SCAFFALE LECCHESE/134: le edizioni illustrate dei 'Promessi Sposi', per andare oltre 'i 25 lettori'

«Per scelta e pieno impegno del suo autore, il più grande romanzo della letteratura italiana è un libro con le figure». Così scrive Roberto Bizzocchi (“Romanzo popolare”, editore Laterza, 2022) a proposito dei “Promessi sposi” che «offrono un supporto a un popolano intenzionato a sforzarsi di leggerli, mettendogli a soccorso il corredo delle immagini. Così non occorre più piegarsi alla mediazione di un signore che ne scelga e ritragga qualche scenetta divertente e pia, o ne proponga un riassunto asfittico e snervato».


Si completava anche in questo modo l’ambizioso progetto manzoniano di andare oltre la ristretta cerchia di “venticinque lettori” con quel romanzo scritto in una lingua non letteraria ma “viva” e che metteva al centro dell’attenzione personaggi del popolo minuto, le noti «gente meccaniche».
Il “grande cantiere” che fu la stampa dell’edizione definitiva dei “Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni, pubblicata a dispense tra 1840 e 1842 dalle Edizioni Guglielmini e Redaelli di Milano, è ormai circonfuso da un alone di leggenda. E fu, in effetti, «una grande impresa editoriale e grafica rimasta a lungo insuperata – scrive il già direttore dei musei civici lecchesi Gianluigi Daccò -. Manzoni stesso curò direttamente l’edizione definitiva del suo romanzo anche sotto l’aspetto grafico e realizzò un nuovo tipo di libro, illustrato, inedito allora in Italia».


Dopo il rifiuto di Francesco Hayez e di altri illustratori celebri, Manzoni scelse Francesco Gonin che coordinò una «equipe dei migliori artisti dell’epoca», ma soprattutto fu lo stesso scrittore a ideare le singole illustrazioni: «Restano le istruzioni scritte quasi quotidianamente. (…) Fatti i disegni, Manzoni li correggeva e sceglieva in quale punto delle pagine collocare le illustrazioni, calcolando con precisione la dimensione».
Non deve essere stata poi del tutto estranea la considerazione che con quella cornice tipografica si sarebbe anche meglio contrastata la “pirateria”. Della quale aveva fatto le spese la prima edizione, quella non illustrata uscita nel 1827 dall’editore Ferrario di Milano. Nei tredici anni successivi avrebbero visto la luce poco meno di ottanta altre versioni da parte degli editori più diversi, come registrato nella straordinariamente minuziosa “Bibliografia critica delle edizioni in lingua italiana nazionali e straniere de ‘I Promessi Sposi’”, compilata nel 1973 per la nostra Azienda di turismo da Salvatore Giujusa (1924-2004), preclaro docente lecchese.


E molte di quelle ristampe avvennero all’insaputa o a dispetto dell’autore. Del resto, già all’indomani dall’uscita della prima edizione, nello stesso 1927 vedeva la luce quella a opera dell’editore fiorentino Vincenzo Batelli il quale in un avviso ai lettori metteva in conto le accuse di pirateria che gli sarebbero arrivate da parte di «certi aristarchi milanesi» ma confidava altresì nella gentilezza e nella filantropia del Manzoni considerato l’intento di rendere «più comune in molte parti d’Italia questo bellissimo lavoro».
Tra l’altro, proprio l’edizione Batelli sarebbe già la prima, primissima, che potrebbe definirsi illustrata. Insomma, non si può dire si sia perso tempo. Anche se il corredo di immagini era costituito da sole sei tavole fuori testo, giudicate da Giujusa «infantili e inadeguate alla realtà anche anagrafica del romanzo».
Tuttavia, quelle sei illustrazioni testimoniano un interesse che si sarebbe con il tempo trasformato in un fenomeno artistico non solo editoriale: «I pittori infatti – ci informa Daccò – si cimentarono subito con l’opera manzoniana». Attestando così il successo e la penetrazione del romanzo.
Le cui edizioni illustrate, prima e dopo il “grande cantiere” del Gonin, si sarebbero susseguite fino a tutto il Novecento e in fondo ancora ai nostri giorni, coinvolgendo schiere di artisti e illustratori e attraversando i mutamenti di tecniche e di gusto, a cominciare dal passaggio al colore.
È del 1927, la prima edizione con illustrazioni a colori a opera di Gian Battista Galizzi (bergamasco, nato nel 1882 e morto nel 1963) per l’Istituto d’arte di Bergamo: «110 interessanti illustrazioni – registra Giujusa - fra testate, finali, tavole in seppia e tavole a colori; alcune di vivo allegorismo moderno o di cromia romantica, altre di classica compostezza o di realismo grottesco appena accennato».
In questo panorama complessivo, pure l’editoria lecchese si è ritagliata un proprio ruolo, anche se più di un secolo dopo dall’uscita della “quarantana”. La prima edizione lecchese, prima illustrata e prima assoluta, «monumentale» come viene definita nel “Dizionario storico illustrato di Lecco”, si deve all’editore Ettore Bartolozzi e arriva nel 1956.


