L'addio a gennaio con i riti di un vecchio mondo campestre

Una "raffica" di iniziative tradizionali sta investendo questi ultimi giorni di gennaio, quasi a ricompensare le assenze in calendario di appuntamenti popolai sempre intensamente vissuti e partecipati, ma cancellati dalla tragica epidemia di coronavirus.

L'addio al mese di gennaio che equivale al grande inverno lasciato alle spalle, o quanto meno avviato al suo culmine ed in china discendente. Falò, fantocci, pentolame, tolle, campanacci, vin brulè ed altro ancora animano le ultime sere del mese più freddo e lungo dell'anno. Un mese una volta con tanto ghiaccio, indicato come quello dei "Santi mercanti di neve", ad iniziare da Sant'Antonio. Poi c'erano i tre giorni gelidi della merla.

Per sognare e cercare temperature miti la tradizione popolare indicava San Sebastiano "con la viola in mano". Venne aggiunta anche Sant’Agnese con “la lucertola che corre nella siepe”. Sono segni, questi ultimi, di un timido riapparire del sole dopo tanto freddo e tanto buio. Le cronache dell’ultimo decennio del Novecento riferiscono di roghi di fine gennaio con il fantoccio della giubiana. Al termine del fuoco polenta e cazzeoula per tutti.

La buona tavola non rimaneva assente in un appuntamento popolare del mondo rurale e campestre. La polenta uncia, la trippa, il dolce meascia tornavano ad esempio per la festa di Crebbio, sopra Abbadia Lariana, tre giorni di iniziative che si concludevano con l’incanto dei canestri. Non mancavano i fuochi sui monti, quasi a ricordare le mete di belle passeggiate primaverili ed estive.


Una foto di repertorio del rogo della Gibiana a Civate

Venti anni or sono, tra fine gennaio ed inizio febbraio 2003, la colonna di mercurio raggiunse un record stagionale del freddo a -12 presso il ristorante Capanna Vittoria, a quota 1000, sull’Alpe Giumello in alta Valsassina C’era stato un forte vento freddo proveniente da nord.

Tornando ai riti, nei primi giorni di febbraio torna anche Sant’Agata con l’antichissima chiesetta alle Pescaline che risale al 1200 ed è, appunto, dedicata alla patrona giovane martire di Catania, trucidata per la fede nel secolo 3°. E’ collocata in riva all’Adda, sul rialzo di pendio lungo il monte Barro. Prima della costruzione dell’attuale chiesa parrocchiale di Pescate, risalente agli anni ‘20 Novecento, i fedeli del territorio affluivano per le celebrazioni nelle due chiesette di Sant’Agata a Pescaline e di San Giuseppe alle Torrette.

La cerimonia religiosa era seguita, in anni trascorsi, da una cena esclusivamente femminile, nel salone dell’oratorio. Gli unici maschi ammessi erano i cuochi ed i camerieri che servivano le donne a tavola con apposito grembiulino. Si raggiunse anche il numero di 90 commensali. La cena era animata da giochi vari. In alcune edizioni venne proclamata anche la donna dell’anno per Pescate, che venne ufficialmente premiata. Ha consegnato la fascia alla vincitrice del 2003, Luigia Gradogna, l’assessore comunale di Pescate Ettore Paganoni. Era uno degli uomini che con tanto di grembiulino domestico aveva servito a tavola le 90 commensali. Curioso il fatto che la reginetta di Pescate fosse residente in via Gramsci, nel quartiere lecchese di San Giovanni.
A.B.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.