Lecco: legalità, coraggio, paura. Il racconto di Marta Fiore, nipote di Paolo Borsellino

L'invito ai ragazzi è lo sprone contenuto nelle parole di Antonio Caponnetto che fu il primo capo del pool antimafia: «Mordete la vita, giocatevela alla grande e cambiate questo mondo, noi adulti siamo incapaci». Così Marta Fiore ha concluso il suo intervento, interrotto anche da un momento di forte commozione, davanti agli studenti nella scuola "Maria Ausiliatrice" di Olate a Lecco, dove si è tenuto un seminario dedicato alla memoria di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, i due magistrati simbolo della lotta alla mafia uccisi entrambi nel 1992 in due terribili attentati, il primo il 23 maggio e il secondo il 19 luglio.

Marta Flore

Proprio per questo è stata istituita la Giornata della legalità per la lotta contro tutte le mafie che ogni viene celebrata in Italia proprio il 23 maggio. Giornata che all'istituto "Maria Ausiliatrice" ha celebrato con un giorno di anticipo e che ha appunto ospitato Marta Fiore, figlia di Rita Borsellino che di Paolo era la sorella minore. L'occasione è stata una mattinata promossa in collaborazione tra la scuola lecchese e il sindacato dei lavoratori agricoli della Cisl, nell'ambito di un percorso avviato già da tempo per sensibilizzare i ragazzi sui temi della lotta alla criminalità organizzata e che tra i suoi momenti significativi - ha ricordato la direttrice suor Francesca Robustelli - nel settembre dello scorso anno con la staffetta della legalità con una margotta (un ramo potato) dell'ulivo piantato in via D'Amelio a Palermo dove è stato ucciso Borsellino che è stato portato fino a Lecco e messo a dimora nel recinto della "Maria Ausiliatrice", passando prima da Roma per la benedizione papale (CLICCA QUI).

Un'esperienza alla quale si sono aggiunti gli approfondimenti in classe e le gite scolastiche a Napoli e a Palermo proprio per "guardare da vicino". Gli allievi della terza media e quelli del liceo sportivo, guidati rispettivamente dal professor Alessio Dossi e da suor Maridele Sandionigi, hanno raccontato di questi loro viaggi, della visita al rione Sanità di Napoli e al Vicolo della Cultura dov'è stata allestita una sorta di biblioteca popolare, delle poesie declamate dal balcone di vecchi palazzi barocchi e certe voci diffuse nell'aria «che sembravano false, ma in quel rione anche le cose più strane sono vere»; della visita al bunker al tribunale di Palermo dove lavoravano Falcone e Borsellino «una visita che ti cambia non solo come persona ma anche lo sguardo portandoti a vedere la realtà in maniera differente» diventando allora più comprensibile il "consumo critico", vale a dire lo scegliere dove fare acquisti e cosa comprare: come appunto hanno fatto i ragazzi dell'Ausiliatrice a Palermo che frequentavano soltanto i negozi con esposto il marchio "Addio pizzo" a significare l'adesione alla campagna contro gli estorsori, quella che ha visto come prima vittima Libero Grassi, il negoziante palermitano che si rifiuto di pagare il "pizzo" imposto dalla mafia e per questo venne ucciso nell'agosto 1991.

 

Da questi racconti ha preso spunto Fiore, rivolgendosi agli studenti: avete scelto di vedere, perché come sempre e com'è successo tante volte in passato, si può scegliere di vedere o di non vedere. Ed è quanto fa la differenza, ricordando come da ragazzini Falcone e Borsellino giocassero a pallone con coetanei che sarebbero diventati mafiosi e interrogandosi quindi su quando si fossero persi di vista quei ragazzi che avevano preso altre strade...
«La responsabilità - ha detto Fiore - è qualcosa che costruiamo a poco a poco nella vita. L'educazione è importante, ma siamo noi che scegliamo quali messaggi accogliere», ricordando quella volta che per due anni andò a Corleone per la raccolta dei pomodori, con tutti gli occhi del paese puntati su quei giovani che arrivavano un po' da tutte le parti per lavorare sui campi sequestrati alla mafia e dove bisognava stare molto attenti sui luoghi da frequentare, sui bar, per evitare di lanciare segnali sbagliati magari solo per aver preso un caffè nel bar frequentato da mafiosi. «Ti rendi conto che ogni gesto ha un significato più ampio».
Parlando dello "zio Paolo", Marta Fiore risponde come probabilmente in tante altre occasioni alla domanda che ritorna spesso: «Ma chi gliel'ha fatto fare? Aveva una vita tranquilla, una famiglia...». Ebbene «lo zio Paolo diceva sempre che non è che la paura non ci fosse, ma assieme alla paura ci deve essere sempre il coraggio di fare il primo passo per andare avanti». Che poi - ha aggiunto Fiore - è la strada che ti viene incontro, come diceva la mia mamma».

