Lecco: Bruna Martini firma una graphic novel dedicata a Gracco Cornelio Rondali, partito da Calolzio per l'Argentina

Una ricerca sul passato della propria famiglia e in particolare di un  personaggio singolare, ma anche una riflessione sul tema dell’emigrazione, sulle aspettative e le delusioni di chi lascia la propria terra, sottolineano come le dinamiche siano sempre le stesse, come gli emigranti italiani di un secolo fa tanto siano simili ai migranti di oggi e come simili siano anche la diffidenza e il disprezzo nei confronti di chi arriva a cercare una vita migliore. E’ il tema di “Roots. Radici”, il nuovo libro, una “graphic novel” come si dice, di Bruna Martini, illustratrice lecchese che ormai da quindici anni vive a Londra e che in questi giorni è stata in città per una serie di presentazioni dell’opera che fa seguito a quella pubblicata due anni fa, sempre dall’editore bolognese “Becco giallo”: “Patria. Crescere al tempo di guerra” (QUI) che è la storia vera di una bambina – che sarebbe poi la zia dell’autrice, Graziella Mapelli - cresciuta durante il fascismo.

Bruna Martini

Bruna Martini ha presentato il suo libro alla Libreria Volante, alla libreria “Parole nel tempo” presentata da Franco Minonzio e al “Libraccio” introdotta da Bruno Biagi, oltre che in alcune scuole superiori.
La ricerca ha avuto origine da un vecchio testamento, quello del calolziese Giuseppe Rondalli che era un possidente e pertanto una persona agiata, figura di rilievo nella genealogia del ramo paterno dell’autrice. Proprio leggendo quel testamento, Bruna Martini ha saputo dell’esistenza di un quinto figlio di Rondalli che nelle memorie parentali era stato eclissato. Si trattava tra l’altro del primogenito, destinato quindi a essere l’erede maggiore ma che del quale si erano sostanzialmente perduti notizie e ricordo. E ciò perché – come emerso dagli approfondimenti – a 25 anni aveva lasciato la propria terra e la propria famiglia pressoché dall’oggi al domani per emigrare in Argentina, il Paese sudamericano dove generazioni di italiani si sono recate alla ricerca di fortuna.

Al tavolo Bruno Biagi con Bruna Martini

Il libro ricostruisce dunque la storia di questo figlio “scomparso” dal nome di un certo impegno: Gracco Cornelio, nato nel 1888, partito per l’Argentina nel 1915 dove sarebbe sempre rimasto e dove sarebbe morto nel 1953.
Martini ne ha seguito le tracce lasciate negli archivi istituzionali, ma è anche riuscita, non senza difficoltà, a incontrarne la figlia Marta, l’ultima dei nove figli di Gracco, la quale aveva solo sette anni alla morte del padre ma che nella sua casa nella campagna di Cordoba in Argentina, ha conservato religiosamente oggetti e documenti del genitore.

L'autrice e, a schermo, la foto di Gracco Cornelio Rondali

Di fatto Gracco Cornelio Rondali, forse con simpatie socialiste, lascia l’Italia nel 1915 per non essere arruolato e finire sul fronte della prima guerra mondiale «che probabilmente riteneva insensata» e infatti nei registri militari viene indicato come disertore. S’imbarca a Genova e arriva in Argentina, in possesso di due biglietti di viaggio, ma allo sbarco viene registrato solo il suo nome. La persona che l’accompagnava era morta durante il viaggio, «come accadeva all’epoca per malattie contratte durante la navigazione»: si trattava della moglie, anche se i documenti anagrafici non registrano quel matrimonio e di lei poco ancora si sa. Di fatto, in Argentina, l’emigrante calolziese si sposerà una seconda volta con Rosa, una donna di origini piemontesi, che metterà al mondo nove figli. L’ultima dei quali, appunto Marta che alla morte della madre all’età di 104 anni, troverà la fotografia della prima moglie nascosta nella cornice che racchiudeva quella del matrimonio dei genitori. Un dettaglio da solo sufficiente per raccontare una storia immensa.

Ma la vita di Gracco Cornelio e della sua famiglia in Argentina non deve essere andata secondo le aspettative. Dopo aver lavorato come maestro itinerante, dopo il matrimonio con Rosa si dedica all’agricoltura, ma di fatto non riuscirà mai a diventare indipendente dai grandi latifondisti, restando come molti agricoltori avviluppato nella rete dei debiti.
«Mi ha sempre affascinato – ha detto Martini – l’identità dei migranti, perché anch’io mi sento tale avendo lasciato l’Italia nel 2008». E in quanto agli italiani in Argentina «non furono in grado di integrarsi con il paese, vivevano nelle proprie comunità dove mantenevano vive le tradizioni e i dialetti dei luoghi di provenienza ed erano trattati come noi oggi trattiamo i migranti che arrivano in Italia per le stesse ragioni per le quali emigravano i nostri. E spero quindi che il mio libro possa far riflettere su questo».
Dario Cercek
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