Stampata in 1100 copie, è illustrata da di disegni realizzati appositamente da una quindicina di artisti, forse oggi non più conosciuti dal grande pubblico ma di indiscusso valore. Tra loro anche gli ormai acquisiti lecchesi Fabio Alquati (originario di Cremona) e Orlando Sora (radici marchigiane), quest’ultimo per oltre mezzo secolo il pittore per antonomasia della città.


A introduzione dell’opera, il saluto dell’allora sindaco Luigi Colombo che fu docente di grande spessore e protagonista della vita culturale lecchese, e la premessa di Claudio Cesare Secchi, direttore del Centro nazionale di studi manzoniani che si si sofferma sui rapporti di Manzoni con Lecco, sulla villa del Caleotto sui giochi giovanili dello scrittore con l’amico e futuro architetto Giuseppe Bovara, sui personaggi e i paesaggi del romanzo che è proprio la nostra gente, sono proprio le nostre case: «Bellezza di una terra che il Manzoni ha fatto immortale, bellezza un po’ guerriera e tenace e… bisogna come quella di Lucia saperla scoprire e vedere. Valga come tributo ed omaggio questa edizione lecchese al grande nome di Alessandro Manzoni e sia anche auspicio – che le memorie che a lui si ricollegano e in Lecco dove visse gran parte dell’infanzia e della puerizia e le vacanze autunnali della prima giovinezza e nel paesaggio circostante siano conservate con cura gelosa, con affettuosa devozione, così meno fino ad oggi furono custodite nei memori cuori e nell’ammirato ricordo».



Auspicio certo andato deluso, possiamo dire oggi a oltre sessant’anni di distanza.
A quella prima edizione, Bartolozzi ne fa seguire una seconda nel 1963, con poche varianti e con l’introduzione di monsignor Delfino Nava, lecchese, grande studioso manzoniano: «Basta un po’ di attenzione per accorgersi dell’esistenza nel Lecchese di un lessico informato a modi e cadenze, a immagini e proverbi che impongono il dilemma: o il Manzoni ce lo ha tolti di bocca, oppure siamo noi ad averli imparati da lui».


Dieci anni dopo, nel 1973, la terza edizione, in seicento esemplari, con ancora poche variazioni (ma il gruppo degli artisti coinvolti è salito a venti). Morto nel frattempo don Nava, l’introduzione torna a essere affidata a Claudio Cesare Secchi e chissà che non sia stato ancora un po’ troppo ottimista: «Il Bartolozzi voleva che la Lecco d’oggi non pensasse solo alle sue fiorenti industrie ed alle sue fervide attività commerciali, ma che anche nel più difficile campo della corpo della cultura continuasse per quella via che (…) uomini illustri le avevano aperto». Con battaglie ideali «che mi pare abbiano dato buon frutto, così che la industre città lariana è tale oggi anche nel corpo della cultura: il “gran borgo” che si avviava ai tempi del Manzoni “a diventar città” lo è diventata (…) anche per la sua vita di cultura».


Accanto alle edizioni “ufficiali” del romanzo, inoltre, nel 1965 Bartolozzi pubblica anche “I Promessi Sposi attraverso le immagini” raccogliendo il materiale già usato per illustrare il romanzo aggiungendovi una serie inedita di incisioni e disegni – si leggeva nell’introduzione – di autori di varia provenienza e diversi stili, sollecitati all’impresa da un appello nazionale diramato dall’associazione “Incisori d’Italia”». Il volume sarà poi ripubblicato nel 1986 ancora come Ettore Bartolozzi Editore (morto nel 1978) e nel 2007 su iniziativa del Comune e dell’erede Maria Assunta Bartolozzi.


Lo stesso Bartolozzi, però, propone poi un’altra edizione di pregio dei “Promessi Sposi” con le illustrazioni, una cinquantina di disegni, interamente affidate al pittore lecchese Orlando Sora il quale – scrive Claudio Cesare Secchi nell’introduzione - «ha saputo interpretare e ripetere il messaggio manzoniani e i sentimenti delle persone che nel romanzo hanno vita». Pubblicata nel 1977 in 1500 esemplari, sarà poi ristampato nel 1981 con leggere variazioni.


Negli anni Ottanta del Novecento, inoltre, vedono anche la luce “I Promessi Sposi” illustrati da Nino Lupica (1938-2015), come Alquati e Sora d’origini non lecchesi (era siciliano) ma ormai trapiantato a Lecco dove fu anche impegnato nell’agone politico e presidente dell’Azienda di soggiorno e turismo. Alcune immagini erano già state pubblicate nel 1985 in un volume pubblicato dalla Camera di commercio di Como, “Quell’altra esistenza dei Promessi Sposi” mentre è del 1988 la pubblicazione integrale del romanzo sotto forma di libro-strenna del Consorzio agrario interprovinciale di Como e Sondrio.


