Dieci anni per tradurre 'I Promessi Sposi' per gli americani, Moore ospite a Lecco

Il titolo, “I promessi sposi” in inglese tradotto con “The betrothed”, certo è noto, notissimo, inserito nei canoni della letteratura universale anche dagli studiosi anglosassoni. La lettura non sembra però essere molto diffusa. Anzi. Del resto, delle alterne fortune del romanzo manzoniano all’estero molto è stato già scritto. Però, la recente traduzione americana da parte di Michael F. Moore, uscita nel settembre dello scorso anno per le edizioni “Modern Library” di New York, sembra avere risvegliato l’interesse per il Manzoni tra i lettori degli Stati Uniti. Così dice Michael F. Moore, italianista, autore della nuova traduzione americana dell’opera. Ospite ieri sera a Villa Manzoni, nell’appuntamento più significativo delle celebrazioni lecchesi per i 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni.

Mauro Rossetto e Simona Piazza

Accolto dal conservatore dei musei cittadini Mauro Rossetto e dall’assessore alla cultura Simona Piazza, Moore è stato intervistato da Paola Italia, docente presso il Dipartimento di Filologia Classica e Italianistica dell’Università di Bologna, già consigliere del Centro Nazionale Studi Manzoniani e coordinatrice degli Annali manzoniani. Per la quale «questa traduzione rappresenterà uno spartiacque» nel mondo di lingua anglosassone.
E’ stato un lavoro, quello di Moore, durato non poco: una decina d’anni. Dovendo fare i conti con gli altri impegni del traduttore. Che già aveva affrontato autori italiani come Primo Levi e Alberto Moravia. Però, per il Manzoni, si è trattato di un’altra storia, essendo un autore dell’Ottocento e richiedendo la lingua manzoniana un intervento di cesello tutto particolare e la cui resa in inglese ha richiesto più di una riflessione e di una ricerca.

Paola Italia

Moore in passato ha abitato a lungo a Como e qualche anno fa è stato un mese a Bellagio «e da lì vedevo Lecco» però nella nostra città non era mai venuto. L’occasione delle celebrazioni manzoniane è stata dunque l’occasione. E ora accarezza il sogno di lavorare a un’edizione illustrata dei “Promessi sposi”: i disegni li farebbe egli stesso, avendo alla spella la frequentazione anche dell’Accademia di Brera.
«La prima proposta di tradurre il romanzo – ha raccontato Moore – m’è arrivata nel 2004. Ero molto insicuro. Ho chiesto consiglio a una mia collega che traduceva dallo spagnolo e aveva appena tradotto il “Don Chisciotte”. Mi suggerì di provare a tradurre la prima pagina e vedere come sarebbe venuta….  Così ho fatto e ho deciso che si poteva fare. E poi, lo stesso Manzoni, a proposito del manoscritto che dice d’avere ritrovato e ricopiato, a un certo punto avrebbe voluto interrompere l’opera per poi cambiare idea perché la storia era troppo bella per non essere raccontata».

Michael F. Moore

La traduzione, tutta a mano con una penna stilografica («sul computer scrivo lettere parole, con la penna scrivo frasi»), sul tavolo della cucina tra dizionari e commenti al romanzo, l’immancabile tazza di caffè, con le correzioni in inchiostro dai diversi colori: verde, blu, rosso. «Penso di aver passato più tempo a riscrivere che a tradurre».
Le difficoltà maggiori al capitolo XXIV, quello della lavata di testa del cardinal Federigo Borromeo a don Abbondio: «Mi sono sentito ancora bambino, quando dovevo sentire quelle interminabili omelie delle messe preconciliari che pure mi affascinavano per la magia della transustanziazione. E allora, ad ascoltare il cardinal Borromeo sentivo un po’ di sconforto, ma a quando pare i lettori capiscono e apprezzano. E comunque non ho mai avuto la tentazione di tagliare qualcosa come succede spesso nelle traduzioni di molti romanzi. E come è successo spesso anche a Manzoni: spesso le digressioni storiche vengono scartate. L’aveva detto Goethe che certi brani erano inutili. Ma Goethe aveva capito “nagot”. E’ un romanzo perfetto e quelle storiche sono pagine straordinarie. Anche quelle del cardinal Federigo. Oppure quando parla delle “grida”: sono le pagine che ho lasciato per ultimo perché complesse e ho dovuto chiedere qualche consiglio a un amico avvocato. Il fatto è che Manzoni ha citato documenti autentici per dimostrare com’erano confusi, che erano scritto per ingannare la povera gente. Lo ha fatto espressamente per mettere il lettore nelle stesse condizioni di Renzo nello studio dell’Azzeccagarbugli».
La descrizione della peste, invece, è stata rivista alla luce del paesaggio spettrale di New York ai tempi della pandemia di covid.

«Più piacevole la traduzione dei passi lirici come l’Addio Monti, mentre per i dialoghi ha cercato di non ricorrere a un linguaggio artificiale e allora cercavo di ricordare personaggi reali, volevo parole dalle quali si capisse che ciascun personaggio avesse una propria storia. E allora per fra’ Galdino ho pensato a un irlandese che parlava, parlava… Per Agnese e Perpetue alle mie zie. Bortolo è stato forse il più difficile».
D.C.
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