In viaggio a tempo indeterminato/269: un terremoto di ricordi
Lunedì Paolo riceve una chiamata da sua mamma verso le 12. È l'ora di pranzo e noi siamo seduti sugli sgabelli bassi di un ristorantino a finire i noodles.
Ci accorgiamo della chiamata quando ormai è tardi per rispondere. Iniziamo un po' a preoccuparci perché in Italia, con il fuso orario, sono le 7:30 ed è un po' presto per fare due chiacchiere.
Paolo esce dal ristorante affollato e richiama subito.
Lo scruto dalla finestra del locale per capire dalle sue espressioni facciali cosa possa essere successo.
All'inizio è serio e intristito, e lì mi preoccupo.
Poi però sorride, saluta e torna dentro.
"Tutto bene?" gli chiedo immediatamente.
"Sì, mia madre voleva sapere se stiamo bene perché c'è stato un forte terremoto in Turchia."
Come prima reazione ci mettiamo a ridere. "È sempre così Madre, quando sente di una tragedia in qualunque parte del mondo, si preoccupa per noi, anche se siamo da tutt'altra parte."
Succede spesso che le notizie noi le scopriamo così, per una telefonata o un messaggio.
La stessa cosa è successa qualche settimana fa con l'incidente aereo avvenuto qui in Nepal. Nonostante non avessimo in programma di prendere aerei, le nostre famiglie in Italia si sono preoccupate per noi.
Non deve essere semplice essere i genitori di due sempre in giro per il mondo.
La risata però dura poco, il tempo di fare una ricerca online e scoprire cosa è successo.
Un violento terremoto ha colpito le zone di confine tra Turchia e Siria. Moltissime sono le vittime, circa 700 quando spulciamo gli articoli di giornale.
Leggiamo i nomi delle città colpite e ci iniziano a tremare le gambe.
Gaziantep l'epicentro. E mi torna in bocca il sapore della granella di pistacchi. Sento il profumo del kebap alla brace e rivedo quelle stradine strette e le mura del castello.
"È crollato tutto." Mi dice Paolo come se mi leggesse nel pensiero.
Poi c'è Kahramanmaraş, una delle città più colpite. E io ricordo che ci abbiamo messo ore prima di capire come si pronunciasse il nome, finché un signore, una mattina, ci spiegò che andava bene anche solo Maraş. Quello stesso signore ci aveva pagato la colazione senza dircelo e noi non avevamo potuto nemmeno ringraziarlo perché, quando l'avevamo scoperto, se ne era già andato.
"Chissà come sta. Non abbiamo il suo numero per caso?"
"Purtroppo no. Ma possiamo scrivere a Fathma che abita a qualche km da lì. Speriamo lei e la sua famiglia stiano bene."
Fathma l'abbiamo conosciuta mentre, con il van, visitavamo la zona sud est della Turchia.
Quel pezzetto di mondo ci aveva colpito moltissimo per il suo essere a metà tra il Medio Oriente delle fiabe di Mille e una notte e la moderna Turchia.
L'accoglienza e la generosità turche, in queste zone desertiche e soleggiate, sembravano esprimersi ancora di più.
Fathma ci aveva invitato a pranzo a casa sua, facendoci conoscere la sua numerosa famiglia e servendoci uno dei banchetti più buoni mai assaggiati.
Paolo le manda un messaggio su WhatsApp, io le scrivo su Instagram e aspettiamo.
In questi 5 anni in viaggio abbiamo avuto la fortuna di conoscere molte persone e ora abbiamo amici in diverse parti del mondo.
Non ci sentiamo spesso con tutti, sarebbe impossibile, ma questo non vuol dire che non pensiamo a loro.
E così ci basta leggere il nome di un posto familiare perché alla memoria tornino i luoghi, i momenti, gli incontri.
Il terremoto in Turchia e Siria è una tragedia di quelle che ti sconvolgono perché possono succedere ovunque e a chiunque.
E questa imprevedibilità il Nepal ce la ricorda ad ogni angolo.
Le crepe di quelle violentissime scosse del 2015, sono ancora una memoria dolorosa, un velo di tristezza che si mischia con la polvere che ricopre gli edifici.
Le impalcature, i palazzi ancora in ristrutturazione, i monumenti storici crollati.
Sono passati poco più di 7 anni da quel giorno che ha cambiato per sempre questo Paese, ma in certe zone di Kathmandu, sembra sia successo da pochi mesi.
Abbiamo guardato un documentario proprio qualche giorno fa sul terremoto in Nepal. Storie di turisti e persone del posto, immagini delle ore successive alla scossa, i soccorsi. Vedere certe scene in un documentario a puntate su Netflix fa sembrare tutto meno reale, quasi fossero effetti speciali e non scene vere. Come se fossero attori di un film tragico dal dubbio gusto.
E invece no, è tutto vero e reale. Mi basta soffermarmi sul muro del palazzo che vedo dalla finestra per rendermene conto.Osservo Paolo concentrato a leggere le notizie.
Mi mostra alcuni video e stavolta non è una serie tv.
Ci guardiamo senza dire nulla, le parole in questi casi non servono.
