Segretari comunali facoltativi nelle realtà con meno di 5mila abitanti. Superare soluzioni novecentesche
Giovanni Ghislandi
il tema legato alla figura istituzionale del Segretario comunale probabilmente non appassiona i più, ma risulta centrale per una realtà come quella lombarda e lecchese, caratterizzata da una forte presenza di Comuni medio-piccoli. La domanda che nel tempo si sono fatti molti Sindaci è grossomodo la seguente: è utile investire su questa risorsa, oppure no? E con quali costi e benefici per i singoli enti, tenuto conto che gli stipendi sono equiparati a quelli di dirigenti della pubblica amministrazione? Come devono comportarsi i Sindaci in questa fase caratterizzata da pensionamenti, carenza di Segretari, soluzioni a scavalco, risorse economiche scarse e quant’altro?
Nessuno nega i meriti storici acquisiti dai Segretari comunali nel processo post-unitario, tanto da poter dire che sono tra le figure che hanno fatto l’Italia. Il loro ruolo si è evoluto nel tempo, accompagnando il processo di crescita delle municipalità nel corso del ‘900, scaturito nella riforma delle autonomie locali e nell’elezione diretta dei Sindaci. La situazione è però cambiata radicalmente sul finire degli anni ’90, al momento dell’introduzione delle leggi Bassanini. Giuste o sbagliate, con i loro pregi e difetti, hanno prodotto un fatto ineludibile anche nei piccoli Comuni: il progressivo allontanamento dei Segretari dal vivo dell’azione – per usare una metafora calcistica -, determinato in particolare dall’individuazione dei Responsabili di servizio, con una suddivisione settoriale in termini di pareri di legittimità e merito sui singoli atti amministrativi. In altre parole: la quotidianità con tutte le sue implicazioni è sulle spalle di funzionari e amministratori, mentre i Segretari hanno “funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell'ente in ordine alla conformità dell'azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”, come recita l’articolo 97 del Testo unico degli enti locali, unitamente ad altri compiti, tra cui quello dell’anticorruzione, con adempimenti formali sulla cui efficacia pratica ci sarebbe molto da discutere.
E’ in questo quadro che si inseriscono le gravi contraddizioni attualmente in essere: da oltre un anno sono stati fatti concorsi per giovani Segretari, che però in gran parte dei casi non riescono a trovare una collocazione in Comuni medio-piccoli, per via di molteplici ragioni, legate allo scavalco, ai trattamenti economici troppo onerosi, che rischiano di far sforare il tetto alle spese di personale, all’assurda disposizione che impone un limite massimo di 5 mila abitanti per gli accordi convenzionali sui Segretari.
Da quanto si legge, si tratta di temi ben presenti al Parlamento e al Governo, sui quali mi auguro si possa trovare una soluzione ragionevole – così come richiesto da Anci -, ma personalmente rimango dell’idea maturata nel tempo e che richiederebbe al legislatore uno sforzo di coraggioso riformismo. Ovvero: rendere la figura del Segretario non più obbligatoria, ma facoltativa per i piccoli Comuni sotto i 5 mila abitanti. Era questo il dettato originario della riforma della pubblica amministrazione del 2014, poi stravolto in Senato nel 2015 con un emendamento che conteneva una parolina magica: così la “facoltà” prevista dal disegno di legge tornò ad essere “obbligo” nel testo definitivo.
Bisogna lasciare ai Sindaci degli enti più piccoli la possibilità di scegliere, ponendo come seria alternativa ai Segretari figure come quelle di Vicesegretari da individuare tra le risorse interne ai Comuni, magari in forma associata, appositamente selezionati con rigorosi criteri di merito e competenze, valutando anche di mutuare dalla meno onerosa esperienza attuata sui Revisori dei conti, la possibilità di avvalersi di professionisti esterni per “l’assistenza giuridico-amministrativa” prevista dall’articolo 97 e per il controllo della legalità dell’azione amministrativa, studiando soluzioni efficaci per la gestione delle risorse umane di ogni ente e i relativi provvedimenti. Il tutto in un’ottica di razionalità e sostenibilità economico-organizzativa, fatta salva l’imparzialità della pubblica amministrazione, che deve rimanere sacra.
I Comuni hanno bisogno di poter fare scelte ponderate e in quest’epoca di rivoluzione digitale non possono rimanere incatenati a soluzioni novecentesche.
Giovanni Ghislandi, Consigliere del Comune di Imbersago