In viaggio a tempo indeterminato/259: 'come sono i bianchi?'

"Come sono i bianchi?". Mi chiede sfiorandomi il braccio.
"Intendo gli europei, gli americani...", aggiunge vedendo la mia faccia stranita.
La domanda mi spiazza. Siamo su un treno pieno, anzi pienissimo.
Non abbiamo trovato posto in nessuna altra classe. 1a, 2a e 3a con aria condizionata sono piene e la lista d'attesa supera il numero 50.
La classe sleeper, invece, è anche peggio. In lista d'attesa ci sono 145 persone che sperano che altrettante rinuncino al viaggio per trovare un posto sul treno.
Probabilità che ti assegnino un posto: 7%
Praticamente sarebbe più semplice vincere al lotto.
Così non ci resta altra scelta che salire in "general class", l'ultima classe, quella senza posto assegnato.
3€ il biglietto per 15 ore di treno.
Nonostante tutto, però, un posto a sedere ce lo siamo accaparrato. Io sul sedile condiviso con altre 5 persone, Paolo sulla mensola in acciaio dove si mettono i bagagli. Non proprio comodissimo ma funzionale.
Le prime ore passano tra tè e snack acquistati dai venditori che camminano su e giù per i corridoi pieni del treno.
Ascolto un po' di musica ma con il caos esterno non riesco nemmeno a capire una parola dei testi delle canzoni e mi sembra che tutte le melodie seguano il ritmo del treno che corre sui binari.
Poi mi metto a leggere, mentre Paolo sdraiato tra i bagagli sta lavorando al prossimo video.
Sono passate 5 ore e la situazione sul treno si fa sempre più "accalcata". Nessuno scende, qualcuno sale. A ogni stazione c'è sempre un po' meno spazio per stare seduti e sempre più piedi a penzoloni appena sopra la mia testa.
15 ore in una vita sono poche ma sono troppe per restare indifferente a chi ti sta seduto accanto, soprattutto in un Paese come l'India dove il tuo spazio personale si riduce a qualche millimetro oltre il tuo corpo.

VIDEO



E così io osservo e vengo osservata.
Scambio sorrisi e vengo contraccambiata.
Offro delle arachidi e ricevo caramelle alla fragola.
Piccoli gesti in cui non serve parlare la stessa lingua perché sono così chiari e genuini da essere universali.
Poi vicino a me si siede una ragazza, avrà 16 anni. Mi guarda entusiasta prima di trovare il coraggio di parlarmi.
"Da dove vieni?" Mi chiede.
"Italia" rispondo.
"Oh, wow! Bellissimo!", esclama estasiata.
"Io sono di Gandhinagar, la capitale dello Stato del Gujarat. Sono in viaggio con tutta la mia famiglia. Sei stata in Gujarat? Dove?".
Mi metto a elencarle i nomi delle città che abbiamo visitato ma, sinceramente, me ne ricordo meno della metà. Sarà colpa delle 8 ore di viaggio che iniziano a farsi sentire, oppure della mia pessima memoria per i nomi.
"Ah ma che bello! E hai visto il tempio di Dwarka? Ti è piaciuto?"
Chiede lei con un entusiasmo quasi esagerato.
Io annuisco e sorrido ad ogni sua domanda sui luoghi visitati, sul cibo assaggiato, sulle parole che ho imparato in hindi.
Poi arriva la domanda, quella dell'inizio di questo articolo.
Cade così, tra le altre decine di domande, ma io sento che ha un peso diverso.
Mi lascia spiazzata.
"Come sono i bianchi?".
Non credo me lo abbia mai chiesto nessuno prima e sinceramente non ho la risposta pronta.
In genere quando scoprono che sono italiana, le persone reagiscono citando personaggi famosi.
In Albania erano Pippo Baudo e Raffaella Carrà perché durante la dittatura spostavano le antenne TV e guardavano la Rai.
In Iran era Roberto Baggio, il suo mitico codino e quel rigore sbagliato che ha segnato la storia del calcio.
In Messico era Laura Pausini in compagnia di Nek, Tiziano Ferro e Gianluca Grignani con la sua versione in spagnolo di "Destinazione paradiso".



