Calolzio: 70 persone morte nel naufragio di Cutro, Gatti (responsabile sulla Geo Barents) spiega come è potuto succedere

Il naufragio al largo delle coste calabresi in cui hanno perso la vita quasi 70 persone tra donne, uomini e bambini ha suscitato indignazione e dibattito nell’intero Paese. Al Circolo Arci Spazio Condiviso di Calolziocorte mercoledì sera è stato promosso un incontro informativo dal titolo “Non dovevano partire?” con un testimone di eccezione per fare chiarezza sui fatti recenti e per raccontare quale è la situazione dei soccorsi in mare dopo anni di criminalizzazione delle Ong: Riccardo Gatti, responsabile delle operazioni di Medici Senza Frontiere a bordo della nave di soccorso Geo Barents.

Duccio Facchini e Riccardo Gatti

Durante la serata, voluta dal circolo calolziese oltre che da Altreconomia, Medici Senza Frontiere, Mir Sara, Qui Lecco Libera e dalla rete RiVolti ai Balcani, Gatti, affiancato dal giornalista Duccio Facchini, ha cercato di dipanare quel meccanismo che ha portato a questa strage e che ha le sue radici nel 2019: “Fino all’inizio di quell'anno la Guardia costiera italiana pubblicava un bollettino mensile su quelle che all’epoca erano le uniche operazioni che venivano attivate in caso di imbarcazioni in distress, ovvero quelle SAR (search and rescue) - ha spiegato Facchini - Dal 2019 questi bollettini sono diventati trimestrali e hanno iniziato a dar conto di altre tipologia di operazioni che venivano affiancate a quelle SAR, ovvero quelle di Law enforcement, ovvero quelle di polizia di frontiera nei confronti delle persone soccorse che sono invece diventate persone ‘intercettate nel corso di operazioni di polizia di sicurezza’, oltre che verso i ‘rintracci a terra’ di quelle persone che venivano ritrovate sulle coste perché sbarcate in autonomia”.

Ecco come è stato possibile che un’imbarcazione precaria con 200 persone a bordo in acque agitate non sia stata soccorsa ma abbandonata al suo tristemente noto d’esito. “In mare quando non si viene soccorsi di muore - ha chiarito Riccardo Gatti, originario proprio di Calolzio - la zona dove è successa la tragedia è molto vicina alle coste italiane, l’area di soccorso era di competenza italiana e le autorità hanno mezzi e personale qualificato per effettuare i soccorsi, ma le persone sono morte perché non sono state soccorse. È impossibile che la barca in questione non sia stata avvistata perché il Mare Mediterraneo è iper pattugliato, ma se una situazione non viene identificata come SAR non scatta l’obbligo della mitigazione del rischio, cioè l’obbligo di soccorso e sbarco in un luogo sicuro il prima possibile. Se avvistiamo una barca e pensiamo che l’intervento necessario sia quello della polizia di frontiera non partono le operazioni di soccorso. Di qui il rimpallo di responsabilità tra istituzioni a cui assistiamo in queste ore, con il paradosso che se un’imbarcazione ha 200 persone a bordo senza gli adeguati standard di sicurezza, anche con il mare piatto sarebbe da identificare coma una situazione di pericolo. Qualche anno fa un ammiraglio della Guardia costiera a capo dell’operazione Sophia aveva dichiarato che il 100 per cento delle barche che trasportano migranti è una nave in distress proprio per via delle condizioni in cui viaggia. A un certo punto però ci siamo resi conto che non c’erano più operazioni SAR ma solo operazioni di polizia e quindi viene meno tutta la catena del soccorso”.
Nel caso di Cutro, gli assetti intervenuti una volta che la situazione si era fatta davvero critica, sono stati due mezzi della Guardia di finanza che si sono presto trovati in difficoltà per via delle pessime condizioni del mare e sono dovuti tornare indietro. Su questa circostanza è stato lapidario il commento di Gatti: “La Guardia costiera ha dei mezzi di soccorso professionali sui quali operano dei professionisti, è preparata a fare i soccorsi”.

