Un anno di guerra: la storia di Viky, fuggita in treno dall'Ucraina per tornare dalla sua 'grande famiglia' di Premana

Il 24 febbraio 2022 l’esercito russo invadeva l’Ucraina e aveva inizio quel conflitto che ancora oggi sta portando morte e devastazione, ogni singolo giorno.
Victoriya, 21 anni, è originaria di Chernihiv. Fin da bambina ha passato ogni estate un mese a Premana, grazie all’associazione Les cultures, che organizza soggiorni terapeutici per i minori che provengono dalle regioni ucraine maggiormente colpite dal disastro di Chernobyl del 1986. L’ultima volta in Italia per Victoriya era stata nel 2017. Ci ha pensato la guerra, un anno fa, a farla tornare qui, da Vince e Leli, dalla zia Pierina e dallo zio Fredi, dai suoi “fratelli” Sonia, Marta e Marco.


Victoriya, in primo piano, con Pierina e Fredi, la "cugina" Sara e Ambra

Il suo racconto, dove non si contano le espressioni in dialetto premanese, parte da lontano, da quelle prime volte sul nostro territorio, a partire dal 2008. “Mi ricordo che, appena arrivata, mi hanno regalato una Barbie. Una cosa incredibile per me, in Ucraina erano costosissime!”. Prime esperienze decisamente positive, tanto che Viky ci ha raccontato che addirittura una volta “non volevo tornare in Ucraina, non volevo salire sul pullman!”. Ancora vivi, poi, i ricordi dell’oratorio, luogo di tante risate, divertimenti, conoscenze e spensieratezza. “Io volevo giocare con i bambini italiani, ma le altre ragazze ucraine non mi lasciavano, erano gelose…”: questo uno dei tanti aneddoti relativi a quel periodo.


Con Vince e Leli all'arrivo in Italia. Sotto con tutta la sua famiglia italiana



Il tempo passa, Victoriya diventa adulta e nel 2018 si trasferisce a Kiev per frequentare l’università: un corso di laurea quadriennale, indirizzo Turistico e Management. Nell’autunno 2021 iniziano a girare le prime voci su un possibile attacco russo all’Ucraina, ma “nessuno ci credeva”. Voci che si intensificano a gennaio, anche se la guerra sembra ancora un’eventualità troppo distante dalla realtà.
“Il 20 febbraio hanno iniziato a dire che il 22 sarebbero arrivati i russi”, ma non fu così. “Il 23 febbraio è stata una bella giornata - ci racconta Viky -, sono andata al lavoro, ho ballato alla scuola di danza, mi sono trovata con un’amica. Poi, però, mi è venuta un po’ di ansia, sembrava che dovesse succedere qualcosa, però non pensavo che davvero potesse accadere quello che sappiamo”.

La ripartenza, a settembre, per l'Ucraina

Il 24 febbraio, un’amica la sveglia: “Viky, Viky è iniziata la guerra!”. “Ma che guerra? Come guerra?” risponde lei. “Eravamo tutti in panico, non sapevamo cosa fare. C’era pieno di gente per strada, gli elicotteri volavano sopra la città e c’era questo suono fortissimo della sirena. Siamo usciti a fare la spesa, c’era una coda lunghissima. Abbiamo preso un po’ di roba, siamo tornati a casa e abbiamo iniziato a preparare un po’ di cose, qualche vestito”. Uno zaino con il pigiama e i documenti sarà tutto quello che Victoriya porterà con sé per gli undici giorni successivi. Immediata poi la telefonata alla mamma, giunta a sua volta a Kiev da poco, per lavoro. “Quella notte avevano lanciato un missile di fronte alla sua casa. Mi ha raccomandato di stare attenta”.


Il bunker

Victoriya passa i primi giorni in un bunker, insieme a moltissime altre persone. “C’erano bambini, anziani, tutti spaventati a morte. Io non ho dormito nulla, ho letto libri tutta la notte per non pensare. Un signore anziano mi ha chiesto in prestito un volume: ho deciso di regalarglielo, lo avevo già finito”. Immediatamente, arrivano le prime telefonate dall’Italia, dalla sua famiglia premanese, terribilmente preoccupata per lei.