In India, fino a quel momento, dire Italia implicava in automatico sentire nominare Sonia Gandhi.
Più conosciuta in India che in Italia, Sonia Gandhi è stata a capo di uno dei partiti politici principali indiani. Nata in Italia da genitori italiani, ha rinunciato alla cittadinanza, optando per quella indiana, dopo aver sposato Rajiv Gandhi.
Dopo l'assassinio del marito è entrata anche lei in politica e in India la conoscono praticamente tutti.
O quasi, dato che la ragazza accanto a me non l'ha mai citata.
Sarà perché è giovane e di politica, alla sua età, non credo te ne importi molto.
"Madame?!?". Mi dice richiamando la mia attenzione.
Ma io non so bene cosa risponderle.
Come sono i bianchi? Gli europei e gli americani?
Se fossimo in un quiz chiederei l'aiuto da casa.
In questa domanda, nella curiosità di questa ragazza, è racchiuso uno dei concetti più semplici e banali ma che più spesso dimentichiamo.
Siamo sempre "i diversi" per qualcun altro. E non lo intendo in senso negativo, anzi.
Cresciamo credendo che le cose si facciano in un certo modo, che le persone siano in un certo modo, che ci si comporti in un certo modo, che si viva in un certo modo.
E tutto quello che non segue questo "certo modo" è diverso, strano, a volte fa curiosità, a volte spaventa.
Ma ci dimentichiamo che anche quel "diverso" sta vivendo in un suo personale "certo modo".



Sarà per quello che la domanda di quella ragazza sul treno mi ha spiazzata. Mi ha colpito il fatto che qualcuno potesse vedermi come un qualcosa di curioso da scoprire, una specie di chiave di accesso a un mondo che lei non conosceva.
Come ho risposto a quella domanda?
Beh, all'inizio l'ho presa larga parlando del fatto che non mangiamo piccante e usiamo poco le spezie. Poi le ho detto che le famiglie non sono così numerose come in India, che le città sono più piccole e che difficilmente si fanno così tante ore di treno.
Sono stata un po' sul vago cercando di capire cosa intendesse realmente sapere.
Non volevo farci fare brutta figura, ma nemmeno incensarci troppo.
Lei però non sembrava soddisfatta. Mi ascoltava mentre raccontavo ma la vedevo pensierosa.
È calato qualche istante il silenzio alla fine della mia risposta, poi lei mi ha guardato e sorridendomi mi ha chiesto: "Sì ma come sono le persone tra di loro?"
E lì, mi spiace, ma non ho più potuto tergiversare.
"Vedi quello che stiamo facendo noi qui?" Le ho detto. "Non ci conosciamo ma stiamo parlando. Tua mamma laggiù mi ha appena offerto dei dolci fatti da lei e tutti qui attorno ci osservano curiosi e sorridono.
Ecco in Europa o in America questo è difficile che succeda. Le persone sono spesso sole, isolate. Quasi nessuno parla con uno sconosciuto, la maggior parte guardano il cellulare mentre viaggiano in treno.
L'India mi piace proprio perché è l'opposto. Basta stare qualche ora su un treno perché degli sconosciuti che si sono per caso trovati a sedersi accanto, diventino un gruppo. E in quelle ore di viaggio si prendono cura l'un dell'altro come fossero una famiglia."
"Mmmm" mi guarda lei pensierosa.
"Ora ho capito. Questa cosa l'avevo vista anche nei film e non mi sembra molto bella. Senza offesa, madame!"
"Nessuna offesa." Rispondo sorridendo.
"Siamo tutti diversi ed è proprio quello il bello".
Angela (e Paolo)
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