Mandello: niente processo d'appello a carico di Redaelli per i maltrattamenti alla Gilardoni. Impugnazione 'troppo generica'
La sede della Gilardoni Raggi X a Mandello del Lario
Colpo di scena nella vicenda giudiziaria incentrata sulle vessazioni lamentate da una serie di (ex) lavoratori della Gilardoni Raggi X di Mandello del Lario, tra il 2012 e il 2016.
Quest'oggi a Milano si sarebbe dovuto aprire il processo d'appello in capo al pescatese Roberto Redaelli, classe 1980, l'allora capo del personale assolto in primo grado, dopo l'uscita di scena (in quanto ritenuta non in grado di stare in giudizio) della principale accusata, ovvero la “patron” Maria Cristina Gilardoni, mancata poi nel dicembre 2021, a partita giudiziaria già chiusa anche per il nipote Andrea Paolo Federico Ascani Orsini - socio di minoranza della spa - e Maria Papagianni - per un breve lasso di tempo medico del lavoro in fabbrica – entrambi tacciati di una sorta di “colpa in vigilando” rispetto ai presunti danni patiti da una serie di dipendenti.
Il giudice lecchese Martina Beggio
Non sussistenti, poi, nemmeno le lesioni (subordinate dalla Procura ai maltrattamenti, ma anche da intendersi quali malattie professionali psichiche e/o psicosomatiche).
Di diverso avviso i legali di alcune delle parti civili – ed in particolare Maria Grazia Corti per i dipendenti rappresentanti dalla CISL e i colleghi Benedetto Tusa e Roberto Corbetta per due singoli lavoratori - che hanno portato la Procura Generale a proporre Appello, condividendo gli “appunti di requisitoria” del PM ma trascurando “completamente le motivazioni poste dal primo giudice a fondamento della propria lunga (121 pagine) e dettagliata decisione, limitandosi ad affermazioni generiche, non fondate su specifiche emergenze processuali in fatto, e peraltro già previamente considerate smentite dal giudicante” come ha messo nero su bianco la Corte, nel motivare il rigetto, revocando dunque il decreto con cui aveva disposto il giudizio di Redaelli.
E ancora, entrando più nel dettaglio, nell'ordinanza è scritto: “Difetta nel caso di specie una critica puntuale ai punti e capi della sentenza assolutoria, posto che il PG si limita a citare la massima della Cassazione in punto requisito della "parafamiliarità" e a ritenere che la sentenza ha "omesso di analizzare" le dichiarazioni reiterate e concordi di numerosi dipendenti, senza indicare se non a titolo di esempio, alcuni (...). Ugualmente, generico si appalesa il richiamo alle "numerose captazioni telefoniche e ambientali", non individualizzate e non richiamate con riferimento a quelle rilevanti in ragione della specifica idoneità dimostrativa del requisito negato nella sentenza impugnata e alle sue specifiche declinazioni. In maniera ugualmente apodittica e aspecifica l'appello del PG stigmatizza le condotte del capo del personale, il Redaelli, come violente e rafforzative del proposito criminoso manifestato dalla Gilardoni, sua coimputata, senza confrontarsi con le lunghe e dettagliate parti della sentenza in cui si afferma il contrario e senza indicare gli elementi di fatto a sostegno del proprio assunto".
Insomma, la mancanza di specifiche argomentazioni – nella visione dei giudici della I sezione penale della Corte d'Appello – ha fatto depennare il caso dall'elenco dei processi da trattare. E non solo per oggi.
A.M.