In viaggio a tempo indeterminato/268: 'ish, ish, ish', il luna park e la paura
Da bambini, ad esclusione del buio e dei mostri sotto il letto, non abbiamo paura quasi di nulla.
Siamo più coraggiosi, forse più incoscienti.
Ci pensavo l'altro giorno mentre eravamo seduti in un ristorantino a mangiare momo, i tradizionali ravioli nepalesi.
A un certo punto, dal nulla, arriva correndo una bambina, avrà avuto 2 anni.
Senza parlare e un po' goffa nei movimenti, mi si avvicina e mi si siede in braccio.
Inizia ad indicare una specie di minuscolo acquario appeso al muro alle mie spalle.
Io non l'avevo nemmeno notato, ma lei lo osserva estasiata e si mette ad indicare i pesci, piuttosto bruttini, che nuotano dietro quel vetro pieno di ditate.
"Ish, ish" si mette a urlare felice.
Io e Paolo ci guardiamo.
"Ma da dove è arrivata? Chi l'ha prodotta?" mi chiede Paolo.
"Non ne ho idea, è sbucata dal nulla e me la sono ritrovata qui."
"Ish, ish, ish" continua lei imperterrita.
I minuti passano, noi capiamo che "ish" sta per "fish" e anche che questa bambina è sgattaiolata via da qualche parte.
"Ci sarà una mamma che la cerca ora. Vado a vedere qui fuori" dice Paolo mentre si alza per uscire dal piccolo ristorante.
C'è una tenda bianca che chiude l'ingresso e da fuori non si vede nulla di quello che succede dentro.
Io osservo la bambina. È felice, serena. Evidentemente non spaventata dal trovarsi in braccio a una sconosciuta.
Quei tristi pesciolini sono tutto il suo mondo ora.
Dopo una decina di minuti, vedo muoversi la tenda. Entra Paolo e con lui una giovane ragazza, tutta rossa in volto e con gli occhi sgranati. Vede la bambina con la faccia incollata al vetro dell'acquario e tira un sospiro di sollievo. In quell'istante vedo svanire tutta la paura che aveva nello sguardo. Sorride, si gira ed esce dal ristorante.
"La mamma era disperata. Correva in ogni negozietto a cercare la bambina. Quando l'ho vista e le ho detto 'baby fish' ha capito al volo. A quanto pare ha attraversato la strada in qualche modo ed è arrivata in braccio a te. Non si sa come abbia fatto perché attraversare la strada in Nepal è complicato anche da adulti."
"Temeraria!"
Questo piccolo avvenimento mi ha fatto pensare alla percezione che abbiamo del pericolo. Da bambini è bassissima ma crescendo cambia davvero tutto.
La paura, in molti casi, è fondamentale per la sopravvivenza. Penso agli alpinisti e scalatori che convivono costantemente con la paura. La ascoltano, la conoscono e, se è sensata, la assecondano. Spesso, ma non sempre purtroppo, è così che si salvano la vita. Mi viene in mente il mitico Simone Moro, alpinista bergamasco che, dopo vari tentativi di scalare la cima del Manaslu in inverno, è dovuto ancora una volta tornate indietro a poche ore dal raggiungimento del traguardo.
Lì la paura di non tornare indietro vivo da quella montagna era concreta e lo ha salvato.
Ci sono tanti tipi di paura. Quella legata al pericolo evidente che mette a repentaglio la nostra incolumità o quella di chi ci sta accanto.
Quella che si presenta quando dobbiamo affrontare qualcosa che sembra troppo grande per noi, o così sconosciuto e inaspettato da spaventarci.
Ma recentemente ho scoperto una nuova paura che è un mix delle due precendentemente descritte con però qualcosa in più.
È la mia personale paura delle ruote panoramiche nepalesi!
Lo so che probabilmente ti saresti aspettato/a altro dopo un discorso così profondo sulla paura, soprattutto in un Paese dove la gente viene per scalare montagne alte 8000 metri.
Ma quando ti trovi a decine di metri da terra, seduto dentro una cigolante gabbietta metallica colorata aperta su entrambi i lati, e vedi che l'intera struttura è tenuta insieme da del nastro adesivo trasparente, ecco che scopri di avere una nuova paura.
Andare a un luna park a Kathmandu mi era sembrata una bella idea. Mi immaginavo le giostre dei cavalli, lo zucchero filato, la ruota panoramica per guardare la città dall'alto.
Solitamente non cerchiamo parchi divertimento perché siamo concentrati ad esplorare le città, a scoprire i suoi monumenti e punti di attrazione, a provare la cucina locale.
Ma a Kathmandu è successa una cosa che non ci succedeva da un po'. Abbiamo avuto il tempo di fermarci, creare una nostra piccola routine e goderci anche delle giornate di "dolce far niente".
