Scaffale lecchese/140: le vittime della ''Grigna assassina'' del 1914 e la cronaca dei tempi

"Grigna assassina" è il titolo di un libro del ricercatore milanese Marco Ferrazza uscito nel 2006 per "Cda-Vivalda". Non si pensi alla celebre "leggenda" che lo scrittore Luigi Santucci ha raccontato in quella canzone del 1954, su musica di Vincenzo Carniel, diventata ormai brano di repertorio per cori ufficiali e no: quella, per intenderci, della «guerriera bella e senza amor» e della «freccia in fronte a quello che vien su».

Le salme delle vittime ai Resinelli

 

Quella che racconta Ferrazza è storia vera: la tragedia avvenuta il 17 maggio 1914, quando tre alpinisti precipitarono e morirono durante un'ascensione sul Torrione Magnaghi Meridionale, una delle tante cime della Grignetta. Unico sopravvissuto, il capocordata che si era momentaneamente slegato dai compagni: Eugenio Fasana, 1972, figura importante dell'alpinismo lombardo del primo Novecento con forti legami con le montagne lecchesi.
Milanese, nato nel 1886 e morto nel 1972, sulle rocce di qui si è distinto per imprese all'epoca incredibili, battezzando vie e anche più. Basti pensate alla Parete Fasana del Pizzo della Pieve, ancora oggi una scommessa più che un'arrampicata. Senza trascurare che «nell'ottobre del 1911 Eugenio, insieme con Luigi Binaghi e Giuseppe Maccagno, riesce a individuare un percorso che dai Resinelli raggiunge il Colle Valsecchi sulla Cresta Segantini. Non è una grande impresa dal punto di vista alpinistico, ma è la realizzazione di un itinerario che presto diventa uno dei sentieri più importanti e frequentati della montagna. Infatti qualche anno più tardi, nel 1923, la sezione del Cai di Milano attrezza l'itinerario installando una serie di catene nei punti più esposti e piazzando una scaletta metallica per superare un salto verticale. Nasce così il sentiero della Direttissima» a collegare i due rifugi "meneghini", il Porta e la Rosalba, e consentendo soprattutto agli alpinisti di avvicinare le guglie più spettacolari.
Fasana, dunque, guida il gruppo che sabato 16 maggio lascia Milano in treno, raggiunge Lecco in serata e poi sale ai Resinelli dalla Val Calolden, pernotta al rifugio Sem per scalare l'indomani la parete sud-est del Torrione Magnaghi meridionale. Ha 28 anni e già un bel po' d'esperienza. Con lui ci sono Abele Miazza, 35 anni, ingegnere edile, Attilio De Vecchio, ventottenne come Fasana, chiavennasco; Armando Venturoli, 19 anni, orfano, arrampicatore promettente. A parte Venturoli che è iscritto alla Ueoi, tutti gli altri appartengono alla Sem, la Società Escursionisti Milanesi, l'associazione fondata nel 1891 per raccogliere gli appassionati di montagna che non possono permettersi l'iscrizione al più esclusivo Cai.
E il racconto di Ferrazza ci consente anche di entrare nel mondo alpinistico di allora, di comprendere le componenti sociali e le diverse anime attraverso la realtà milanese.
La mattina del 17, i quattro attaccano il torrione. Salgono sotto la guida sicura di Fasana e, prima dello strappo finale, sostano su un terrazzino. Il capocordata si slega per avviarsi da solo a dare un'occhiata alla parete anche per individuare la linea discesa: «Mentre si allontana, Eugenio sente i compagni scherzare sulla nebbia che li avvolge. (...) Via via che Fasana sale verso la vetta del Torrione, le voci gli giungono sempre più distanti, fino a scomparire. Dopo una quindicina di metri, sosta per un attimo. A un tratto avverte un grido, poi una serie di imprecazioni, poi uno schianto seguito dal rumore di macigni che rotolano lungo il pendio. (...) Tutto affannato, scende in arrampicata e guadagna di nuovo il terrazzino dove pochi minuti prima aveva lasciato i suoi amici. Il ripiano è deserto: Abele, Attilio e Armando sono scomparsi». I corpi saranno ritrovati esanimi ai piedi della parete.
Cosa sia successo non sarà mai ricostruito con esattezza. Una lapide di marmo venne poi murata nei pressi della capanna della Sem ai Resinelli: «Oggi la capanna della Sem non c'è più. Dopo circa un secolo di onorato servizio e dopo alcuni anni di chiusura, la Società Escursionisti Milanesi ha ceduto l'immobile a privati che hanno profondamente ammodernato la struttura e l'hanno aperta nel 2004 come rifugio Soldanella. La targa che ricorda Abele, Attilio e Armando è rimasta. Ai suoi piedi ci sono tavolini, sdraio e ombrelloni. Cosa penseranno i turisti che fanno merenda e prendono il sole leggendo quelle parole scolpite nel marmo?».
In realtà, la tragedia dei Resinelli è soltanto una parte del libro: una quarantina di pagine su quasi duecento.
Raccontando di quella disgrazia, Ferrazza allarga lo sguardo. Ci offre un ritratto complessivo di Fasana, compresi i suoi "incontri" con la morte: ventun'anni dopo i Magnaghi, nel settembre 1935, Fasana sopravvivrà a un'altra terribile tragedia, quella della sconsiderata "scalata di massa" alla Punta Rasica in Val Masino conclusasi con sei vittime. Il confronto tra le due vicende ma anche della maniera in cui i giornali dell'epoca occuparono dell'una e dell'altra, offrono a Ferrazza un ulteriore appiglio per raccontarci dei tempi che cambiano e dei climi politici differenti.
Nel maggio 1914,«i due principali quotidiani milanesi non si risparmiano: alla notizia vengono dedicate per diversi giorni due, tre, anche quattro colonne intere. E' uno spazio considerevole in rapporto alle dimensioni degli smilzi giornali dell'epoca, e dimostra come l'interesse per la montagna, nato nel periodo della fondazione del Cai a Milano, sia vivace anche nei decenni del nuovo secolo. (...) Questa attenzione della stampa per il mondo che ruota attorno alla montagna non impedisce che i quotidiani siano - allora come oggi - pieni di imprecisioni quando scrivono di alpinismo».
Senza contare retorica ed enfasi: la montagna assassina, la montagna che non si lascia strappare facilmente le sue prede, la montagna mostruosa: «In un'epoca in cui ancora la televisione è di là da venire, oltre ai quotidiani, anche i più popolari settimanali illustrati contribuiscono a scolpire nell'immaginario collettivo l'idea di una Grigna tragica». Assassina, appunto.
Nel 1935, invece, «è interessante notare l'atteggiamento del "Corriere della Sera". Il quotidiano tratta la notizia in modo del tutto diverso rispetto a come la stampa cittadina si era occupata vent'anni prima dell'incidente ai Magnaghi, La cronaca è estremamente scarna, quasi distratta. Non ci sono interviste ai sopravvissuti e sul posto non viene mandato alcun inviato. (...) E' cambiato il clima. Tutte le prime pagine e gran parte del corpo dei giornali sono dedicati alle notizie sulla pressione che il governo fascista va esercitando nei confronti dell'Etiopia a preludio della guerra del 1936. (...) Un atteggiamento simile è tenuto anche dalla "Rivista Mensile del Cai" [che] si adegua alle direttive ei vertici del Cai, a loro volta obbedienti ai voleri della gerarchia fascista. Avvenimenti come quello della Rasica non sono funzionali all'immagine del popolo italiano che il regime intende diffondere. (...) Le falangi dei conquistatori devono essere costituite da uomini forti, da eroi, che come talòi si comportano anche in montagna. Quindi grande risonanza alle conquiste dell'alpinismo italiano, onore e medaglie ai Cassin, ai Comici e ai Gervasutti. Silenzio e indifferenza per i caduti della Rasica».