Si inizia a organizzare l’inatteso ritorno, anche se non mancano le difficoltà e tanti pensieri affollano la mente di Victoriya. “Già dai primi giorni, c’era chi giudicava male quelli che scappavano, che lasciavano la patria e il nostro territorio. Così ho chiesto a tutti i miei famigliari se fossero d’accordo: se anche solo uno di loro avesse giudicato sbagliata la mia scelta, io non sarei partita. Tutti però mi hanno detto che io dovevo andare via” ci ha raccontato.


Una foto scattata con la sorella Dasha a settembre in aeroporto

Dopo tre giorni, Viky e altri, temendo un imminente e importante attacco alla capitale, si spostano poco fuori da Kiev, a Boiarka. “Io non sapevo con chi fossi, non conoscevo le persone. Ricordo che c’era un prato grandissimo, dove sparavano, dove c’erano carri armati”. Tre i giorni passati lì, “i tre giorni peggiori della mia vita. Avevo questa speranza: che tutto finisse, così all’improvviso. Ancora un giorno e basta, ancora un giorno e basta, mi dicevo. Non sapevo davvero cosa fare in quei momenti”.
Viky contatta una sua amica, che si trovava vicino a Irpin’. L’idea era quella di tornare insieme in Italia, dalle rispettive famiglie. “Mi ha chiamato poco dopo e mi ha detto che lì erano arrivati i russi e non poteva venire con me. Così, sono dovuta venire qui da sola”. Due i tentativi falliti di raggiungere la stazione di Kiev: solo il 3 marzo, al terzo, Victoriya riesce a prendere il treno per Leopoli. “Non ero ancora sicura di venire in Italia, non sapevo quello che stavo facendo in quel momento..." ha aggiunto. Poi la decisione è stata quella di partire. “Abbiamo dovuto fare un giro più lungo, perché una città sul tragitto era stata completamente distrutta. Un viaggio di sei ore è diventato di quattordici”.


In treno verso la Polonia

Nella stazione di Leopoli scene struggenti, con migliaia di persone affamate, sdraiate per terra. Altre quattordici ore di attesa, poi il viaggio verso la Polonia. “Sono partiti tre treni, io ero sul secondo. A un certo punto, ci siamo fermati e il terzo ci ha superati. Quel convoglio è stato colpito dai russi. Noi siamo stati fermi otto ore, la gente del paese ci ha offerto qualcosa da mangiare”. E in quel momento, ad aggiungere ansia e paura, Victoriya non era ancora certa di dove quel viaggio la stava portando: “Non sapevo ancora al cento per cento se sarei andata in Italia o in Georgia, perché anche lì avevo degli amici che mi chiamavano. Tuttavia, i biglietti per quella seconda destinazione erano acquistabili solo di sabato, e non era sabato. Così, ho ricevuto una chiamata da Marta e da Alessandro [il marito di Marta, ndr.], che mi informavano di aver preso il ticket per l'aereo”.


Il pasto alla stazione di Leopoli

Finalmente l’arrivo in Polonia, dove venivano offerti pasti, anche se “non c’era abbastanza cibo per tutti. Io davo da mangiare ai bambini, loro avevano più bisogno di me; anch’io avevo fame, ma potevo resistere”. Grazie anche al fondamentale aiuto di Stefania Galluzzi, originaria di Casargo e sposata a Varsavia, il 7 marzo Victoriya arriva a Premana, a undici giorni dall’inizio del conflitto.


Stefania Galluzzi con la sua famiglia

“I primi due mesi sono stati difficilissimi. Non capivo nulla, la mia testa era sempre da un’altra parte. Piangevo, non sapevo cosa fare, la mia vita è cambiata da così a così” prosegue nel suo racconto. “Io mi sentivo in colpa per essere arrivata qua, anche se tutti erano d’accordo con la mia scelta. Parlavo, e parlo ancora, con la mia famiglia ogni giorno. Per me l’importante è che siano tutti vivi”. Viky ricorda la prima uscita a Premana, qualche giorno dopo il suo arrivo. “Siamo andati al bar e ho visto le persone che bevevano il caffè, tranquille e spensierate. Non capivo perché c’era la gente che non aveva la casa, che moriva di fame, mentre tanti altri non ci pensavano nemmeno”.