Non è una cosa comune in viaggio, ma in alcune fasi diventa fondamentale.
Ed è in quei periodi di pausa, che mi piace andare a scoprire qualche aspetto della città sul quale magari sorvolerei e fare un'attività non strettamente legata alla mera scoperta delle principali attrazioni turistiche.
Guardando la mappa di Google mi era caduto l'occhio sul fun park di Kathmandu. Il fatto che fosse raggiungibile a piedi dal centro e che il biglietto d'ingresso costasse 0,40€, mi sono sembrati due elementi perfetti per riuscire a convincere Paolo a seguirmi in questa impresa.
A posteriori, cioè mentre dondolavamo su quella ruota panoramica, mi sono decisamente pentita di quell'idea. Ma mentre programmavamo le giornate in città, mi sembrava un'attività super divertente.
La mia visione romantica del luna park, forse uscita da un film anni '80, me lo faceva immaginare come un luogo pieno di sani divertimenti, dove l'unica paura che ti viene dura il tempo di un giro dentro la casa degli orrori.
Avevo sottovalutato il fatto che, a differenza di un bambino, avrei analizzato anche altri aspetti, ad esempio l'affidabilità di una struttura prima di salirci.
Così quando mi sono trovata davanti alla ruota panoramica, un po' ho iniziato a tentennare.
Gli elementi che mi hanno fatto preoccupare:
- La giovane età del ragazzo che manovrava la ruota. Avrà avuto al massimo vent'anni.
- Il fatto che tutta la tecnologia dietro quel gigantesco cerchio di ferro consistesse in una cinghia simile alla corda che si usa per le tapparelle.
- La velocità a cui girava la ruota.
"Ma sì, è solo una ruota panoramica vecchio stile" pensava il mio cuore romantico.
"Quel trabiccolo non reggerà" urlava la mia mente razionale.
Dopo una classica lotta cuore/ragione ho deciso di provare a salire, sperando che avrebbe rallentato e mi sarei goduta il paesaggio.
Tutto il resto è storia e il video mostra perfettamente tutte le fasi dell'avventura luna park, dalla consapevolezza di aver fatto una cavolata, all'urlo "slow slow" davanti alla faccia compiaciuta del ragazzo alla guida.
E in quei momenti, mentre stringevo forte l'acciaio freddo delle gabbietta metallica, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era "ish, ish, ish".
(Nessuna bambina è stata maltrattata per questa storia, lo stesso non si può dire dei poveri 'ish' chiusi nell'acquario triste)
Siamo più coraggiosi, forse più incoscienti.
Ci pensavo l'altro giorno mentre eravamo seduti in un ristorantino a mangiare momo, i tradizionali ravioli nepalesi.
A un certo punto, dal nulla, arriva correndo una bambina, avrà avuto 2 anni.
Senza parlare e un po' goffa nei movimenti, mi si avvicina e mi si siede in braccio.
Inizia ad indicare una specie di minuscolo acquario appeso al muro alle mie spalle.
Io non l'avevo nemmeno notato, ma lei lo osserva estasiata e si mette ad indicare i pesci, piuttosto bruttini, che nuotano dietro quel vetro pieno di ditate.
"Ish, ish" si mette a urlare felice.
Io e Paolo ci guardiamo.
"Ma da dove è arrivata? Chi l'ha prodotta?" mi chiede Paolo.
"Non ne ho idea, è sbucata dal nulla e me la sono ritrovata qui."
"Ish, ish, ish" continua lei imperterrita.
I minuti passano, noi capiamo che "ish" sta per "fish" e anche che questa bambina è sgattaiolata via da qualche parte.
"Ci sarà una mamma che la cerca ora. Vado a vedere qui fuori" dice Paolo mentre si alza per uscire dal piccolo ristorante.
C'è una tenda bianca che chiude l'ingresso e da fuori non si vede nulla di quello che succede dentro.
Io osservo la bambina. È felice, serena. Evidentemente non spaventata dal trovarsi in braccio a una sconosciuta.
Quei tristi pesciolini sono tutto il suo mondo ora.
Dopo una decina di minuti, vedo muoversi la tenda. Entra Paolo e con lui una giovane ragazza, tutta rossa in volto e con gli occhi sgranati. Vede la bambina con la faccia incollata al vetro dell'acquario e tira un sospiro di sollievo. In quell'istante vedo svanire tutta la paura che aveva nello sguardo. Sorride, si gira ed esce dal ristorante.
"La mamma era disperata. Correva in ogni negozietto a cercare la bambina. Quando l'ho vista e le ho detto 'baby fish' ha capito al volo. A quanto pare ha attraversato la strada in qualche modo ed è arrivata in braccio a te. Non si sa come abbia fatto perché attraversare la strada in Nepal è complicato anche da adulti."
"Temeraria!"
