Lecco perduta/365: il Lazzeretto, 'mondo a sè' tra lago e fiume

Per numerosi decenni varcare il ponte lanciato sul Caldone verso il Lazzeretto, alle spalle del Teatro della Società, poteva equivalere a superare un confine, pur rimanendo nell’ambito del territorio comunale lecchese. Il Lazzeretto era un nucleo staccato della geografia cittadina, in particolare per la sua marginale collocazione rispetto alle vie di comunicazione: era un grappolo di case piazzate sulla striscia di terra che finiva a fare da gomito fra le ultime rive del Lario e le prime sponde del nuovo corso dell’Adda che ritornava a fiume presso il trecentesco ponte di Azzone Visconti.


Demolizioni lungo via Raffaello

La denominazione Lazzeretto intendeva tutto il territorio nelle vicinanze della caserma Sirtori, costruita nel 1867 oltre il Caldone: la zona vera e propria aveva però inizio nello sbocco delle vie Raffaello e Caprera sull’attuale via Leonardo da Vinci: deriva dal triste ruolo che il lembo di terra in riva all’Adda era stato chiamato a svolgere durante la terribile peste di manzoniana memoria che colpì Lecco dall’autunno 1629 all’estate 1631. Al Lazzeretto, lontano dal borgo ancora fortificato, si raccolsero i malati e si seppellirono i morti. Le vittime furono circa 500.


 Panoramica del Lazzeretto senza il Ponte Nuovo

Una modesta croce di pietra venne collocata in un campo sopra le fosse comuni, a ricordo degli scomparsi, e rimase sino all’inizio del secolo Novecento. Si trova ora nell’area verde del complesso scolastico di via Aspromonte, sede distaccata del collegio Volta: è stata recuperata sulla riva dell’Adda da mons. Salvatore Dell’Oro, il fondatore dell’orfanotrofio San Giuseppe, passato poi alle suore Figlie di Betlem e, all’inizio del Duemila, divenuto appunto "filiale" del collegio con il rettore don Gianluigi Panzeri.
Di fronte alla caserma venne costruita la trattoria “Alla Primavera”, che servì a movimentare la zona. Nel giardino si organizzavano serate popolari di ballo, e nei pomeriggi festivi della bella stagione vi erano anche rappresentazioni teatrali con burattinai di una compagnia bergamasca con la caratteristica maschera orobica del Gioppino.


 Traffico in via Leonardo da Vinci negli anni '50

Il Lazzeretto era un territorio nel quale si conoscevano tutti e dove la numerazione civica era sostituita dalle denominazioni varie usate comunemente per indicare edifici e abitazioni. Vi erano le case del Noli e del Marella, il cortile dei Mazzucconi, le osterie della Giannina e del Caghet, il cantiere del Galli “bottaio”. La piazzetta era il ritrovo dei ragazzi per giocare nei pomeriggi di sole e nelle serate estive. Sulla riva dell’Adda divenuta tale dopo il Lario vi erano ancora squarci riposanti di verde, minuscole insenature per ormeggiare le imbarcazioni e il panorama era dominato dall’imponente storico ponte di Azzone Visconti. La via principale, oggi Leonardo da Vinci, era dedicata ad Amilcare Ponchielli. Era solitaria e polverosa, meta ricercata di giochi vivaci e di monotoni ozi; diveniva campo di addestramento con marce e corse per i militari della caserma Sirtori.


Foto ricordo anni '50 in via Leonardo da Vinci

Il vecchio Lazzeretto ebbe un cambiamento decisivo e irreversibile nell’autunno 1955, dopo l’apertura del nuovo ponte sull’Adda, l’attuale Kennedy. La via Leonardo da Vinci, ribattezzata come tale per lasciare a Maggianico quella dedicata ad Amilcare Ponchielli con l’unificazione civica del 1928, si trasformò improvvisamente in un importantissimo canale di traffico automobilistico.
Addio Lazzeretto, ancora quasi agricolo e tranquillo, solitario e polveroso, vivacizzato dalla chiacchiere delle casalinghe che si affacciavano alle finestre e ai balconi di casa per i mestieri del mattino, con cuscini e coperte tolti dalle camere.


La famiglia di Luigi Balbiani, con nove figli, nella seconda metà del Novecento

C’era una “comunicazione” di massa con le ultime notizie della sera e della notte che sarebbero state completate in giornata, quando le donne avrebbero raggiunto la riva del lago per il bucato. Sono arrivate demolizioni e trasformazioni di vecchi complessi. C’era lungo la via una passerella di botteghe con le attività più importanti della vita quotidiana: dal panificio agli alimentari, con una variopinta presenza artigianale, dal fabbro al sellaio, dal barbiere al falegname. Allora mancavano i rasoi elettrici e gli uomini erano scarsamente abituati a radersi da soli. Nelle serate di sabato e nelle mattinate dei giorni festivi i barbieri erano quindi particolarmente affollati, divenendo “salotti” di commenti e di discussioni sui fatti accaduti.


La croce del tumulo dei caduti di peste, ora collocata nell'area verde del collegio di via Aspromonte

Nella seconda metà del Novecento, nella casa dei Balbiani fereè, in via Caprera, c’era anche la famiglia più numerosa della città: nove figli, sette femmine e due maschi, nati dal matrimonio di Angela Rossi con il fabbro Luigi Balbiani. Chi l’avrebbe detto, ripensando a quel Lazzeretto, che ha dato il nome al villaggio tra le acque di lago e di fiume.
A.B.
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