Sono accusati di aver violato l'articolo 103 del così detto Decreto Rilancio - il 34 del 2020, per la precisione - quello attraverso il quale allora Governo Conte licenziava “Misure urgenti in materia di salute e di sostegno al lavoro e all'economia”, nel pieno della pandemia, andando a normare, tra le altre cose, anche l'emersione di rapporti di lavoro e dunque la regolarizzazione della posizione di cittadini stranieri con permesso di soggiorno scaduto o non convertito in altro titolo di soggiorno impiegati “in nero” sul territorio italiano in alcuni specifici settori. Inclusa l'agricoltura. Ed i cinque soggetti – tutti sudamericani, pur di nazionalità differenti – su cui dovrà esprimersi il giudice Martina Beggio, stando alla domanda di regolarizzazione presentata telematicamente dal loro supposto datore di lavoro, si occupavano proprio di coltivazione, di frutti oleosi nello specifico, in un appezzamento di terreno – sempre secondo la dichiarazione inoltrata alla Prefettura via internet – sito all'angolo tra via dei Gatti e via Monterobbio, in città. Un rettangolo verde realmente esistente ma... incolto, come accertato dalla Polizia, dopo l'interessamento dell'Ufficio Immigrazione della Questura. Ad insospettire le divise, in prima battuta, la presentazione, a stretto giro, da parte dello stesso soggetto – un presunto imprenditore milanese, classe 1978 – di ben sette domande di regolarizzazione, tutte per l'appunto per presunti suoi dipendenti irregolari. Un numero consistente, ha sottolineato l'Ispettore Annalisa Cappelli, introdotta quale primo teste dalla pubblica accusa sostenuta in aula dal viceprocuratore Caterina Scarselli. Da qui gli accertamenti, attingendo anche alle banche dati di Camera di Commercio, Agenzia delle Entrate e Comune, per arrivare a ritenere “l'attività fittizia” e conseguentemente le istanze “finalizzate a sanare sette irregolari”, sfruttando il Decreto che fissava però precisi paletti per l'emersione, in un contesto di pandemia e dunque con il fine ultimo di tutela della salute, personale e collettiva.
Espletate le ultime verifiche a novembre 2020, la palla, per il tramite ovviamente della Procura, era poi passata, per il proseguo dell'attività investigativa alla Squadra Mobile chiamata altresì a “isolare” il contenuto dei dispositivi in uso al sedicente imprenditore, la cui posizione è già stata vagliata dall'autorità giudiziaria (ha patteggiato). “Spulciando” le chat Whatsapp, sono così stati ricostruiti i contatti tra l'uomo e i sette stranieri che avrebbe voluto regolarizzare (uno dei quali già assolto in udienza preliminare avendo optato per il rito abbreviato, l'altro non rinviato a giudizio), arrivando per i cinque imputati a ipotizzare che gli stessi abbiano versato del denaro, tramite ricarica PostePay al milanese, per l'inserimento delle istanze al portale, ricevendo anche la copia di una busta paga pur non essendo stati assunti e pur non avendo generato per l'anno d'interesse reddito, come argomentato dall'Ispettore Bruno Francesco, anch'egli sentito in Aula.
Tutti assistiti dall'avvocato Emanuele De Mitri del Foro di Milano, i cinque stranieri avranno modo di raccontare la loro versione dell'accaduto il prossimo 16 maggio, con ulteriore udienza già calendarizzata per il mese di luglio.
A.M.