Questo piccolo avvenimento mi ha fatto pensare alla percezione che abbiamo del pericolo. Da bambini è bassissima ma crescendo cambia davvero tutto.
La paura, in molti casi, è fondamentale per la sopravvivenza. Penso agli alpinisti e scalatori che convivono costantemente con la paura. La ascoltano, la conoscono e, se è sensata, la assecondano. Spesso, ma non sempre purtroppo, è così che si salvano la vita. Mi viene in mente il mitico Simone Moro, alpinista bergamasco che, dopo vari tentativi di scalare la cima del Manaslu in inverno, è dovuto ancora una volta tornate indietro a poche ore dal raggiungimento del traguardo.
Lì la paura di non tornare indietro vivo da quella montagna era concreta e lo ha salvato.
Ci sono tanti tipi di paura. Quella legata al pericolo evidente che mette a repentaglio la nostra incolumità o quella di chi ci sta accanto.
Quella che si presenta quando dobbiamo affrontare qualcosa che sembra troppo grande per noi, o così sconosciuto e inaspettato da spaventarci.
Ma recentemente ho scoperto una nuova paura che è un mix delle due precendentemente descritte con però qualcosa in più.
È la mia personale paura delle ruote panoramiche nepalesi!
Lo so che probabilmente ti saresti aspettato/a altro dopo un discorso così profondo sulla paura, soprattutto in un Paese dove la gente viene per scalare montagne alte 8000 metri.
Ma quando ti trovi a decine di metri da terra, seduto dentro una cigolante gabbietta metallica colorata aperta su entrambi i lati, e vedi che l'intera struttura è tenuta insieme da del nastro adesivo trasparente, ecco che scopri di avere una nuova paura.
VIDEO:
Andare a un luna park a Kathmandu mi era sembrata una bella idea. Mi immaginavo le giostre dei cavalli, lo zucchero filato, la ruota panoramica per guardare la città dall'alto.
Solitamente non cerchiamo parchi divertimento perché siamo concentrati ad esplorare le città, a scoprire i suoi monumenti e punti di attrazione, a provare la cucina locale.
Ma a Kathmandu è successa una cosa che non ci succedeva da un po'. Abbiamo avuto il tempo di fermarci, creare una nostra piccola routine e goderci anche delle giornate di "dolce far niente".
Non è una cosa comune in viaggio, ma in alcune fasi diventa fondamentale.
Ed è in quei periodi di pausa, che mi piace andare a scoprire qualche aspetto della città sul quale magari sorvolerei e fare un'attività non strettamente legata alla mera scoperta delle principali attrazioni turistiche.
Guardando la mappa di Google mi era caduto l'occhio sul fun park di Kathmandu. Il fatto che fosse raggiungibile a piedi dal centro e che il biglietto d'ingresso costasse 0,40€, mi sono sembrati due elementi perfetti per riuscire a convincere Paolo a seguirmi in questa impresa.
A posteriori, cioè mentre dondolavamo su quella ruota panoramica, mi sono decisamente pentita di quell'idea. Ma mentre programmavamo le giornate in città, mi sembrava un'attività super divertente.
La mia visione romantica del luna park, forse uscita da un film anni '80, me lo faceva immaginare come un luogo pieno di sani divertimenti, dove l'unica paura che ti viene dura il tempo di un giro dentro la casa degli orrori.
Avevo sottovalutato il fatto che, a differenza di un bambino, avrei analizzato anche altri aspetti, ad esempio l'affidabilità di una struttura prima di salirci.
Così quando mi sono trovata davanti alla ruota panoramica, un po' ho iniziato a tentennare.
Gli elementi che mi hanno fatto preoccupare:
- La giovane età del ragazzo che manovrava la ruota. Avrà avuto al massimo vent'anni.
- Il fatto che tutta la tecnologia dietro quel gigantesco cerchio di ferro consistesse in una cinghia simile alla corda che si usa per le tapparelle.
- La velocità a cui girava la ruota.
"Ma sì, è solo una ruota panoramica vecchio stile" pensava il mio cuore romantico.
"Quel trabiccolo non reggerà" urlava la mia mente razionale.
Dopo una classica lotta cuore/ragione ho deciso di provare a salire, sperando che avrebbe rallentato e mi sarei goduta il paesaggio.
Tutto il resto è storia e il video mostra perfettamente tutte le fasi dell'avventura luna park, dalla consapevolezza di aver fatto una cavolata, all'urlo "slow slow" davanti alla faccia compiaciuta del ragazzo alla guida.
E in quei momenti, mentre stringevo forte l'acciaio freddo delle gabbietta metallica, l'unica cosa a cui riuscivo a pensare era "ish, ish, ish".
(Nessuna bambina è stata maltrattata per questa storia, lo stesso non si può dire dei poveri 'ish' chiusi nell'acquario triste)