Maltrattamenti alla Gilardoni Raggi X: per Readelli si torna in Aula, fissato l'Appello

La sede di Mandello dell'azienda
Processo Gilardoni Raggi X atto secondo. Ad oltre due anni dalla sentenza di primo grado a firma del giudice monocratico del Tribunale di Lecco Martina Beggio, le presunte vessazioni patite, tra il 2012 e il 2016, da svariati dipendenti della società - attiva tanto nel campo medicale quanto in quello dei controlli di sicurezza - con sede a Mandello del Lario, approderanno ora all'attenzione dei giudice della prima sezione d'Appello. Si tornerà infatti in Aula il prossimo 12 aprile, dopo il ricorso a suo tempo presentato dalla Procura Generale, su "istanza" di alcune parti civili, a comunicare dagli avvocati Tusa e Corbetta nonché dalla collega Corti, legale individuato dalla CISL in rappresentanza di quei lavoratori che si sono affidati al sindacato per insinuarsi in un procedimento chiusosi, nel dicembre 2020, con una doccia fredda per le supposte vittime.

All'uscita di scena dell'imputata principale - la signora Maria Cristina Gilardoni, presidente dell'impresa, dichiarata non in grado di stare in giudizio per la sue condizioni di salute e poi venuta a mancare, a partita chiusa, nel dicembre 2021 - erano seguite infatti tre assoluzioni (diventate poi quattro con quella relativa al dottor Stefano Marton, nei confronti dei quali si è proceduto in separata sede). Sollevati, infatti, da ogni responsabilità Andrea Paolo Federico Ascani Orsini - socio di minoranza della Gilardoni spa - e Maria Papagianni - per un breve lasso di tempo medico del lavoro in fabbrica – entrambi tacciati di una sorta di “colpa in vigilando” rispetto ai presunti danni patiti da una serie di lavoratori nonché colui il quale, dopo lo stralcio della posizione della "patron", era rimasto solo a reggere le pesanti accuse di maltrattamenti e (conseguenti) lesioni ovvero l'ingegner Roberto Redaelli, classe 1980, pescatese, ritenuto essere, quale capo del personale, il "braccio destro" dell'anziana. Solo la posizione di quest'ultimo sarà oggetto del processo d'Appello, invocato in contrapposizione alle conclusioni della dottoressa Beggio che - all'esito della lunga (e sofferta) istruttoria – ha di fatto “smontato” il capo d'imputazione formulato in prima battuta dal sostituto procuratore Silvia Zannini, poi trasferita presso altro Ufficio a dibattimento avviato.

Pur ritenendo di dover censurare il comportamento che Redaelli avrebbe assunto in azienda - "anche con riferimento all'uso di toni spesso sgarbati, maleducati e prepotenti nei confronti dei suoi colleghi" - il giudice lecchese, aveva ritenuto non sussistere il reato di maltrattamenti in famiglia (contestata dal PM all'imputato in mancanza, nel nostro ordinamento, di un qualcosa di simile al "mobbing"), in assenza di un presupposto necessario per la trasposizione in contesto lavorativo di tale ipotesi ovvero la sussistenza di rapporti connotati in termini di para famigliarità. Ma non solo. La dottoressa Beggio aveva altresì ritenuto che “le singole condotte non possano assumere rilevanza penale autonoma”. “E' vero che i colleghi hanno riferito di toni sgarbati, maleducati, opprimenti ed arroganti da Redaelli e, come anticipato, si tratta di condotte dimostrate ed oggetto di biasimo da parte di questo Giudice, ma le stesse non rivestono rilevanza penale in sé considerate”.

Non sussistenti, poi, nemmeno le lesioni (subordinate dalla Procura ai maltrattamenti, ma anche da intendersi quali malattie professionali psichiche e/o psicosomatiche). Di diverso avviso ovviamente i legali delle parti civili che hanno portato a Procura Generale a proporre Appello, con udienza ora fissata per il prossimo mese.
A.M.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.