Lecco: 'Io ricordo', i francobolli di Aldo Baborsky diventano simbolo del dramma dell'esodo giuliano-dalmata

Niente allocuzioni. La campagna elettorale, ormai agli sgoccioli per il rinnovo del consiglio regionale ha quest'oggi “tolto la parola” alla autorità lasciando che il Giorno del Ricordo fosse onorato per bocca di chi, il dramma dell'esodo giuliano-dalmata, l'ha vissuto sulla propria pelle, dovendo abbandonare la terra natia per varcare, con poco nulla al seguito, un confine non solo geografico ma anche ideologico e culturale. E così, il cuore della commemorazione, organizzata, come sempre, in riva Martiri delle Foibe, da Prefettura, Provincia e Comune di Lecco, sono diventati, i francobolli perduti dall'architetto Aldo Baborsky, 88enne tornato bambino dinnanzi alla sparuta platea di rappresentanti delle Istituzioni.

Aldo Baborsky

"Vi chiedo perdono se parto con la parola io, come scritto sulla bandiera. Non è bello parlare in prima persona però "io ricordo", io ricordo molto bene il giorno in cui ho passato il così detto muro, il confine che divideva l'Occidente dall'Oriente” ha esordito citando per l'appunto quel “io ricordo” che quest'oggi campeggia sul Tricolore a Palazzo Ghigi. “L'ho passato il 16 agosto del 1948, quando avevo 13 anni. La mia preoccupazione non era tanto il dolore che provavano i miei genitori per aver lasciato la loro casa, i nostri mobili... Ero preoccupato – ha proseguito, suscitando tenerezza e strappando altresì amari sorrisi - per una collezione di francobolli che avevo curato con una passione enorme. Voi riderete. Mia mamma mi aveva detto: devi ridurla in piccolo, perché te la portano via. E così avevo fatto. L'avevo messa su una giacchetta, era estate, una giacchettina leggera, proprio qui” ha spiegato, indicandosi il petto, il cuore. Un nascondiglio studiato, ritenuto più sicuro della tasca dei pantaloni.

Ma evidentemente, comunque, non abbastanza discreto. Dopo un viaggio di ben 12 ore in treno per percorrere i 90 chilometri tra Fiume e Trieste, con partenza a mezzanotte e arrivo solo a mezzogiorno, a San Pietro nel Carso la collezione non ha infatti passato la “visita”. All'umiliazione per essere stati spogliati e aver visto i propri miseri bagagli venir rovesciati a terra da chi rovistava tra quei pochi ricordi di una vita,  Baborsky – con l'innocenza del ragazzino – associa lo scambio di battute con un “compagno jugoslavo”, addetto ai controlli.

Ne ripete il dialogo, in lingua originale, traducendo poi in italiano. “Vedendo che la giacchetta era un pochino sporgente, ha puntato lì uno strano fucile che aveva un tondo e mi ha detto "cosa hai lì?". Io ho detto "non ho niente, compagno". Lui mi ha detto "hai sì qualche cosa". E io "non ho niente, caro compagno", più di così non potevo fare. Avevo visto che non aveva una faccia cattiva, ero sicuro non mi avrebbe sparato. Ho dovuto però estrarre la mia preziosa collezione di francobolli. Preziosa perché c'erano dei francobolli con il timbro di D'Annunzio. Dovete sapere che D'Annunzio, che si era trovato a governare Fiume dal 1919 al 1920, non aveva francobolli. Allora prendeva quelli con l'effige dell'Imperatore Francesco Giuseppe, che era morto quattro anni prima, nel 1916, e ci metteva un timbro con scritto "governo provvisorio di Fiume". Questi francobolli avevano un valore enorme. Mi sono stati portati via e quella cosa, quel furto, mi sta bruciando ancora a distanza di tanti anni”.
Impossibile per i presenti – tra i quali il prefetto Sergio Pomponio, la presidente della Provincia Alessandra Hofmann e il sindaco di Lecco Mauro Gattinoni in fascia tricolore così come l'omologo di Valmadrera Antonio Rusconi, oltre al Questore e ai comandanti provinciali di Carabinieri e Finanza – non empatizzare con quell'anziano pronto a condividere nel Giorno del Ricordo emozioni datate ma ancora vivide.

Toccante anche la prima impressione avuta all'arrivo in quella che è diventata poi la sua nuova città, dopo essere transitato dal campo di smistamento profughi di Udine e dalla Villa Reale di Monza (“non certo nelle camere del Re ma, dietro, nelle scuderie”). “Quando ho visto Lecco per la prima volta all'età di 13 anni – ha dichiarato infatti  l'architetto - ho detto "non esiste al mondo un paese così bello". Questo lago che diventa fiume, quel ponte e poi queste montagne, affascinanti. In particolare ero colpito dal San Martino così addosso alla città. Ma quello che è più importante, che io ricordo, è l'abbraccio che ho avuto dai miei compagni di scuola che non sono stati degli amici ma addirittura dei fratelli”. Un grazie sincero, il suo. Per una città che oggi – come ogni giorno – dovrebbe ripetere “Io ricordo”, dimostrandosi poi, quotidianamente, nei fatti, sempre accogliente.

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A.M.
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