Con la "sorella" Sonia e suo marito Stefano

Si va verso tempi “migliori” e l’11 aprile arriva in Italia la sorella di Victoriya, Dasha, di un anno più giovane. “All’inizio non voleva venire - ci racconta Viky -, ora però è contenta di essere qui. Fa la cameriera in un ristorante della Valsassina e si trova bene”. Il 26, poi, Victoriya inizia a lavorare presso la Coltelleria Sanelli, dove è attualmente occupata. “Piano piano mi sono abituata, mi piace molto lì. Sono tutti simpaticissimi, facciamo battute. Sono contenta”. Viky ci racconta in generale della bellissima accoglienza che ha ricevuto da tutto il paese. “Premana è come una grande famiglia, della quale anche io sono entrata a far parte. Ho trovato tanti amici e tante persone che mi aiutano”.


Un pensiero speciale va a Vince e Leli, i suoi “genitori italiani”: “Se non ci fossero stati loro, non so cosa starei facendo adesso. La cosa che mi piace è che non mi viziano, anzi mi rimproverano, mi prendono in giro, scherziamo... Loro non hanno mai finto, il nostro rapporto è vero. Hanno fatto tantissime cose per me, gli voglio troppo bene. Spero un domani di poterli ringraziare in qualche modo, di avere una possibilità di dare io qualcosa a loro” racconta Viky commossa.


Con Vince, Alessandro e Dasha

Dunque, la vita prosegue, deve in qualche modo proseguire. Così, Victoriya a luglio 2022 termina l'univesità e si laurea a distanza. “Avrei potuto continuare con la magistrale, ma sono successe troppe cose insieme, ci voleva una pausa. Però voglio studiare ancor, che sia qui o in Ucraina, quando ritornerò”. In estate, Viky ha modo di liberare un po’ la mente, con le visite a Roma e a Verona, e passeggiando sulle montagne premanesi, che tanto ama. “Mi piace girare da sola, ascoltando la musica, quando ho bisogno di mettere un po’ la testa a posto”.


All'Alpe Premaniga

A settembre, il primo ritorno in Ucraina, a sette mesi di distanza: qualche giorno, per trovare la sua famiglia e i suoi amici e per sistemare dei documenti. “Siamo andati a Chernihiv, da mio fratello. La nostra casa era distrutta, abbiamo aggiustato i vetri delle finestre, che erano andati in frantumi quando una bomba era esplosa poco lontano da lì. Poi abbiamo fatto visita alla nonna, che è la più tranquilla di tutti!”.


In visita a Roma

Il 10 ottobre un missile colpisce Kiev. “Al lavoro piangevo e non riuscivo a pensare ad altro”. Un interrogativo è fisso nella mente di Viky: “Come posso dare una mano? Come posso aiutare i bambini che hanno perso i genitori in guerra?”. Da qui nasce l’idea di realizzare braccialetti, collane, ghirlande, animali di legno, grazie al fondamentale aiuto di Vince e Leli, degli zii Pierina e Fredi, oltre che di Ferdinando Berera, che sempre a Premana ospita un’altra ragazza ucraina. Tutto il ricavato dal mercatino del 3 dicembre scorso viene così devoluto a un orfanotrofio di Chernihiv.


Il mercatino

Infine, da qualche settimana Victoriya si reca ogni sabato a Milano, presso una scuola di danza: “Mi piace tantissimo, il ballo è la mia vita!”.
“Mi manca la mia famiglia, anche se ci sentiamo sempre. Loro sono ottimisti, sono coraggiosi. Vivo ogni giorno come se fosse l’ultimo, non si sa mai cosa può succedere” ci ha detto Viky.


Alla scuola di danza

“Un bel sorriso e la vita va avanti”: questa la frase con cui si è concluso il racconto di Victoriya, una ragazza simbolo di coraggio, di resilienza, emblema di un Paese che non ha chinato la testa di fronte a una guerra brutale e senza senso.
Alessandro Tenderini
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