Salvatore Ciarlone, Mirko Scaccabarozzi, Onofrio Rota

Il prefetto Sergio Pomponio, Stefano Bosisio, suor Francesca Robustelli

E collegandosi alla "margotta", alla staffetta che ha portato il ramo d'ulivo da Palermo a Lecco e in particolare alla benedizione papale che sembrava dovesse essere un passaggio impossibile, Fiore ha parlato del coraggio dei sogni, quel coraggio che è proprio dei ragazzi «perché noi adulti quando dobbiamo fare una cosa ci fermiamo sempre a pensare un po' di più».
Evocando i ragazzi, il ricordo non poteva non andare a quei ragazzi che accompagnavano Falcone e Borsellino, i ragazzi della scorta che pure hanno pagato. Ed è in questo momento che la voce si è rotta e gli occhi si sono inumiditi davanti alla platea che ha applaudito. Riandava col pensiero, al giorno della morte dello "zio Paolo", avvenuta sotto la casa dove abitava la madre dalla quale il magistrato si recava in visita. Marta Fiore riandava al momento in cui lei con mamma Rita andò dalla nonna che già sapeva e che disse alla figlia: «Hai saputo di Paolo? Hai saputo che sono morti cinque ragazzi? Ecco, vai dalle loro mamme, ringraziale...». Anche quei ragazzi - ha proseguito Fiore - erano ragazzi che non si erano chiesti " chi me lo fa fare", ma avevano il senso della responsabilità. Perché la lotta alla mafia la facciamo ogni giorno tutti noi e non soltanto i giudici. E allo4ra, ragazzi, fate scelte consapevoli. Voglio usare le parole Caponnetto: "Mordete la vita. Giocatevela alla grande. E cambiate questo mondo, noi adulti siamo incapaci».

 

All'incontro ha portato i saluti il sindaco Mauro Gattinoni che ha voluto indossare la fascia tricolore «perché in questi momenti è fondamentale: quando si parla di mafia bisogna saper dire da che parte si sta. Una mafia che non è un fenomeno lontano, ma è presente anche al Nord, è presente anche nel nostro territorio» E ha parlato ai ragazzi delle vicende di Franco Coco Trovato, della pizzeria Giglio, della pizzeria Wall Street, delle infiltrazioni nell'economia, del "caso" Perego Strade, della discarica sequestrata al Bione che ora diventerà sede del nuovo centro di raccolta rifiuti. Tutti episodi che sottolineano la necessità di mantenere alta la guardia. Ma il sindaco ha voluto anche mandare un messaggio di speranza ricordando come lecchese sia anche quel Piero Nava che è stato il primo testimone di mafia, avendo assistito all'uccisione del giudice Rosario Livatino. Una vicenda alla quale un'altra scuola ha dedicato tempo e attenzione e i risultati della ricerca saranno esposti in una mostra allestita nel cortile del palazzo municipale in occasione della fine dell'anno scolastico.

A proposito di guarda alta da mantenere sono arrivate anche le parole di Daniele Cavalleri (segretario lombardo del sindacato Fai-Cisl) che ha raccontato dalla propria drammatica esperienza: nel 2008 con la crisi economica, le aziende agricole non hanno più assunto direttamente i propri operai per rivolgersi a cooperative esterne. E così il caporalato è spuntato anche qui. Come sindacalista ha raccolto informazioni e denunciato, i magistrati hanno disposto alcuni arresti. «E un giorno, sono venuti in pieno pomeriggio a distruggermi la casa a colpi di mazza. Il messaggio era chiaro: sappiamo dove abiti e non abbiamo paura; possiamo venire a casa tua anche in pieno giorno...».
L'incontro, presieduto da Salvatore Ciarlone, che è stato l'ideatore della "staffetta della legalità" del settembre scorso, sono intervenuti anche don Nazario Costante della Pastorale del lavoro della diocesi di Milano, il prefetto Sergio Pomponio e, per i sindacati, Stefano Bosisio e Mirko Scaccabarozzi della Fai-Cisl di Monza e Brianza nonché il segretario generale nazionale dello stesso sindacato Onofrio Rota.

 

 

Da parte sua, don Costante si è richiamato a papa Francesco invitando «a guardarci negli occhi» perché «il dramma più grande dell'uomo è il non essere visto, il problema più grande della povertà è il non essere vista ed è lì che sono nate le mafie, come percorso di protezione» appunto nei confronti di chi si sente escluso, non visto.
«La chiamata alle armi - ha aggiunto il prefetto Pomponio - coinvolge tutti e fa parte dell'essere cittadini il non girarsi dall'altra parte, il dire sempre "no" di fronte ai problemi perché magari chi ci sta di fronte ha un altro colore, proviene da un'altra parte del mondo o la pensa diversamente. E allora, ragazzi, studiate, perché dietro a un aggressore c'è sempre un ignorante e per portare qualcosa di nuovo nel mondo bisogna sapere ed essere capaci di sorprenderci ogni mattino guardando il miracolo della margotta».
E lo sprone ai giovani affinché si impegnino della società è stato anche il senso dell'intervento conclusivo di Rota che ha ricordati come anche nel mondo del lavoro occorra tenere alta l'attenzione sui temi più svariati: la sicurezza, le retribuzioni, lo sfruttamento dei migranti.

D.C.
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