Lecco: poliziotto a giudizio per truffa sugli straordinari. Un'assoluzione...solo parziale
In tribunale la vicenda era approdata nel 2019 quando l'ex procuratore capo Antonio Chiappani - a seguito di un esposto giunto al quinto piano del palazzo di giustizia - ne aveva chiesto l’archiviazione per la tenue entità del fatto. L'imputato tuttavia non ne aveva voluto sapere, tanto da dare mandato all'avvocato Luca Marsigli per opporsi, con il chiaro intento di uscirne ''pulito'', ossia con una assoluzione piena. Del resto in tanti anni l'ex divisa non aveva mai rimediato neppure un procedimento disciplinare e proprio per questa ragione non voleva che la propria carriera risultasse ''macchiata''.
A quel punto il fascicolo era tornato in Procura su disposizione del giudice per le udienze preliminari Paolo Salvatore, che aveva chiesto un supplemento di indagini, all'esito delle quali l'uomo è stato rinviato a giudizio, così che potesse essere il dibattimento a sviscerare meglio la vicenda. 39 euro la cifra in contestazione.
Stamani, completata l'istruttoria, dopo l'audizione degli allora dirigenti della Questura cittadina e dell'operante che si è occupato dall'analisi dei dati estrapolati dal circuito di videosorveglianza comunale e delle celle telefoniche, per ricostruire gli spostamenti del collega, si è passati alla discussione.
Ha brevemente ripercorso i fatti il vice procuratore onorario Caterina Scarselli che ha messo in luce alcune contraddizioni a suo dire emerse nel corso del dibattimento. Innanzitutto l'autovettura che, secondo gli inquirenti, sarebbe stata in uso all'imputato era in realtà intestata alla moglie, che la utilizzava sovente per recarsi sul posto del lavoro. Il vpo ha poi avanzato più di un dubbio sulla configurazione in truffa per gli episodi contestati all'ex poliziotto, ritenendoli più affini ad una questione giuslavorista, non potendo a suo avviso riscontrare un eventuale ''artifizio''. Ha dunque chiesto l'assoluzione poichè il fatto non costituisce reato o in subordine poichè il fatto non sussiste.
Articolata l'arringa dell'avvocato Luca Marsigli, che ha evidenziato innanzitutto come il fascicolo sia il frutto di una relazione di servizio datata aprile 2019 con attività d'indagine che non sarebbe stata autorizzata dai vertici della Questura, con informative raccolte da ''fonti confidenziali'' - ovvero alcuni colleghi del Raffaele - i cui nomi sono emersi soltanto nel corso dell'istruttoria.
Il difensore ha poi sviscerato i quattro episodi contestati. Nel dettaglio, come emerso nel corso dell'udienza dello scorso 5 ottobre, il 16 febbraio 2019 la Kia ritenuta essere in uso al sovrintendente sarebbe transitata verso la Valsassina attorno alla 1 ma gli extra "segnati" dal sovrintendente si sarebbero protratti fino alle 4 di notte; il 23 febbraio l'auto sarebbe passata sulla vecchia strada per Ballabio un'ora prima dell'uscita del poliziotto; il 26 idem mentre nella notte tra il 3 e il 4 marzo "ballano" una quarantina di minuti, con la targa letta alle 0.19 dallo "scudo" cittadino e il fine servizio indicato invece alle 2.08.
''Non è emersa la prova della sua responsabilità penale'' ha detto in chiusura l'avvocato Marsigli, chiedendo l'assoluzione del 63enne poichè il fatto non costituisce reato.
Una tesi accolta solo in parte dal giudice Beggio che, ritiratasi in camera di consiglio, ha condannato Raffaele Arcangelo alla pena di due mesi, venti giorni e al pagamento di una multa di 50 euro per il solo episodio risalente al 23 febbraio 2019. Per gli altri tre è stata sentenziata l'assoluzione poichè il fatto non sussiste. Disposta infine la trasmissione degli atti alla Procura per meglio sviscerare un aspetto emerso nel corso del dibattimento.
Un epilogo dolce-amaro dunque, per il poliziotto.
G.C.