E si arriva ai giorni nostri con “I Promessi Sposi” dell’editore Paolo Cattaneo che ha recuperato le illustrazioni di Giacomo Mantegazza. E qui occorre aprire una lunga parentesi.
Giacomo Mantegazza, nato a Saronno nel 1853 e morto a Cernobbio nel 1920, fu pittore di un certo valore nel 1895 partecipò al concorso indetto dall’editore Ulrico Hoepli per una nuova grandiosa edizione illustrata dei “Promessi Sposi” a celebrazione dei 25 anni di fondazione dalla casa editrice sorta nel 1870.


Il concorso fu vinto dal ferrarese Gaetano Previati venuto anche a Lecco: «Nelle lettere di Previati al fratello – ci dice Daccò – troviamo una Lecco fine secolo inaspettatamente turistica (…). Visita coscienzioso tutti i “luoghi manzoniani” che gli vengono indicati ma poi sbotta: “Vi è troppa cretineria in queste tradizioni – anzi, viste le località e i ruderi e i luoghi manzoniani – si direbbe meglio  che vi è della turlupinatura».


E comunque «quando torna a Milano ha portato a termine un gran lavoro: 82 disegni ed 8 grandi tavole, “sei metri quadrati di lavoro”, commenta soddisfatto».
Il libro uscì poi nel 1900. Nel 1993, le opere manzoniane di Previati saranno esposte in una mostra allestita alla lecchese Villa Manzoni (con tanto di importante catalogo pubblicato da Electa e con testi di Aurora Scotti Tesini, Gianluigi Daccò, Maria Teresa Fiorio, Arnalda Dallaj).



Al concorso del 1895 partecipò, tra gli altri, anche Giovanni Fattori, esponente di punta della pittura macchiaiola: il livornese ormai settantenne ma soprattutto amareggiato per la scarsa considerazione che gli era ormai riservata, pare partecipasse controvoglia al concorso, dopo l’insistenza di un amico e forse anche attratto dal non indifferente valore del premio in palio. Privilegiati i disegni di Previati, di quelli di Fattori si persero a lungo le tracce.


Ce ne si ricordò nel 1953, quando ancora Ettore Bartolozzi stampò una snella pubblicazione intitolata “Manzoniana” con due saggi di Luigi Servolini in cui i Promessi Sposi di Fattori venivano letti in parallelo a quelli di Ferruccio Gonin. I disegni di Fattori ci sarebbero poi stati, riprodotti, da una cartella edita nel 1974 su iniziativa della Regione Lombarda, del Comune e dell’Azienda di turismo di Lecco.



I quattordici disegni erano così presentati da Giorgio Mascherpa: «Parrà impossibile, ma d’un episodio tanto significativo qual è l’illustrazione manzoniana che il Fattori tentò nel 1895 partecipando al concorso Hoepli, s’è tenuto fin qui pochissimo conto e storico e critico e aneddotico e anzi è solo per puro accidente se i quattordici disegni rimasti a documentare quella singolare avventura del più celebrato “macchiaiolo” son tornati alla luce e tuttora in buono stato. (…) Perché il Fattori finisse di convincersi a dimenticare quell’ennesimo smacco e a seppellire per sempre fuori dai suoi ricordi  l’episodio manzoniano e l’ulteriore umiliazione all’amor proprio che gliene derivò».


In quanto a Giacomo Mantegazza, al concorso Hoepli si dovette accontentare del secondo posto e anche i suoi disegni si dispersero per mille rivoli.
Circa novant’anni dopo, appunto l’editore oggionese-lecchese Paolo Cattaneo ne ha cominciato la ricerca nel tentativo di ricostituirne il corpus: «L’idea, nata nel 1982, con l’acquisizione del primo significativo gruppo di disegni di Giacomo Mantegazza, mi è rimasta dentro ed è poi maturata nel tempo».



E così, nel 2009 hanno visto la luce “I Promessi Sposi” illustrati da Mantegazza (con l’accompagnamento di testi di Gianluigi Daccò, dai quali abbiamo estratto qualche passaggio, e di Sergio Rebora). Il lavoro di ricerca dei disegni “perduti” è continuato così che, dopo un opuscolo del 2012 che dava conto delle nuove acquisizioni, nel 2017 veniva stampata la seconda edizione dell’opera, arricchita delle ulteriori immagini ritrovate. La ricerca di altre illustrazioni continua.



PER RILEGGERE LE PUNTATE PRECEDENTI DELLA RUBRICA CLICCA QUI
Dario Cercek
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.