SCAFFALE LECCHESE/151: un itinerario fra i santuari religiosi, luoghi di devozione popolare

La Madonna della neve e la Madonna del bosco, la venerazione di Lourdes ma anche la militaresca "Regina delle Vittorie". Sappiamo che il culto mariano e quello per i santi sono religione autenticamente popolare. Non tocca a noi sondarne le radici arcaiche, i significati, le forme.
Più semplicemente, guardiamo al reticolo di santuari mariani che anche nel nostro territorio si è intrecciato nel corso del tempo. Raccontando di apparizioni e prodigi che il secolarismo dei tempi moderni non sembra offuscare. A realizzarne una prima "mappa" fu il giornalista Dino Brivio che, per la serie degli "Itinerari lecchesi" stampati per la Banca popolare di Lecco, tra 1987 e 1988 pubblicò i suo "Segni della pietà mariana", due volumetti dedicati appunto alle chiese dedicate alla Vergine nel territorio lecchese.

E' del 1991, invece, il lavoro di don Eustorgio Mattavelli, parroco in alcuni paesi brianzoli negli anni Settanta e oltre dello scorso secolo: "Santuari mariani della Brianza e del Lecchese" pubblicato da "Graffiti Edizioni" di Inverigo, con una presentazione di monsignor Enrico Assi, allora vescovo di Cremona ma in precedenza prevosto di Lecco per una ventina d'anni, il quale sottolinea come «la storia dei nostri santuari rivela un ricco intreccio di fede e di pietà popolare, di cultura, di tradizione, di arte che si è mantenuta costante dal secolo decimosesto ai nostri giorni. (...) Le tradizioni che sono fiorite in tempi e in luoghi diversi, con tocchi di originalità e con note e caratteri comuni, fanno parte della nostra "memoria" storica e ci trasmettono messaggi validi ancora ai nostri giorni». Brianzolo, don Mattavelli va oltre i "confini" lecchesi allargando lo sguardo alla Brianza allora tutta milanese e oggi in buona parte monzese e a quella comasca.
Infine, nell'anno 2000 è l'editore missagliese Bellavite a pubblicare "Santuari mariani. Itinerari di devozione in Brianza e nelle terre del Lario" del giornalista Angelo Sala del quale, in altra occasione proprio in questa rubrica scrivemmo come avesse simbolicamente raccolto il testimone di Dino Brivio.

Complessivamente sono oltre una settantina i santuari presi in considerazione, da quelli ancora oggi molto frequentati, ad altri "minori", meta di semplici pellegrinaggi locali, fino alle chiese più dimesse, quasi trascurate, a testimoniare comunque la presenza di un culto di più o meno lunga tradizione. Ma tutti raccontano di una devozione diffusa: «I fedeli - scrive ancora Assi - che pur erano stretti nella morsa della povertà e della miseria compiono gesti incredibili di generosità per costruire, per ornare con opere d'arte, per ampliare e difendere il santuario contro le ingiurie del tempo».
Brivio si affida alle parole del cardinale Pietro Palazzini: «I motivi che legano una particolare devozione a un luogo sacro possono essere diversi (un'apparizione, un'immagine particolarmente venerata, ecc.) come diversa può essere l'importanza del santuario, a raggio diocesano, regionale, nazionale e internazionale. In tutti questi luoghi si realizza in modo mirabile quel singolare testamento del Signore Crocifisso: l'uomo vi si sente consegnato e affidato a Maria. L'uomo vi accorre per stare con Lei come con la propria Madre; l'uomo apre a Lei il suo cuore e le parla di tutto: "la prende nella sua casa", cioè dentro tutti i suoi problemi, a volte difficili. (...) Molti tra i maggiori santuari si si richiamano ad apparizioni, a miracoli, alla santa vita di un fondatore, al voto di cittadini riconoscenti per uno straordinario intervento divino, al ritrovamento fortunoso di una immagine sacra. Non sempre si ha una documentazione critica di queste affermazioni. Si incontrano, talvolta, narrazioni chiaramente leggendarie, sorte perciò quando già il santuario fioriva per il desiderio un po' puerile di colmare di straordinario un tempo scarso di notizie storiche. Ma i santuari precedono la leggenda e sorgono come espressione di fede, testimonianza di confidenza, fonti di pietà, dove si viene a pregare con fiducia». Certo, «il santuario proprio perché è circondato dal popolo diventa (come dire?...) un po' fiera, un po' musica, un po' processione, ecc.; l'esteriorità può prevalere sulla devozione. Invece, se è bene tenuto, il popolo entra subito nell'atmosfera attraente e misteriosa del santuario, si arrende anche alle impressioni religiose che restano poi impresse nell'animo suo».
Dei santuari mariani del Lecchese, i due più conosciuti sono indubbiamente la Madonna del Bosco a Imbersago e la Madonna delle Lacrime a Lezzeno sopra Bellano.

