In viaggio a tempo indeterminato/282: Biagio, il nostro minivan blu. Poi il ritorno

Si chiude una porta e si apre un portone, recita un proverbio.
Nel nostro caso specifico, però, più che un portone ad essersi aperto è un portellone.
Un portellone blu che, ad essere sinceri, si è aperto a fatica e con qualche spinta non troppo delicata.
D'altronde cosa potevamo aspettarci dopo che per ben 10 mesi è stato esposto a condizioni climatiche decisamente estreme?
Sì, sto parlando di lui, del minivan blu, all'anagrafe Biagio, che ci ha accompagnato dall'Italia fino all'Armenia tra il Settembre del 2021 e il Luglio 2022.
Siamo tornati finalmente a riprenderlo.
Volo Milano Malpensa-Yerevan che mai avrei pensato esistesse e invece era anche pieno.
Ripartire non è mai semplice ma stavolta lo è stato ancora meno.
Un po' per la situazione che abbiamo lasciato a casa, un po' perché, devo essere sincera, non è che Yerevan sia proprio una meta da sogno.
Un conto è ripartire con destinazione Papua Nuova Guinea, un conto con destinazione Armenia!

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"Come mai vai in Armenia?" mi chiede la signora seduta accanto a me sull'aereo. Malpensa-Yerevan è un volo low cost quindi per risparmiare qualche euro non abbiamo prenotato i posti. Paolo è seduto due file dietro la mia, lato finestrino, perfetto per appoggiarsi e dormire. E infatti non siamo ancora decollati e già ha chiuso gli occhi.
Io, invece, sono nel posto peggiore, quello in mezzo. Niente finestrino come cuscino e niente spazio extra per allungare le gambe.
Se qualcuno inizia a parlarti non hai scampo e se devi fare pipì ti tocca tirare fuori doti nascoste da contorsionista.
Dato che il volo partiva a un orario comodo, cioè le 6 di mattina, nella notte in aeroporto già mi pregustavo la dormita di 4 ore che mi sarei fatta in volo, con risveglio a destinazione comprensivo di torcicollo per la posizione scomoda e orecchie tappate per la pressione.
Mi sbagliavo.
Il posto in mezzo sull'aereo non lascia scampo.
"Vado in Armenia perché io e mio marito abbiamo parcheggiato lì la macchina quasi un anno fa e ora andiamo a riprenderla" rispondo alla signora bionda accanto a me.

 

È sulla sessantina e volare la innervosisce un po'. Lo intuisco dal fatto che tamburella con le dita e guarda fuori dal finestrino attenta alle manovre del pilota. Ma soprattutto lo capisco quando mi dice "A me non piace prendere l'aereo, ma dopo questo ne devo prendere altri due. Sto andando a trovare mia figlia. Io sono russa ma vivo in Italia da 22 anni e ogni anno vado a trovare mia figlia e i miei nipoti che vivono ancora in Russia. Per colpa di questa stupida guerra devo fare un giro lunghissimo per andare da loro: 3 voli, una notte in treno e poi 4 ore di autobus."
Ometterò tutti i dettagli degli spostamenti della signora che ci ha tenuto a specificare i nomi di tutte le città che toccherà il suo tour. Onestamente l'unica che mi ricordo è Sochi perché la associo alle Olimpiadi di qualche anno fa, ma le altre città non credo di averle mai sentite.
Comunque...dopo aver realizzato che il mio sogno di dormire stava andando in frantumi, mi sono messa a chiacchierare con la signora Irina. Sono bastati pochi minuti perché lei iniziasse a raccontarmi tutta la sua vita, da quando era bambina fino al giorno d'oggi. Poi è arrivato il momento di parlare di quello che stava succedendo in Ucraina, di questioni internazionali, di salute, di politica... insomma di qualunque argomento possa venire in mente per occupare 4 lunghe ore.
"Io vivo in un paesino piccolo in Italia e anche se sono lì da 10 anni, non ho amiche e non parlo mai con nessuno. Grazie per avermi ascoltata oggi, sai mi sento un po' sola..." mi dice Irina mentre stiamo per atterrare.

Ok, forse su un volo per Port Moresby, la capitale della Papua Nuova Guinea, avrei dormito un po' di più ma la storia di Irina era quello che mi serviva per apprezzare anche un volo verso Yerevan.
D'altronde è lì che, a luglio dello scorso anno, abbiamo lasciato il van.
Mi ricordo che eravamo euforici l'ultima volta che l'abbiamo visto. Eravamo carichissimi per quello che ci aspettava, per i Paesi che avremmo visitato, per quello che avremmo vissuto soltanto con uno zaino sulle spalle.
Mi sembrano passati secoli se ci ripenso ora.
Ora che davanti a me c'è quel minuscolo van blu che sembra identico a quando l'avevamo lasciato.
Non è cambiato di molto, forse è solo più impolverato.
Apriamo il portellone con parecchia fatica ma appena si spalanca, proprio in quell'istante lì, mi rendo conto che è ricominciata una vita che avevamo messo in pausa.
È una strana sensazione da descrivere ma è come se l'ultimo anno passato tra Iran, India, Nepal e Sri Lanka non fosse semplicemente un capitolo del nostro viaggio. È come se fosse una vita diversa.
Così come una vita diversa è quella che abbiamo lasciato in Italia.
Una vita diversa quella che ci ha portato ad attraversare l'Asia zaino in spalla.
Una vita diversa quella a bordo di una macchina rossa in nord America.
E una vita diversa quella su un minivan blu, troppo piccolo per arrivare lontano ma che lento lento ci ha condotto fino a qui dove ci troviamo ora.
Siamo ancora un po' frastornati da tutte queste vite che si incastrano e si scambiano, ma non baratteremmo per niente al mondo questa possibilità che ci siamo regalati.

Angela (e Paolo)
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