In viaggio a tempo indeterminato/267: di nuovo a Kathmandu, con le sue bandierine colorate

Bianco, rosso, blu, giallo e verde.
Sono i colori delle bandierine tibetane che si muovono sospinte dal vento.
Su ognuna è stampata una preghiera che così vola lontano e può arrivare a tutto il mondo. Potrei stare ore ad osservarle mentre sventolano nel cielo incredibilmente azzurro di Kathmandu, la capitale del Nepal.
Siamo tornati qui, tre anni e mezzo dopo, curiosi di scoprire se è cambiata lei o se siamo cambiati noi.

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Tornare in una città dove siamo già stati è sempre un po' come fare un viaggio nel tempo.
Ci mettiamo a cercare i posti che abbiamo già visto, cerchiamo di ricordare i cibi che abbiamo già assaggiato, richiamiamo alla memoria ciò che ci era piaciuto e ciò che non avevamo apprezzato.
E in genere il gioco mnemonico funziona perfettamente.
Ma ecco l'eccezione che conferma la regola: Kathmandu.
Di Kathmandu riuscivo a recuperare nella mia mente solo qualche immagine un po' polverosa e un po' sbiadita. Non riuscivo a ricordare bene cosa avessi provato la prima volta che l'avevo vista, né il giudizio che le avessi attribuito. Eppure ci eravamo stati più di una settimana.
Era come se l'esperienza vissuta in quella città non fosse andata ad occupare un posto privilegiato nella mia memoria. Ma perché?
Me lo chiedevo osservando quelle bandierine colorate. Come se il vento, oltre alle preghiere, avesse sparso anche i miei ricordi.



Non lo so, forse era destino che ci tornassi per apprezzarla veramente. E, devo ammetterlo, credo abbia funzionato.
Non era in programma Kathmandu, non lo era il Nepal. Dopo l'India, eravamo intenzionati ad andare a vedere cosa ci fosse in Bangladesh.
"È uno dei Paesi meno turistici del mondo" leggevamo mentre cercavamo informazioni.
E questa cosa, sinceramente, ci gasava moltissimo. L'idea di andare a scoprire qualcosa di poco conosciuto e inesplorato, esalta sempre qualunque viaggiatore. Sapevamo poco del Bangladesh, perché poche sono le informazioni che si riescono a reperire online.
L'unica certezza era che ci saremmo trovati nel Paese con la città più densamente popolata nel mondo. L'India ma in una versione ancora più intensa e con ancora meno spazio vitale.
Ci attirava moltissimo il Bangladesh, mamma mia quanto volevamo andare a scoprirlo.
Poi, però, abbiamo dovuto fare i conti con noi stessi, con la nostra salute ma soprattutto con le nostre energie. Quando viaggi a lungo ti rendi conto che non hai un momento prestabilito in cui tornerai e potrai ricaricare le forze. Quel momento te lo devi inventare tu, nel nostro caso, quasi obbligarti a prenderlo.
E così stavolta abbiamo deciso di ascoltare il nostro corpo e la nostra mente, entrambi decisamente fuori forma dopo tre mirabolanti mesi indiani. Abbiamo puntato verso la tranquillità nepalese anziché verso l'ignoto caotico bengalese.
Ci siamo ritrovati a Kathmandu, scoprendo che non era ciò che cercavamo ma era esattamente ciò di cui avevamo bisogno.


La città ci ha accolto con la calma e il calore di una giornata soleggiata in inverno.
Ci ha fatto sentire i benvenuti, come se quelle bandierine fossero in realtà i festoni di un comitato di accoglienza.
Gli occhi del Buddha sulle cime degli stupa, come a dire "vi ho osservati arrivare da lontano e ora siete nel posto giusto".
E così abbiamo iniziato a ricaricare le batterie, una tacchetta alla volta e abbiamo iniziato a riscrivere dei ricordi che, stavolta, diventeranno indelebili.
Dovevamo tornare a Kathmandu ora e vederla sotto un'altra luce.
Angela e Paolo
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