggio, in realtà la vera e propria campagna del prete contro "La Posta" qualche problema lo creò.
«Inizialmente - dice Baio - il numero degli associati dovette essere soddisfacente (...) Tuttavia il numero di lettori subì dopo i primi mesi del 1891 una certa flessione causata probabilmente dalla difficoltà di gestire da una sede periferica e decentrata come quella di Caprino i canali distributivi e la rete di vendita diretta del periodico».
Per associati si intende abbonati per allargare la platea dei quali Ghislanzoni ideò vere e proprie iniziative promozionali: chi avesse raccolto una decina di abbonamenti avrebbe ricevuto in premio un dipinto a olio realizzato dallo stesso Ghislanzoni, chi quaranta abbonamenti l'autoritratto. Successivamente anche buoni
«per un pranzo da consumarsi nella nostra casa di Caprino, a libera scelta del giorno, nei mesi da maggio a tutto settembre 1891» ma anche per una settimana o due di villeggiatura «nella nostra casa, stanza ammobiliata e servizio».
Del resto, nella stagione estiva, lo scrittore affittava volentieri camere per periodi di riposo prolungato, ma anche per qualche "scappatella", come testimoniato da una manchette pubblicitaria: «Ai signori villeggianti: nella casa del signor Antonio Ghislanzoni sono ancora affittabili tre camere ammobiliate al prezzo di 20 lire al mese. Si ricevono in pensione anche giovinotti o signore di carattere allegro, al prezzo di lire 4,50 al giorno, compreso l'alloggio - A carico del pensionante, il caffè e le candele - Alla sera, concerto musicale, tombola e altri giuochi innocenti».
I contenuti del giornale sono i più svariati: c'è tanto teatro, ci sono aneddoti veri o inventati (già circolavano barzellette sui carabinieri), storielle, giochi e sciarade. E poi «sfoghi personali di un intellettuale amareggiato - registra Farinelli nell'introduzione -, lacerti di umorismo grottesco, schegge critiche, ricordi di amici scomparsi, passi ripresi da giornali, note politiche, geografiche, cronachistiche e di costume, perfino beghe di bottega e menù di osteria, punture di un anticlericalismo moderato dalla sapienza e dalla pazienza di un galantuomo». A proposito di punture, sentite questa: «Quanti asini occorrono per formare il clamoroso raglio dell'opinione pubblica?»
Senza, come detto, tralasciare la cronaca spicciola. Il carabiniere che salva due bambine da una casa in fiamme a Caprino e che qualche mese dopo riceverà una medaglia, un'esplosione al polverificio Piloni alla Bonacina di Lecco, le disgrazie che lasciano sgomenti soprattutto quando le vittime sono bambini. Episodi festaioli come la visita dell'ispettore scolastico seguita da «un banchetto ed un ballo dove la temperanza dei maestri e la verecondia delle maestrine spiccarono esemplarissime» ravvisandoci noialtri, con tutto rispetto, un che di ironico. Avvenimenti "civici", come la serata lecchese del 25 marzo 1891 di commemorazione dell'abate Antonio Stoppani deceduto il 1° gennaio di quell'anno.
C'è, a puntate, una storia di Lecco dal 1832 al 1848 e nella quale, tra varie altre amenità, ci racconta del famigerato maestro Balbiani che si faceva i pediluvi in classe ma anche del prevosto Antonio Mascari, «un pretone tarchiato, dalla voce stentorea che piaceva alle donne e sgomentava i fanciulli» e che «si lasciava trascinare in azioni compromettenti» finendo anche a processo per «aver ricettato delle merci di contrabbando»

Copertina libro

Sul fronte politico, oltre all'anticlericalismo, "La Posta" non è certo asettica. Prende posizione, si schiera in campagna elettorale. E si compie la "svolta crispina": «Le prime importanti partecipazioni di Crispi alla politica parlamentare postunitaria - scrive Baio - dopo la caduta della destra storica nel 1876 erano state accompagnate dal consueto disincantato scetticismo del Ghislanzoni» ma nella "Posta" «si passa da questo atteggiamento di larvata ostilità, a una partecipe adesione al programma e all'agire politico dello statista siciliano». Basta leggere questo articolo: «Era dunque un colosso - quel signor Francesco Crispi che da tre anni reggeva le sorti dell'Italia -era dunque una intelligenza superiore, una energia straordinaria, una potenza di primo ordine? Non è più lecito dubitarne. Non si scatenano sui mediocri tali nembi di invettive di contumelie, di recriminazioni e di sarcasmi»
E che dire di certe considerazioni di fronte ad alcuni efferati delitti riportati dalla stampa nazionale? «Pare che quest'anno per le gozzoviglie del Natale si scanneranno ancora più capponi che uomini - ma, per poco che la civiltà progredisca, è probabile che l'anno prossimo so scanneranno più uomini che capponi. (...) Mi sono inginocchiato davanti a una forca, ed ho recitato quella giaculatoria che sempre erompe dall'ira popolare, in presenza di certi delitti e di certi malfattori - e mi è parsa onesta la giaculatoria del popolo, quanto ipocrita e stupida la legge che tutela la vita dei mostri».
Della tanta attenzione al teatro si è detto. E non poteva essere diversamente per un Ghislanzoni che per il teatro aveva abbandonato gli studi per poi ripiegare sulla scrittura di libretti d'opera. E allora cronache, recensioni, anticipazioni, polemiche e commenti come quello sul contenzioso tra Giuseppe Verga e Antonio Mascagni per i "diritti" - come li chiameremmo oggi - della "Cavalleria rusticana".
Infine, quando "La Posta" ritornò dopo i quindici mesi di pausa, si propose come organo del progetto "Per l'arte nazionale" che lo stesso Ghislanzoni lanciò per sollecitare interventi a favore degli artisti di teatro e dei musicisti Per esempio: «Portiamo nei teatri diseredati un nuovo repertorio di melodrammi espressamente scritti, la cui esecuzione non richiegga gravi spese di messa in scena».



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Dario Cercek
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