Omicidio di Sogno: come per la strage di Erba, anche la difesa Guzzetti chiede di riaprire il caso. Puntando l'attenzione sul denaro

 

Roberto Guzzetti e Maria Adeodata Losa
Sogno di Torre de' Busi come Erba. Come per la strage costata l'ergastolo ai coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, anche per l'assassinio della pensionata Maria Adeodata Losa è stata chiesta la revisione del processo che ha portato alla condanna di Roberto Guzzetti a 22 anni di carcere. L'istanza è stata depositata – per via telematica – nella mattina di ieri dall'avvocato Luca Del Bue, nuovo difensore del lecchese, subentrato, a sentenza già passata in giudicato, all'originale pool difensivo – composto dai legali Marilena e Patrizia Guglielmana - revocato prima della discussione in Cassazione, dopo aver ottenuto in Appello uno “sconto” di due anni rispetto ai 24 anni irrogati dalla Corte d'Assise di Como a carico dell'unico imputato per l'atroce delitto che sconvolse la piccola frazione di Sogno nel giugno del 2016, sempre dichiaratosi innocente, pur ammettendo di essere entrato nella casa della donna la mattina dell'omicidio. Del resto, a riprova di ciò, c'è anche un'impronta isolata dai Carabinieri che si occuparono delle indagini, coordinati dal sostituto procuratore Paolo Del Grosso, su uno schizzo di sangue sulla tovaglia cerata della cucina dell'abitazione, teatro di una vera e propria mattanza, con l'87enne raggiunta da una serie di fendenti e trovata altresì – dettaglio ulteriormente macabro – con un pettinino infilato in gola.
“Abbiamo chiesto la revisione del processo per dovere, per rispetto di Roberto Guzzetti e della sua famiglia. Personalmente sono convinto non abbia commesso l'atroce fatto per il quale è stato condannato, pur essendo vero che era presente e che, oltre la sua, non sono state trovate altre tracce” spiega l'avvocato Del Bue, illustrando sommariamente le “prove nuove” su cui si basa la richiesta depositata dopo aver riesaminato per intero la vicenda e la sua cornice, oltre alle carte processuali. Prove già esistenti ma non portate al vaglio della corte o non valutate dalla stessa come avrebbe dovuto essere. “Abbiamo individuato due contesti non adeguatamente approfonditi. Il primo riguarda i rapporti prettamente bancari e dunque la gestione – e la movimentazione – del conto corrente della vittima nonché la presenza di polizze vita intestate a Maria Adeodata Losa, sulle quali non è stata fatta alcuna attività. Il secondo, i rapporti per la gestione di un vecchio immobile confinante con la casa delle due sorelle (Maria Adeodata e Leonilda, la maggiore, per assistere la quale, allettata, l'87enne era rientrata a Torre de' Busi da Milano dove ha vissuto gran parte della propria vita quale domestica presso una famiglia ndr). Un motivo di acredine ben più accesa rispetto alle questione di vicinato brevemente portate all'attenzione della Corte” argomenta il legale bergamasco, facendo accenno anche a presunti crediti vantati da soggetti coinvolti nella questione immobiliare.
“Ancor prima di tirare in ballo il demonio, riteniamo che il naso fosse da mettere in situazioni ben più terrene e quindi il denaro, con i Carabinieri che hanno indagato la situazione economica della vittima solo fino al momento della morte, pur essendoci stata movimentazione sul conto anche dopo l'omicidio” la chiosa di Del Bue rifacendosi alle parole del suo stesso assistito che aveva citato per l'appunto il demonio nel descrivere il volto trasfigurato dell'anziana colpita a morte. Da altro soggetto, nella ricostruzione difensiva.

 

A.M.
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