SCAFFALE LECCHESE/133: l'arte in rosa fra il Lario e la Brianza. Un profilo delle pittrici

Da qualche tempo, una rilettura della storia dell'arte in chiave femminile ha consentito il recupero e l'approfondimento di vicende artistiche in precedenza rimaste nell'ombra. Anche se spesso l'attenzione sia rivolta più alle biografie che alle opere. E forse non potrebbe essere diversamente, considerato come anche nell'arte, per una donna non sia stato facile imporsi. Alle doti artistiche andavano aggiunte caparbietà, una certa sfrontatezza e prove di carattere risparmiate ai maschi.

Di questo ci dà in qualche modo conferma anche un libro uscito una ventina d'anni fa e dedicato alle donne pittrici tra Lario e Brianza nell'arco di circa un secolo, quello compreso tra il 1840 e il 1940. Si tratta di "Dipingere al femminile" curato da Maria Angela Previtera, oggi direttrice del Museo di Villa Carlotta a Tremezzo, e da Sergio Rebora, storico dell'arte specializzato proprio nella pittura dell'Ottocento. A pubblicarlo, nel 2002, l'editore Cattaneo che nella premessa confessa le iniziali perplessità di fronte al progetto: «Non riuscivo infatti a ricordare, fra i grandi artisti di quel periodo in Lombardia, alcun nome femminile. Abituato al mondo dei "professionisti" della pittura, non potevo immaginare la ricchezza, la vitalità e il valore del mondo minore dei dilettanti o meglio delle "dilettanti"».

Angolo di giardino a Viganò, Amalia Pirovano

Nella galleria offertaci da Previtera e Rebora, infatti, non ci sono pittrici di mestiere. Chi ha l'estro, dipinge quasi per un proprio arricchimento culturale, così come si suona il pianoforte. Che, si sa, era tra gli insegnamenti che ricevevano le ragazze di buona famiglia. Nobili e borghesi, infatti, erano le donne che si dedicavano alla pittura, messa comunque sempre in secondo piano rispetto alle incombenze dettate dal loro ruolo sociale: «Per quanto riguarda l'aristocrazia e l'alta borghesia le scelte sono finalizzate al ruolo che le giovani avrebbero avuto dopo il matrimonio, nella vita familiare e di società: la tipologia educativa richiesta deve rispondere ad esigenze culturali elementari, corredate da quelle attività, quali il disegno, il ricamo, la musica, che, affiancate ad altre pratiche domestiche, compongono il modulo funzionale della moderna padrona di casa. Solo verso la fine del secolo si assiste ad un'estensione e ad un arricchimento dei programmi di studio, comprendenti, sia pure in maniera facoltativa, anche le tradizionali materie umanistiche. A Milano, tra gli altri, svolgono questo ruolo gli istituti Bianchi-Morand, le Madri Marcelline e Orsoline; a Como sono invece operativi i collegi delle Madri Salesiane, di Santa Chiara, delle Orsoline e della Presentazione».

Alassio, Bice Airoldi di Robbiate

Sappiamo, certo, che esisteva anche un ambiente popolare, un universo di artigiani, di decoratori, di pittori minori specializzati in madonne e altre raffigurazioni sacre, nelle cui botteghe anche mogli e figlie potevano avere un loro ruolo, ma ormai questo era un altro mondo, anzitutto ancorato a vecchi canoni e neppure caratterizzato da una manualità convincente. La storia dell'arte aveva preso tutt'altre strade, gli artisti dell'epoca frequentavano altri luoghi: i palazzi signorili, per esempio. Dove si faceva cultura. E dove stavano di casa i mecenati.
Non è un caso, infatti, che le pittrici presenti nel libro, non solo siano delle classi elevate, ma siano quasi tutte milanesi e il loro legame con il territorio siano i soggiorni nelle case di villeggiatura, le ville edificate dall'aristocrazia e passate poi alla grande borghesia. Così che la ricerca di Previtera e Rebora più che uno spaccato di un periodo artistico appare più come lo scorcio di una certa società a cavallo tra Ottocento e Novecento. Del resto i nomi che scorrono nel libro - una cinquantina - sono spesso celebri e celebrati, ma più per l'appartenenza a famiglie blasonate che per meriti d'arte. Meriti che gli autori hanno messo in luce e sono meriti a volte davvero non trascurabili, senza però che vent'anni dopo la pubblicazione di quel libro, qualcuna di quelle figure abbia potuto contare su una propria rivalutazione da parte di critici e storici. Mancando, crediamo, di figure d'autentica levatura artistica. Le "nostre" pittrici andavano dipingendo ciò che apprendevano a lezione da artisti anche di fama. Ciascuna spesso si specializzava in un proprio genere personale: la natura morta, gli animali, i paesaggi. E certe opere sono davvero di buona fattura. Ma si trattava, appunto, di un ripetere la lezione. Ciò non toglie che le loro opere fossero esposte in rassegne pubbliche anche di una certa rinomanza e ne ottenessero critiche giornalistiche lusinghiere.
Va peraltro detto che si tratta di opere quasi tutte conservate in collezioni private. La preziosità del volume sta anche in questo, nel presentarci un patrimonio sostanzialmente invisibile: complessivamente oltre 150 tra quadri ispirati ai grandi maestri, vedute e prospettive, paesaggi, figure e ritratti, nature morte.

