PAROLE CHE PARLANO/113

Censura

La Censura e i Censori nascono nel 443 a.C. quando a Roma fu istituita in modo innocuo una speciale magistratura il cui unico compito era infatti di tenere regolari censimenti dei cittadini e dei loro beni. Tuttavia, fu presto affidato ai Censori anche il ruolo di sorveglianti della moralità dei costumi. Nel 184 a.C., Marco Porcio Catone (quello di delenda Carthago) fu eletto censore. Svolse questa carica così bene che gli venne assegnato il soprannome di Censore, anche per la sua severità, per il suo rigido moralismo e per la durezza delle critiche che rivolse contro ogni corruzione, anche lieve, delle antiche virtù romane.
Purtroppo, questo controllo morale e ideologico assunse rapidamente connotazioni molto negative; fu infatti acquisito da dittatori e nazioni totalitariste per controllare ogni genere di opposizione e divergenza dal pensiero unico. L'attualità ci mette davanti agli occhi le nefandezze della cosiddetta polizia morale iraniana o la chiusura di testate giornalistiche e la persecuzione dei giornalisti e dei politici non allineati in molti altri stati come quello russo.
Ma la censura può anche assumere aspetti più ipocriti e nascosti. In uno dei miei articoli (ottobre), ho parlato dell'anacronistico revisionismo che sta ad esempio portando alla cancellazione di tutto ciò che è legato alla scoperta delle Americhe e al colonialismo. Una sorta di damnatio memoriae che con furia iconoclastica costringe le autorità a rimuovere o a distruggere monumenti e altro. Questa cultura della cancellazione (cancel culture viene definita nei territori anglosassoni dove è nata e trova maggior diffusione), con la giustificazione che sia necessario salvaguardare le minoranze da qualsiasi genere di discriminazione o offesa, presente, passata e futura, ha anche raggiunto la letteratura. Da tempo si discute se le antiche fiabe, dove si parla di lupi famelici (Cappuccetto Rosso), di donne troppo spesso relegate ai lavori domestici che si emancipano solo se amate da un principe (Cenerentola) e così via, siano ancora ammissibili per i nostri bambini o debbano essere quantomeno riscritte in forme più "accettabili".
È cronaca recente quella della società che gestisce i diritti di Roald Dahl (1916-1990) che ha voluto rivedere alcune parti dei romanzi del celebre scrittore per ragazzi (chi non conosce La fabbrica di cioccolato?), sostituendo termini ed espressioni a loro dire offensivi come brutto, grasso, bianco e nero (anche se riferiti a oggetti) e centinaia di altri. Ci sarebbe da chiedersi se queste preoccupazioni e questo eccesso di "cura" non finiscano per appiattire le menti e per rendere i giovani fragili, insicuri e incapaci di scegliere, perché privi di spirito critico.
Sono, per fortuna, episodi per ora limitati, ma che devono destare preoccupazione e sospetto. La libertà di chiunque e di chi scrive, in particolare, non può essere messa in discussione da nessuno (chi può erigersi a censore dei costumi come il famoso Catone?) nemmeno con i migliori propositi, quelli del politicamente corretto. E se un racconto, un libro o un articolo non dovessero piacere, esiste un solo modo democratico per manifestare il proprio disaccordo: non leggerli e non consigliarli.  
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