Per Imbersago, «il 9 maggio 1617 - scrive don Mattavelli - tre pastorelli stavano pascolando il loro gregge nel folto dei boschi. (...) Questo luogo veniva chiamato Valle o Sorgente del lupo, perché fin d'allora zampillava la fontana pur oggi esistente e perché a quei tempi infestato dai lupi. Intorno alla fonte sorgevano tre grandi castagni, conosciutissimi dagli abitanti delle vicine terre, perché era corsa la voce che fin dall'anno 1615 apparisse sulla loro cima una Signora, in mezzo a luci e canti. (...) I tre piccoli pastori, trovandosi vicini ai misteriosi castagni, devono essi pure aver visto la grande Signora. Uno dei bambini (...) scorse un bel riccio (...) e lo apre: vi trova castagne colorite e fresche. Fu grande meraviglia di tutti nel vedere in maggio castagne matura e fu universale il commento: "E' opera della Madonna che vuole essere onorata"». Tra i castagni fu posto un quadro della Madonna, poi nel 1632 venne eretta una capella e nel 1641 si cominciò a costruire il santuario, benedetto nel 1646.«Rinominato più d'ogni altro, nella terra lecchese - scrive Sala - questo nostro centro mariano ha qualcosa che lo distingue, anche per aver legato alle sue secolari vicende il particolare affetto e la vivissima devozione di Papa Giovanni XXIII, Angelo Giuseppe Roncalli (...) che così scriveva: "Quante grazie e quante ispirazioni debbo a quella benedetta Madonna! E che bellezza mite e suadente in quel sacro luogo: chiesa, cripta, scala santa; visione di Villa d'Adda, della Valle S. Martino..."». E proprio in questi giorni una serie di iniziative ricorda i sessant'anni dalla morte di papa Roncalli.

Madonna del bosco a Imbersago

Per Lezzeno, invece, «nel pomeriggio del 6 agosto 1688 - scrive sempre don Mattavelli - durante un furioso temporale, una piccola Immagine della Beata Vergine col Bambino fra le braccia, collocata in una cappelletta eretta nel 1668 sul ciglio di una valletta sopra Lezzeno, fu vista da Bartolomeo Mezzera, dapprima, poi da un popolo intero, versare lacrime di sangue. Al miracolo seguirono innumerevoli grazie. (...) Nel 1690 si iniziava l'erezione del magnifico santuario». L'immagine delle lacrime, un medaglione di gesso, proveniva da Nobiallo, come ci informa Brivio: «Anche i bellanesi usavano andar pellegrini, attraversando il lago, a Nobiallo, dove trent'anni prima che sul loro monte, il 9 di giugno del 1658, aveva versato lacrime una Madonnina scolpita nel marmo. (...) Quella Madonna, moltiplicata in calchi di gesso che i devoti si portavano a casa, fu chiamata Santa Maria della Pace, forse perché un anno dopo il suo pianto Francia e Spagna posero fine a un lungo conflitto».