La vallata, Giannina Baggioli

Il "viaggio" ha naturalmente come di partenza Milano, per poi risalire la Brianza e il corso dell'Adda, toccare Lecco e Como, la Valassina e le sponde lariane da un lato fino a Domaso e dall'altro fino a Varenna.
Tra Milano, Paderno d'Adda e Carimate si è snodata per esempio la vita di Bice Gazzaniga Arnaboldi, figlia di un senatore del regno che si dilettava con l'acquerello e andata in sposa nel 1891 al barone Paolo Ajoroldi di Robbiate «dal quale ebbe quattro figlie per occuparsi delle quali decideva di porre in secondo piano l'attività di pittrice, iniziata esordendo alla Permanente nel 1899».
Se a Besana, nel 1899, Teresa Pagani s'impegnava direttamente nella costruzione della villa di famiglia «da lei ideata nelle forme architettoniche e in tutta la decorazione interna ed esterna, in molti casi eseguita materialmente dalle sue mani», nella vicina Renate si distingueva, nel primo ventennio del Novecento, Maria Sassi: figlia dello scultore milanese Alfredo Sassi che qui si trasferì e divenne anche amministratore illuminato, affiancava il padre nelle iniziative educative e si dedicava all'acquarello partecipando anche ad alcune sposizioni di Brera fino a quando nel 1933 «si univa in matrimonio con il giovane pittore Augusto Colombo e si allontanava dall'attività artistica condotta in prima persona per seguire con affettuosa discrezione quella del marito».
A Sirone, invece, nella villa "all'Arbusta", oggi più nota per essere nelle mappe degli edifici infestati da fantasmi, villeggiava la famiglia Tansini, le cui figlie - Maria ed Emilia - si dividevano tra musica e pittura e nel 1906 videro due propri quadri all'Esposizione di Milano organizzata per le celebrazioni del traforo del Sempione. Tra musica e pittura si dividevano anche le sorelle Giulia e Maria Recli che invece trascorrevano l'estate nella villa di famiglia a Brivio
Tra Milano e Viganò vive e dipingeva Amalia Pirovano cresciuta sotto la guida artistica di Cesare Tallone che l'aveva anche ritratta assieme al marito Alessandro «in una coppia di tele oggi appartenenti alle collezioni della Pinacoteca di Brera: una volta sposata, nel 1903, non abbandonò come altre la pittura e presentò proprie opere a diverse mostre, mentre la villa di Viganò diventava una sorta di cenacolo artistico.

Lago di Lecco, Lina Villa Gandola

Se Tallone ritrasse i coniugi Pirovano, al lecchese Orlando Sora si deve invece il ritratto di Lina Villa Gandola: era figlia di Carlo Villa e Caterina Giavazzi che arrivati a Lecco aprirono il Caffè Milano vicino alla stazione: «Il benessere economico conseguito attraverso il lavoro permise a Carlo e Caterina di ritagliarsi una posizione di rilievo nella borghesia lecchese: primo obiettivo della coppia fu quello di riservare ai figli un'educazione particolarmente accurata. Attilio e Fedele Guido diventarono geometri - il primo si sarebbe segnalato come progettista di alcuni pregevoli edifici (...) tra cui l'ex Cinema Lariano (1924) il villino Palermi (1924) e la casa Pellegrini di via Como (1928) -, Angiola detta Lina frequentò invece l'istituto delle Suore di Maria Bambina di via Cairoli a Lecco. (...) Realizzò nature morte (...) ma anche paesaggi dal vero e copie da composizioni di celebri maestri contemporanei. (...) Nel 1913 si unì in matrimonio con Pietro Gandola, il cui padre Angelo era titolare di una drogheria. In seguito, Angelo e Pietro diventarono imprenditori fondando un colorificio nella gestione del quale collaborava anche Lina. Dopo il matrimonio, occupata nell'educazione dei figli, essa si allontanò dalla pittura da cavalletto utilizzando la sua manualità in occasioni benefiche».
Sacrificato alla famiglia anche l'estro di Maria Galli che nel 1913 sposò il pittore meratese Donato Frisia che ebbe una certa fama non soltanto locale: «Di estrazione piccolo borghese era diventata maestra elementare e, come tale, aveva ricevuto delle nozioni di disegno che aveva cercato di sviluppare per dedicarsi alla pittura. L'incontro con Frisia fu essenziale per l'evoluzione del suo stile, maturato a fianco di quello del marito. (...) Maria Galli intendeva proseguire un percorso artistico da professionista e inviava infatti i suoi lavori alle esposizioni milanesi; la nascita di sei figli e la necessità di assecondare la carriera del marito ne limitarono però l'attività».

Nevicata e Merate, Maria Galli Frisia

Nello stesso periodo, ebbe "carriera" più fortunata, invece, Olga Dell'Orto, milanese, nipote dei proprietari di villa Meta a Galbiate: «Aveva manifestato precocemente la sua passione artistica iniziando a dipingere da autodidatta» per poi prendere lezioni da più maestri riuscendo a esporre proprie opere alla Permanente. Il matrimonio nel 1922 non ne interruppe l'attività che praticò fino a età avanzata «con un impegno intensissimo, che la indusse a partecipare a molte esposizioni artistiche, non solo milanesi».
Molte altre le storie rievocate dal libro. Noi ci fermiamo a quella di Giannina Baggioli che «riuscì a imporsi per un approccio alla pittura decisamente più professionale. Appartenente (....) a un'agiata famiglia lecchese di estrazione borghese attiva nell'esercizio di cereali e granaglie, proprietaria della casa prospiciente il sagrato della basilica di S. Nicolò. (...) Presente nelle collezioni del Museo civico della sua città con il dipinto intitolato "Corni di Canzo", fu anche l'unica pittrice lecchese della sua generazione segnalatasi in maniera significativa sulla scena espositiva: dopo a mostra del 1913, nell'ambito della quale si aggiudicò il premio per la sezione dei dilettanti, partecipò anche alle rassegne quinquennali».
Dario Cercek
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.