Il linguaggio Meloniano, appare funzionale alla comunicazione di massa ma è dimesso e ridondante
Enrico Magni
Eppure alcune testate giornalistiche importanti e alcune trasmissioni radiotelevisive organizzano festival e in estate fioriscono premi letterari, artistici, spettacoli vari. La cosa sarebbe confortante, stuzzichevole, peccato che le edicole abbassino le saracinesche e ristagnino sotto il cocente sole desertico come rottami nelle piazze o agli angoli delle stazioni.
Secondo il rapporto OECD-PIACC, in Italia il 28% circa delle persone tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale: non è in grado di comprendere un testo complesso.
Per l’Istat 2019, meno della metà della popolazione legge quotidiani abitualmente. La lettura dei giornali è prerogativa degli adulti: solo il 13,1% dei ragazzi dagli 11 ai 14 anni ne legge almeno uno in una settimana, si sale al 28,1% tra i 20-24enni, i lettori di quotidiani diventano poco meno del 40% tra i 35-44enni, mentre raggiungono la quota più alta tra gli ultra 65enni. I giornali sono più letti al Nord (il 41,8% del Nord-ovest e il 47,9 % del Nord-est contro il 37,3% del Centro, il 29,2 del Sud e il 31,4 % delle Isole) con eccezione della Sardegna, dove il 48,4% consulta quotidiani.
Il 49% della popolazione non legge mai testi, o li legge molto raramente. Solo il 14% legge un libro una volta al mese (vedi l’attuale Ministro alla Cultura). In Francia legge un libro all’anno l’88% delle persone tra i 15 e i 65 anni di età, in Norvegia 9 persone su 10, nel Regno Unito l’86%, negli Stati Uniti sono il 72%.
Rispetto a qualche anno fa oggi c’è meno voglia di approfondire, ci si limita a restare in superficie, pensando che basti leggere il titolo per conoscere i contenuti di un articolo e che i feed dei social siano la lista di notizie più neutrale e completa che ci sia.
Per incrementare il quoziente intellettivo della popolazione l’attuale governance si è impegnata a produrre, con la televisione pubblica, i Telegiornali Meloniani su tutti i canali per 24 ore: tutto va bene madama la marchesa o meglio, madama Meloni. Il linguaggio romanesco usato, o italico nazional romanesco, è spaventosamente sgradevole. E’ composto da una fonematica destrutturata, mal organizzata, da una sintassi espressiva sincopata con pochissime articolazioni o subordinate, che rende il linguaggio stringato e imperativo. Ci sono solo affermazioni ripetute, riconfermate, semplici. Anche se è funzionale per la comunicazione di massa, è un linguaggio dimesso.
Se il linguaggio articolato con una serie di subordinate apparteneva ai politici precedenti, quello attuale è ridondante e poco costruttivo.
I telegiornali meloniani al posto di incrementare il livello della comprensione, riguardante la complessità sociale, culturale e politica, tendono a semplificare. L’esempio classico è quello del borioso Ministro della Cultura che, con orgoglio, afferma di leggere un libro al mese: non è certo di buon esempio per gli studenti e non solo. Quelli che leggono sono i soliti: con i loro sei sette libri al mese alzano la statistica. Leggere fa bene alla politica e alla salute mentale.
E’ fastidioso ascoltare quotidianamente il romanesco: altro che don Milani!
Non necessariamente bisogna imparare da Protagora, Gorgia, Prodico, o ricercare un logos horthótatos dell’età d’oro della polis ateniese, basterebbe usare un linguaggio rigoroso e formalmente preciso per definire le cose: ci si accontenterebbe di un linguaggio spurgato da fonemi dialettali romaneschi che evocano suoni lontani. Ma dove sono finiti gli altri?!!
Dr. Enrico Magni, Psicologo Psicoterapeuta