Il santuario della Madonna delle Lacrime a Lezzeno

A pochi chilometri di distanza, troviamo un'altra Madonna piangente: a Dongo, dove appunto sorge un altro santuario delle lacrime: all'inizio del 1500 - scrive Sala - sorgeva un "gesuolo" con una Madonna dipinta, la Madonna del Fiume, che resistette a una piena devastatrice del torrente e che il 6 settembre 1553 verso lacrime di fronte a una contadina in preghiera.
Ma in passato, nel Lecchese, avevano importanza anche i santuari della "Madonna d'Imbevera" dove la Vergine sarebbe apparsa a una fanciulla insidiata dal "solito" signorotto del luogo e la "Madonna della Rocchetta" di Airuno attorno alla quale si era soliti radunarsi nella giornata del Lunedì dell'Angelo con «un aspetto di festività - per usare le parole di Ignazio Cantù -, un soggiorno di allegrezza campestre, una faccenda tra venditori e compratori, un'armonia d'inni religiosi frammisti a villerecce canzoni». Che sarebbe poi la Madonna della Pace, quella che si venera.

Il santuario della Vittoria a Lecco

Così come a Lecco si venera Nostra Signora della Vittoria nella chiesa simbolo dei Caduti nelle guerre mondiali: la si cominciò «a pensare - scrive Brivio - durante la grande guerra mentre s'allungava la lista di quelli che non sarebbero tornati vivi dal fronte, anche perché la città richiedeva una nuova chiesa per il servizio alla gente che aveva casa troppo distante dalla Prepositurale. Ma se il terreno fu acquistato già nel 1917, e l'anno successivo il cardinal Ferrari venne a Lecco a benedire la prima pietra, in realtà la costruzione non prese il via che all'inizio degli anni Trenta. Il cardinale Schuster poi poteva procedere alla consacrazione il 5 novembre del 1932, mentre il campanile dove attendere l'inaugurazione fino all'anno 1940»: sul culmine una grande croce di ferro conj inserita una reliquia della Santa Croce di Cristo». Infine, «la Campana dei Caduti è arrivata il 4 novembre 1968, nel cinquantesimo anniversario della Vittoria e ogni sera (...) alle 19 suona l'Ave Maria; son rintocchi somiglianti a una voce velata di pianto che ripeta a uno a uno i nomi dei Morti per la Patria».

Come detto, però, il culto mariano si esprime nelle forme più diverse e, spesso, alle radici locali si aggiungono elementi di importazione: la venerazione per la Madonna di Caravaggio (a Perledo) o di Czestochowa (a Dozio di Valgreghentino) per esempio, naturalmente per la Madonna di Lourdes (ad Acquate), ma c'è anche una Madonna di Loreto (a Vendrogno e a Lanzo Intelvi). Senza dimenticare la Madonna della Neve in Val Biandino sopra Introbio (ma anche a Pusiano, a Cucciago, a Vercana). L'elenco è lungo e ogni luogo ha una propria storia da raccontare.

Gli interni della Basilica di San Pietro al Monte di Civate

Però «la più antica dedicazione alla Madonna nel territorio lecchese - ci dice Brivio - si trova nella cripta della basilica benedettina di San Pietro al Monte sopra Civate»: la parete centrale dietro l'altare è «ornata di stucchi raffiguranti la crocifissione e la "Dormitio Mariae"» attribuita «all'ambito dell'influenza ottoniana, riconducibile a maestranze probabilmente straniere che avrebbero operato a Civate negli ultimi decenni del secolo XI». Ed è uno «schema iconografico bizantino - spiega don Carlo Marcora -, poiché la Vergine è rappresentata "morta", non già "moribonda" come di solito preferirà l'arte occidentale; solo il letto è un pochino di sbieco. Gli apostoli sono nel dolore com'è di solito nell'arte bizantina e non compaiono altri gesti come avviene nell'arte occidentale. A questa raffigurazione del "Transito" o della "Dormitio" della Madonna si doveva essere giunti attraverso una precisa presa di posizione; infatti si parlava di Maria che entra nella gloria del cielo, ma non tutti sostenevano che vi fosse entrata anche con il suo corpo. I monaci di Civate dunque stanno per la prima corrente, il che non significa che negassero quello che sarà poi dogma della Chiesa definito da Pio XII il primo novembre 1950». E cioè, novecento anni dopo.

Dario Cercek
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