Valmadrera: al Fatebenefratelli Giuliano Turone, ex PM, racconta l’Italia occulta

“Qui in Lombardia ancora non ci si rende conto di quanto la mafia si sia radicata. È la regione dove i mafiosi fatturano il grosso della loro ricchezza”. Con queste parole Alberto Bonacina, coordinatore provinciale di Libera, ha sottolineato l’importanza di un atteso ritorno nella nostra regione. “Dopo tanto tempo, finalmente la Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie torna qui in Lombardia. Il 21 marzo, a Milano, confluirà tutta l’Italia. Tra l’altro quest’anno ricorrono i trent’anni dalla strage di via Palestro e i dieci anni dal funerale laico di Lea Garofalo”. In preparazione a questo importante evento, martedì sera l’auditorium del centro culturale Fatebenefratelli di Valmadrera ha ospitato Giuliano Turone, ex magistrato nonché autore di “Italia Occulta”, edito da Chiarelettere.

Raffaella Brioni con Alberto Bonacina

Stimolato dalle domande del giornalista Luca Cereda, Turone, giudice istruttore a Milano tra il 1970 e il 1987, ha accompagnato i presenti in un viaggio tra mafie storiche, poteri occulti, servizi deviati e logge massoniche. “Bisogna spiegare bene perché in questo Paese, così enormemente bello, ci sia stato un dimezzamento della democrazia, della legalità repubblicana, della sovranità. Con la guerra fredda l’Italia è stata compressa in un’ingessatura politica. Lo possiamo chiamare: fattore K” ha esordito Turone che nel 1974 guidò le indagini che portarono all’arresto del boss di Cosa Nostra Luciano Liggio. “Al termine della Seconda guerra mondiale, l’Italia, che ospitava il partito comunista più forte del continente, si è trovata sulla linea di confine tra l’Occidente e il blocco sovietico. Questi due fattori hanno spinto gli statunitensi ad instaurare un rigido sistema di controllo che di fatto ha dimezzato la nostra democrazia. Durante la guerra fredda, in tutti i paesi dell’Europa occidentale i partiti si alternavano al governo mentre da noi questo non accadeva. Eppure, l’alternanza politica è l’ossigeno della democrazia” ha proseguito l’ex pubblico ministero.

Giuliano Turone

Nella sua carriera, lo ricordiamo, Giuliano Turone ha collaborato con il Consiglio d’Europa nella stesura della convenzione di Strasburgo sul riciclaggio ed ha lavorato anche per la Corte Penale Internazionale dell’Aja. “In questo dimezzamento della democrazia rientra la strategia della tensione. Essa era parte di uno schema teso ad impedire al PCI di governare” ha aggiunto Turone, prima di entrare nel vivo della sua esperienza. “Negli anni Settanta si è fatto di tutto per occultare e depistare le indagini secondo cui stragi come quella di piazza fontana o piazza della loggia erano state commesse dall’estrema destra. Nel quadro della strategia della tensione, piazza fontana doveva essere attribuita agli anarchici”. È questo il contesto in cui prolifera anche il potere occulto della P2 di Gelli. “Nell’81 si scoprì un archivio di Licio Gelli ad Arezzo contenente i nomi di mille affiliati alla sua loggia. In seguito, abbiamo scoperto l’esistenza di un secondo archivio con altri millecinquecento nomi. Quegli elenchi, però, si trovavano a Montevideo e furono requisiti dalla CIA. Dovremmo andare dagli americani e pretendere quei nomi” ha aggiunto Turone. In prima fila, accanto ad Alberto Bonacina erano seduti Raffaella Brioni, vicesindaco, e Marcello Butti, assessore alla cultura, in rappresentanza dell’amministrazione comunale di Valmadrera. Nell’ultima parte dell’incontro, l’ex pubblico ministero milanese si è soffermato sulla criminalità organizzata. “Le mafie in Italia esistono da secoli. Sono centrali di potere nate quando il mezzogiorno era governato da popoli stranieri come gli spagnoli, i bizantini o gli arabi. I primi a promuovere una sorta di antimafia sono stati Giolitti e Crispi nella seconda metà dell’Ottocento. Il primo omicidio di mafia è datato 1894” ha spiegato Turone, in passato responsabile anche delle indagini su Michele Sindona. “Tanti collaboratori di giustizia ci hanno raccontato della relazione tra mafia, finanza d’avventura privata e IOR negli anni Sessanta e Settanta. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 89, mentre la CIA si rilassava conscia del fatto che l’Italia ormai non sarebbe più diventata un paese comunista, le mafie presero delle iniziative nuove come Capaci. L’obiettivo di quelle azioni era chiaro: mantenere intatte le strutture di potere esistenti, cosa che gli Stati Uniti non erano più interessati a fare”.

Infine, una riflessione sul 41 bis. “Le mafie sono associazioni per delinquere che si tramandano di generazione in generazione. Controllano le attività imprenditoriali con la forza intimidatoria del vincolo associativo. I boss che arrestiamo devono stare al 41 bis perché altrimenti continuerebbero ad esercitare il potere sulla cosca” ha concluso Giuliano Turone. “Oggi però i capimafia e i poteri hanno in mano degli strumenti che confondono le idee del pubblico. Prendete la vicenda di Cospito. I mafiosi sostengono le battaglie di Cospito non per gli anarchici ma perché sperano sia tolto a loro il 41 bis. L’idea che Cospito diriga gli anarchici è un’eresia. Gli anarchici non hanno un capo. Se lo avessero, non sarebbero anarchici”.
A.Bes.
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