Eugenio Fasana, a destra in Grignetta


In "Grigna assassina" c'è, infine, un altro aspetto d'interesse per il lettore lecchese. Ed è appunto la descrizione di una montagna - anzi di due: il Grignone e la Grignetta - che è una montagna dei milanesi prima che dei lecchesi. Sono milanesi i primissimi rifugi, sono i milanesi che vanno alla scoperta di sentieri e pareti, che ne raccontano, che ne alimentano il mito. Una preminenza che dura grosso modo fino agli anni Venti del Novecento. E' a quel punto che arrivano gli alpinisti lecchesi: «Sulla Grignetta i tempi sono cambiati. Dopo il primo conflitto mondiale, a poco a poco, gli alpinisti sono tornati a popolare i sentieri, i canaloni, le guglie e le pareti, ma per qualche anno non si vedono realizzazioni paragonabili a quelle del biennio 1914-15. Poi, nel 1919 compaiono sulla scena Gaetano Polvara e Vittorio Ponti (...) Gino Carugati. (...) Le imprese che hanno per protagonisti questi rocciatori, seppure notevoli, non sono all'altezza di quelle dei loro predecessori; sono gli ultimi fuochi di un'epoca ormai finita; ormai tutti i torrioni più evidenti sono stati raggiunti e le linee più logiche sono state salite; ciò che rimane sono pareti, spigoli, camini e diedri le cui difficoltà sono decisamente "impossibili" per il livello tecnico dell'epoca, e i "milanesi" stanno per cedere il passo ai "lecchesi", i protagonisti della nuova stagione dell'alpinismo in Grigna. (...) Con l'inizio degli anni trenta in Grigna entrano in scena uomini come Riccardo Cassin e Mario (Boga) Dell'Oro e poi Ercole (Ruchin) Esposito, Vittorio Ratti, Gino Esposito, Ugo Tizzoni, Gigi Vitali, che dopo essersi fatti le ossa con itinerari noti iniziano ad aprire vie sempre più impegnative. Sono loro che elevano decisamente il livello dell'arrampicata e sono loro i protagonisti dell'epoca. (...) A differenza dei loro predecessori milanesi, prevalentemente di estrazione borghese, questi giovani rocciatori sono in gran parte operai che si ritrovano nei circoli del dopolavoro per organizzare le uscite domenicali sulle montagne di casa. La visita di Emilio Comici, accompagnato da Mary Varale, nel 1933, segna la loro definitiva consacrazione».





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Dario Cercek
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