Ci stringiamo la mano.
Fathma non ha ancora risposto, speriamo lo faccia presto.
Ci accorgiamo della chiamata quando ormai è tardi per rispondere. Iniziamo un po' a preoccuparci perché in Italia, con il fuso orario, sono le 7:30 ed è un po' presto per fare due chiacchiere.
Paolo esce dal ristorante affollato e richiama subito.
Lo scruto dalla finestra del locale per capire dalle sue espressioni facciali cosa possa essere successo.
All'inizio è serio e intristito, e lì mi preoccupo.
Poi però sorride, saluta e torna dentro.
"Tutto bene?" gli chiedo immediatamente.
"Sì, mia madre voleva sapere se stiamo bene perché c'è stato un forte terremoto in Turchia."
Come prima reazione ci mettiamo a ridere. "È sempre così Madre, quando sente di una tragedia in qualunque parte del mondo, si preoccupa per noi, anche se siamo da tutt'altra parte."
Succede spesso che le notizie noi le scopriamo così, per una telefonata o un messaggio.
La stessa cosa è successa qualche settimana fa con l'incidente aereo avvenuto qui in Nepal. Nonostante non avessimo in programma di prendere aerei, le nostre famiglie in Italia si sono preoccupate per noi.
Non deve essere semplice essere i genitori di due sempre in giro per il mondo.
La risata però dura poco, il tempo di fare una ricerca online e scoprire cosa è successo.
Un violento terremoto ha colpito le zone di confine tra Turchia e Siria. Moltissime sono le vittime, circa 700 quando spulciamo gli articoli di giornale.
Leggiamo i nomi delle città colpite e ci iniziano a tremare le gambe.
Gaziantep l'epicentro. E mi torna in bocca il sapore della granella di pistacchi. Sento il profumo del kebap alla brace e rivedo quelle stradine strette e le mura del castello.
"È crollato tutto." Mi dice Paolo come se mi leggesse nel pensiero.
Poi c'è Kahramanmaraş, una delle città più colpite. E io ricordo che ci abbiamo messo ore prima di capire come si pronunciasse il nome, finché un signore, una mattina, ci spiegò che andava bene anche solo Maraş. Quello stesso signore ci aveva pagato la colazione senza dircelo e noi non avevamo potuto nemmeno ringraziarlo perché, quando l'avevamo scoperto, se ne era già andato.
"Chissà come sta. Non abbiamo il suo numero per caso?"
"Purtroppo no. Ma possiamo scrivere a Fathma che abita a qualche km da lì. Speriamo lei e la sua famiglia stiano bene."
Fathma l'abbiamo conosciuta mentre, con il van, visitavamo la zona sud est della Turchia.
Quel pezzetto di mondo ci aveva colpito moltissimo per il suo essere a metà tra il Medio Oriente delle fiabe di Mille e una notte e la moderna Turchia.
L'accoglienza e la generosità turche, in queste zone desertiche e soleggiate, sembravano esprimersi ancora di più.
Fathma ci aveva invitato a pranzo a casa sua, facendoci conoscere la sua numerosa famiglia e servendoci uno dei banchetti più buoni mai assaggiati.
Paolo le manda un messaggio su WhatsApp, io le scrivo su Instagram e aspettiamo.
In questi 5 anni in viaggio abbiamo avuto la fortuna di conoscere molte persone e ora abbiamo amici in diverse parti del mondo.
Non ci sentiamo spesso con tutti, sarebbe impossibile, ma questo non vuol dire che non pensiamo a loro.
E così ci basta leggere il nome di un posto familiare perché alla memoria tornino i luoghi, i momenti, gli incontri.
Il terremoto in Turchia e Siria è una tragedia di quelle che ti sconvolgono perché possono succedere ovunque e a chiunque.
E questa imprevedibilità il Nepal ce la ricorda ad ogni angolo.
Le crepe di quelle violentissime scosse del 2015, sono ancora una memoria dolorosa, un velo di tristezza che si mischia con la polvere che ricopre gli edifici.
Le impalcature, i palazzi ancora in ristrutturazione, i monumenti storici crollati.
Sono passati poco più di 7 anni da quel giorno che ha cambiato per sempre questo Paese, ma in certe zone di Kathmandu, sembra sia successo da pochi mesi.
Abbiamo guardato un documentario proprio qualche giorno fa sul terremoto in Nepal. Storie di turisti e persone del posto, immagini delle ore successive alla scossa, i soccorsi. Vedere certe scene in un documentario a puntate su Netflix fa sembrare tutto meno reale, quasi fossero effetti speciali e non scene vere. Come se fossero attori di un film tragico dal dubbio gusto.
E invece no, è tutto vero e reale. Mi basta soffermarmi sul muro del palazzo che vedo dalla finestra per rendermene conto.Osservo Paolo concentrato a leggere le notizie.
Mi mostra alcuni video e stavolta non è una serie tv.
Ci guardiamo senza dire nulla, le parole in questi casi non servono.
Ci stringiamo la mano.
Fathma non ha ancora risposto, speriamo lo faccia presto.
Angela (e Paolo)