In queste ore si è letto e sentito che le operazioni di soccorso non sarebbero scattate perché dall’imbarcazione non sarebbe arrivata una richiesta di SOS e anche su questo punto l’operatore di MSF ha voluto spiegare come stanno le cose dal suo punto di vista: “Spesso a bordo di queste barche non c’è un meccanismo per arrivare a lanciare un SOS e questo le autorità lo sanno bene; abbiamo anche visto moltissimi casi in cui la richiesta di aiuto è partita ma lo stesso è rimasta inascoltata. Esiste una Ong, Alarm Phone, che si occupa proprio di monitorare le chiamate di soccorso dal Mediterraneo e non appena ne ricevono una la girano alle autorità competenti che però non operano”. E proprio questo passaggio ha permesso a Gatti di raccontare quello che è successo negli ultimi anni nel Mediterraneo centrale: “Qui ormai non ci sono più gli assetti istituzionali di soccorso ma solo gli assetti della cosiddetta Guardia costiera libica e le navi delle Ong, che sono sempre più ostacolate. Quello che succede se un’imbarcazione non viene individuata da un equipaggio umanitario è che viene intercettata dai libici che prendono le persone e le riportano nei lager, oppure viene lasciata al suo destino e con ogni probabilità affonda. Nel 2017 c’erano nove Ong con 12 imbarcazioni attive tutto l’anno, adesso siamo tre e facciamo sempre più fatica - continua Gatti - Dallo sbarco selettivo di Catania che aveva la pretesa illegittima di distinguere tra persone vulnerabili e non, quando le convenzioni dicono che tutti i naufraghi sono vulnerabili, fino all’assegnazione di porti sempre più lontani. Ancona, Napoli, La Spezia: le convenzioni internazionali stabiliscono che dopo un salvataggio bisogna sbarcare le persone in un luogo sicuro il prima possibile. Se il Governo ci manda a Pozzallo ci mettiamo 20/24 ore ad arrivare e altrettante per tornare nella zona SAR, se ci manda a La Spezia ci vogliono quattro o cinque giorni, a cui va aggiunto altro tempo per lo sbarco in un porto non abituato a queste procedure e poi altri giorni per tornare in zona SAR che rimane così scoperta per almeno 15 giorni. Specialmente in inverno ci sono piccole finestre di bel tempo in mezzo a lunghi periodi di maltempo e quindi le partenze si concentrano. Nell’ultima operazione abbiamo avvistato 48 persone, dopo averle soccorse siamo partiti verso Nord. Nei quattro giorni seguenti non c’erano navi di soccorso e sono partiti 70 barconi, tutti sono stati intercettati dalla Guardia costiera libica. E questo a causa del nuovo decreto sicurezza, poi convertito in legge, che proibisce i soccorsi multipli pur sapendo che potenzialmente ci saranno altre persone da soccorrere. È corretto andare al porto il prima possibile ma è ambiguo mettere l’obbligatorietà quando si sa che il vero fattore attrattivo è il bel tempo”.

A queste difficoltà si aggiungono poi i cavilli amministrativi che vengono usati per creare altri ostacoli. Come è successo durante l’ultima operazione sulla Geo Barents, la nave su cui opera il calolziese: “Ogni volta che si sbarca ci sono in porto diverse autorità e noi abbiamo sempre condiviso le informazioni del soccorso. Questa volta ci hanno chiesto i dati del sistema VDR - voyage data recorder - una sorta di scatola nera. Sono dispositivi che servono in caso di incidenti, in quel caso si ferma la registrazione per evitare la sovrascrizione dei dati e tenere in memoria le informazioni sul sinistro. Questi dati tecnicamente non possono essere tolti con una USB ma soprattutto servono in caso di incidente. Quando il comandante ha risposto che non era possibile né fisicamente né legalmente dare queste informazioni ci è stato contestato che non abbiamo collaborato con le autorità e ci hanno dato il fermo della nave, come capita spesso con altre scuse, per poi finire in un niente di fatto. Che però vuol dire consumo di carburante a vuoto, costi inutili e di nuovo lasciare scoperto il mare”.

Con il paradosso che nel corso del 2022 le navi delle Ong hanno operato appena l’11 per cento dei soccorsi nel Mediterraneo che vengono svolti prevalentemente dagli assetti istituzionali e da navi mercantili che si trovano a dover aiutare imbarcazioni in pericolo. Le Ong, come è stato sottolineato da Facchini vengono però punite per il lavoro di monitoraggio, informazioni e denuncia delle gravi violazioni dei diritti umani che accadono nel Mediterraneo Centrale.
M.V.
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